Comunicazione e potere nel XXI secolo (2)

Gli osservatori internazionali lo definiscono un Paese destrutturato e di difficile comprensione. Anche i politologi stranieri sono concordi nel rilevarne le distorsioni, le frammentazioni, le divisioni. L’Italia di oggi presenta dei fenomeni culturali anomali, che si riflettono anche sulla politica. Lo ha ribadito Paolo Arcudi – sociologo, impegnato in attività di volontariato e nell’insegnamento – durante il suo secondo incontro tenuto alla scuola di formazione socio-politica “Monsignor Lanza”.

L’intervento del docente si è focalizzato sull’esame del caso italiano, con le sue debolezze e fragilità, le cui origini sono lontane nel tempo. Secondo Arcudi «c’è una scollatura tra politica e società civile. La politica è spesso identificata col palazzo, luogo blindato, dove non si lavora per il bene comune ma per l’interesse di parte. Si diffonde tra gli italiani una rappresentazione negativa, una visione fosca della politica che non sa risolvere i problemi del Paese, e non gode della fiducia dei cittadini, che anzi la vedono come un’attività distante ed estranea. È una politica senza potere, perché la politica è ridotta a simulacro, e le decisioni sono prese altrove. Anche il parlamento non svolge più la sua funzione di discussione e di confronto tra le opinioni di tutti i segmenti della società. Che è frammentata, divisa, senza una identità comune. Questa carenza di identità politica e sociale è un difetto di lunga data, è un limite che lo Stato italiano si porta dietro dal momento dell’unità.

Mancando un forte senso dello Stato (che non gode di una presenza incisiva sul territorio) e senza l’idea di identità e unità nazionale, prevale il localismo e i movimenti separatisti sono sempre in agguato. Le periferie si sono sempre sentite poco attratte dal potere centralistico, tant’è che sono esplose tendenze scissioniste. Anche le regioni non hanno assolto la funzione di propulsori dello sviluppo, riproducendo in piccolo gli errori dello Stato. Inoltre, il potere centrale, per come si è sviluppato, ha creato indifferenza politica, e non ha responsabilizzato i cittadini che subivano passivamente le decisioni prese dall’alto. Tuttavia, oggi assistiamo a una ribellione alla legge, a una rivolta strisciante verso lo Stato, attraverso eventi come l’evasione fiscale o le tendenze separatiste.       Questi fenomeni sono segni di disaffezione e slealtà verso le istituzioni. E testimoniano lo scollamento tra società e politica, la frammentazione, ancora più accentuati dopo la fine della “prima Repubblica”. In precedenza la politica era ideologizzata, basata su valori ben definiti e il voto espresso era indicativo di una forte appartenenza. Con il crollo delle ideologie – o grandi visioni del mondo – la politica è rimasta orfana di questo quadro concettuale, ed è divenuta mera gestione di potere, senza una cornice legittimante. Inoltre il potere è sempre più di casta, ognuna delle quali rivendica una logica tribale, non moderna, né democratica».

Insomma, la democrazia italiana sembra non godere di buona salute. «La contraddizione più evidente – prosegue Arcudi – è tra la declamazione dei politici di una democrazia funzionante e compiuta, e una realtà lacerata, destrutturata. C’è una profonda spaccatura geografica tra Nord e Sud, una anagrafica tra vecchie e nuove generazioni. L’Italia è un paese contorto e attraversato da scissioni, da interessi individualistici, manca di un nucleo di valori condivisi che fanno di una nazione un popolo. La politica italiana è debole perché alla base c’è una cultura nazionale debole. La crisi politica, infatti, rispecchia quella culturale, ben più profonda, che nasce dalla carenza di una identità nazionale.

Ciò che rende forte una nazione è la presenza di valori morali e culturali. I sociologi affermano che una società esiste se c’è alla base un tessuto morale fatto di regole e valori condivisi, altrimenti il corpo si infetta, non produce anticorpi di civiltà e genera patologie. Se mancano riferimenti culturali, prima o poi scoppiano malesseri come corruzione strisciante e movimenti separatisti. Il quadro è certamente preoccupante, perché sono venuti meno i valori strutturanti, le fondamenta civili, che invece erano diffusi e condivisi all’indomani del secondo conflitto mondiale. Gli anni della ricostruzione e del miracolo economico sono stati gli anni più vitali, pieni di voglia di fare, di slancio, di ottimismo e di unità. Il popolo italiano era un tutt’uno, c’era una grande coesione sociale. Erano forti i valori di rinascita, di civiltà, di elevazione che hanno reso salda la nazione. Oggi il tessuto morale della nazione è venuto meno e il popolo è disunito perché mancano valori condivisi. La democrazia italiana è simile a un corpo malato».

In un simile contesto, quale ruolo ha la politica, e come si relaziona con i mezzi di comunicazione? «La politica – chiarisce Arcudi – è sempre più spettacolarizzata, fatta di slogan, di messaggi semplicistici, di annunci, e giocata sulle piazze televisive. La televisione, infatti, ha sostituito ogni forma di mediazione. Anche i partiti, che svolgevano il compito di intermediari tra società e politica, ed erano luoghi di partecipazione e formazione, hanno perso mordente. In questi meccanismi, il cittadino è solo uno spettatore passivo, senza potere. L’abilità del politico, quindi, sta nel rassicurare la gente impaurita e insicura. C’è, infatti, un senso di paura e smarrimento che è la cifra caratterizzante la mentalità del nostro tempo.

Questo regime di paura è acuito e amplificato dai mezzi della comunicazione. Anzi, spesso, il potere usa i media per accrescere l’insicurezza e si pone come il valido solutore dei problemi. I mezzi di comunicazione, quindi, non sono organi liberi e indipendenti, ma sono asserviti al potere, e manipolano le informazioni riportando le notizie che sostengono l’operato del governo di turno. L’uso distorto dei mass media, non consente ai cittadini di formarsi un’opinione pubblica imparziale e veritiera, che è il sale della democrazia e insieme la coscienza civile della società.

Una democrazia, infatti, funziona se gli organi di informazione sono liberi e testimoniano la realtà così com’è; se svolgono cioè il loro compito di vigilanza sull’operato del potere, facendo da sentinelle e da presidi della stessa democrazia. In Italia, invece, è palese la fragilità dei mezzi di comunicazione, che non assolvono alla loro funzione di imparzialità e obiettività».

 

 

Vittoria Modafferi