Cultura dello scarto e disabilità: magistero della Chiesa e diritti umani

Il 15 gennaio 2016 l’avv. Angelo Marra – dottore di ricerca in diritto civile, con esperienze di studio in Inghilterra, Stati Uniti e Canada, e co-fondatore del Gruppo di Ricerca su Inclusione e Disability Studies – ha tenuto una relazione all’Istituto di Formazione politico-sociale “Mons. A. Lanza” sul tema Cultura dello scarto e disabilità: magistero della Chiesa e diritti umani.

 

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A suo avviso i diritti sono funzionali ad un processo di empowerment, devono cioè favorire la capacità di gestione della propria esistenza da parte del soggetto per migliorarne la qualità di vita. La persona disabile non necessariamente si rivolge a Dio per ottenere la grazia della guarigione, né deve essere oggetto di paternalismo o pietismo. Accettando la diversità degli esseri umani, valorizzandone la dignità e vedendola riconosciuta, la persona disabile si emancipa potendo partecipare in maniera attiva e diretta alla vita nella propria comunità.

Il problema è, dunque, culturale. Storicamente “i disabili” sono stati abbandonati perché non accettati, rinchiusi in manicomi o in strutture di ricovero. Tutt’oggi spesso non escono dall’ambito familiare. La condizione di disabile è tanto più emarginante quanto più chi la vive viene relegato ad un ruolo non autonomo a causa di discriminazioni, problemi di accessibilità e mancanza di adeguato supporto.

Una visione profonda della disabilità, invece, insegna a riflettere in termini di diritti e non di favori. Rigettare la cultura dello scarto significa non accettare che le persone con disabilità siano un peso per la società. Infatti, la Convenzione ONU sui diritti alle persone con disabilità approvata a New York nel 2006 (ratificata in Italia con l. n. 18/2009, ma non dalla Santa Sede), riconosce che «la disabilità è il risultato dell’interazione tra persone con minorazioni e barriere nei comportamenti e ambientali, che impedisce la loro piena ed efficace partecipazione nella società su una base di parità con gli altri». Inoltre, secondo l’art. 23: «gli Stati Parti dovranno prendere misure efficaci ed appropriate per eliminare le discriminazioni contro le persone con disabilità in tutte le questioni che riguardano il matrimonio, la famiglia, la genitorialità e le relazioni personali».

Per superare la disabilità, dunque, non servono miracoli: una volta trovata una barriera (non solo architettonica) bisogna rimuoverla. L’approccio dei diritti umani si fonda sui principi di dignità, autodeterminazione, pari opportunità, non discriminazione e diversità umana.

La disabilità è una condizione umana come le altre e non un male da estirpare. È necessario superare il pregiudizio, presente in ambito ecclesiale, che essa sia una forma di sofferenza salvifica.

Il Compendio della dottrina sociale della Chiesa, al n. 148, recita: «la persona portatrice di handicap è un soggetto con tutti i suoi diritti, essa deve essere aiutata a partecipare alla vita familiare e sociale in tutte le dimensioni e a tutti i livelli accessibili alle sue possibilità». Il n. 289 denuncia le difficoltà di inclusione lavorativa, maggiori in caso di disabilità. Il n. 292 ricorda che la persona con disabilità ha anch’essa «bisogno di amare e di essere amata, ha bisogno di tenerezza, di vicinanza, di intimità, secondo le proprie possibilità e nel rispetto dell’ordine morale». I nn. 244 e 246 enunciano la particolare attenzione da prestare ai bambini.

La Chiesa è dunque particolarmente attenta al fenomeno, ma al relatore e ai corsisti rimane un dubbio: perché la Santa Sede non ha ratificato la Convenzione ONU sulla disabilità?

 

Stefania Giordano