Degenerazione della democrazia e deriva populistica (II)

È la patologia del sistema democratico. Simile a un veleno che intorpidisce la sensibilità dei cittadini. Si tratta del populismo, una degenerazione della democrazia. Per curarla non basta immettere altra democrazia. Occorrono risposte pratiche e forse più radicali.

Di questo tema si è occupata la lezione del prof. Antonino Spadaro – docente di diritto costituzionale presso l’Università Mediterranea di Reggio – svoltasi alla scuola di formazione politica “Monsignor Lanza”. Prima di concentrare la sua riflessione sulla deriva plebiscitaria della democrazia, il docente ha ribadito alcune caratteristiche del costituzionalismo. Tra cui la triplice fonte di legittimazione della decisione. Ogni stato costituzionale, per funzionare bene, deve possedere contemporaneamente tre fonti di legittimazione in equilibrio e che si limitano reciprocamente. La sola legittimazione “dal basso”, ovvero quella democratica  – secondo la quale le decisioni sono prese dal popolo – rischia di far degenerare il sistema verso forme di demagogia, anzi di governo dell’opinione pubblica. Che è fortemente manipolabile e proprio per questo non è in grado di governare ma è usata, governata. L’esasperazione del principio democratico – senza altre fonti di legittimazione – porta dunque a una patologia del sistema. D’altra parte, la sola legittimazione scientifica (una legittimazione “dall’alto”) – secondo cui le decisioni sono prese da esperti, da chi ha in mano il sapere – porterebbe alla tecnocrazia. Ma un governo di tecnici non è detto che sia neutro, apolitico e che la bravura tecnica sia garanzia di serietà morale. Infine, anche la sola fonte di legittimazione costituzionale, (anch’essa legittimazione “dall’alto”) sarebbe pericolosa. Si avrebbe, infatti, una casta di “sacerdoti costituzionali” o giudici che dicono ciò che è bene e ciò che è male, che stabiliscono il giusto o l’ingiusto. Ecco perché un sistema liberal democratico deve possedere tutte e tre le fonti di legittimazione, dove, tuttavia, quella costituzionale potrebbe giocare il ruolo di soggetto dell’equilibrio se si arrivasse allo scontro.

Nel processo democratico – ha ancora spiegato Spadaro – il problema è che non è possibile decidere tutto. Anche chi è stato eletto dal popolo non può predisporre una legge che vada contro la Costituzione,  e scontrarsi con i giudici – che ne dichiarano l’incostituzionalità – perché non hanno una legittimazione popolare. La legittimazione popolare non è l’unica fonte che legittima il potere di prendere decisioni. Eppure oggi sembra verificarsi sempre più spesso la deriva populistica della democrazia. Il populismo è un fenomeno di portata globale. Ma quali sono le sue peculiarità?

«Nei sistemi populistici – ha affermato Spadaro – gli interessi particolari sono camuffati da interessi generali; il dato quantitativo prevale su quello qualitativo:  “pochi” condizionano “molti”. Infine, il pensiero emotivo è facilmente manipolato. Il populismo, infatti,  si fonda sulla manipolazione, al contrario della democrazia costituzionale che si basa sulla persuasione Si tratta di una zizzania infestante, fondata sull’esaltazione dell’uomo mediocre. È, in fondo, un concetto camaleontico che implica una società governata da un capo forte, che spesso non appare come tale. I governanti pretendono di avere un rapporto diretto ed esclusivo con il popolo. Per loro, infatti, l’unica legittimazione è quella democratica, ma ciò comporta la cancellazione delle società intermedie come sindacati, associazioni, gruppi. In una parola del pluralismo. Nel populismo la manipolazione del consenso va di pari passo con la disinformazione sistematica, che è come un veleno che intorpidisce il tessuto sociale e la sensibilità politica dei cittadini. È la patologia democratica più grave. Quando la democrazia si ammala, si ammala seriamente di populismo, che è l’anticamera della dittatura, non però del colpo di stato. Il populismo è un modo di ottenebrare i cervelli fino al punto in cui si mantiene formalmente la democrazia, e si accetta perfino ciò che fa male. Le sue caratteristiche sono lo spettacolarismo, la disinformazione, la corruzione, il qualunquismo». Se la degenerazione della democrazia appare un fenomeno diffuso in vari Paesi del mondo, non è un processo inarrestabile, nel senso che è possibile uscirne.

Il professore Spadaro ha chiarito come  «il populismo non si vince con il metodo democratico. Non è corretto immettere nel sistema  un supplemento di processo democratico. Sarebbe come iniettare altro veleno. Quello di cui c’è bisogno non è altra democrazia. Serve una sana educazione dell’opinione pubblica. Che resta un’operazione difficile, lunga e richiede un lavoro intergenerazionale. L’immaturità sociale è una causa del populismo, ma se la comunità civile prende coscienza del problema e matura, se ne può venir fuori. L’Italia, d’altra parte, ha la caratteristica di riprendersi, di risorgere dopo aver toccato il fondo. Ci auspichiamo che non sia necessario arrivare a tanto. Ci sono, infatti, delle risposte pratiche con cui si può combattere questo fenomeno. La prima riguarda il concetto di sovranità popolare, che andrebbe cancellato. Si deve smettere di affermare che c’è un sovrano, sia esso il popolo, la scienza o la costituzione. Ogni volta che esiste un sovrano, esiste un potere troppo forte che schiaccia gli altri. È una sorta di bomba a mano che, per quanto si affermi di saperla gestire, prima o poi esplode. La seconda soluzione è il rafforzamento delle garanzie costituzionali, di organi come il Presidente della Repubblica e la Corte Costituzionale, baluardi del sistema costituzionale. Non si può pensare, ad esempio, di abolire la Corte perché si permette di bocciare una legge, espressione della volontà popolare. La Corte, insieme al capo di Stato e alla magistratura, deve fare da garante, non contrattare l’indirizzo politico del governo. Infine, gli altri mezzi che sono le vie possibili da percorrere per combattere il populismo sono la libertà di informazione e una istruzione e formazione continue, che siano supportate da luoghi in cui discutere liberamente».

 

Vittoria Modafferi