Il processo democratico alla luce del Trattato sul Funzionamento Dell’Unione Europea (2)

La ricerca di parametri di democrazia, di libertà, di diritti e di tutti gli elementi fondamentali perché non si verifichi un processo di degenerazione democratica, è la costante della storia e dell’evoluzione normativa dell’Unione Europea. Che non si limita ad affermare quei valori sul piano teorico, ma si preoccupa di attuarli concretamente per i suoi cittadini.

Questo il messaggio veicolato dalla seconda lezione tenuta alla scuola di formazione politica “Mons. Lanza” dal dott. Francesco Macheda – dirigente del settore patrimonio della Provincia di Reggio Calabria. L’attenzione del relatore si è focalizzata sulle novità e sulle garanzie che la cittadinanza europea ha apportato in questi ultimi anni. La conversazione ha poi esaminato le azioni svolte dall’Unione Europea per concretizzare diritti e prerogative e per salvaguardare il processo democratico tanto caro all’ente sovranazionale. Tra gli elementi che hanno rafforzato lo status di cittadino europeo, Macheda ha preso in considerazione la Carta europea dei diritti del cittadino, l’anno europeo e le azioni e politiche comunitarie. La Carta dei diritti è divenuta obbligatoria e vincolante con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona avvenuta l’1 dicembre 2009. Ciò vuol dire che non solo l’Unione è tenuta ad applicare le sue disposizioni, ma ogni Stato membro deve recepire e attuare le sue normative. Tutti gli Stati della comunità, ma persino le regioni, le province e i comuni devono ispirarsi e rispettare questi diritti fondamentali, recependoli nella legislazione e negli atti. Tecnicamente la Carta è divisa in 6 capitoli, ognuno dei quali ha un titolo.

Da una prima analisi, è immediata la corrispondenza dei paragrafi ai parametri fondamentali di un sistema democratico, altrettanto essenziali affinché la democrazia non degeneri. Il titolo I è dedicato alla dignità: l’Unione Europea si impegna, così, a salvaguardare la dignità umana, il diritto alla vita, all’integrità e proibisce ogni forma di schiavitù e di lavoro forzato. Nel titolo II campeggia il diritto alla libertà: da quella di religione a quella di coscienza e di pensiero; dalla libertà di espressione e di informazione a quella di istruzione, di impresa, di proprietà; dal rispetto della vita privata e familiare alla protezione dei dati personali; dalla libertà di riunione e di associazione al diritto di asilo. Il titolo III si occupa di uguaglianza: uguaglianza di fronte alla legge, ma anche parità tra uomo e donna;  rifiuto di discriminazioni di ogni genere, ma pure tutela dei diritti dei minori e degli anziani, per giungere alla solidarietà e all’inserimento di persone con disabilità. Il titolo V è invece dedicato alla cittadinanza: si sancisce il diritto di voto e di eleggibilità per il parlamento europeo e per le elezioni comunali, nonché il diritto ad avere una buona amministrazione e l’accesso ai documenti. Interessante è il diritto di petizione con il quale è stabilito che sono sufficienti un milione di firme per proporre l’emanazione di una normativa. Si tratta di un esempio di cittadinanza attiva e di un istituto di democrazia partecipativa: i cittadini sono protagonisti  e non semplici destinatari di una  normativa che riguarda un intero continente. Altrettanto importante è il diritto di libera circolazione e soggiorno all’interno di ogni Stato membro.

Infine, il titolo VI tratta della giustizia, stabilendo il diritto di difesa, la presunzione di innocenza, il principio di legalità e di proporzionalità dei reati e delle pene. Siamo di fronte a elementi sostanziali che ampliano i diritti e rafforzano la tutela del cittadino, ma qualificano anche un sistema democratico e aperto, basato sui principi di equità, solidarietà e fratellanza. Le altre due direttrici su cui si muove l’Unione per implementare gli elementi cardine della democrazia e far sì che essa non degeneri sono: l’anno europeo e le politiche comunitarie. L’anno europeo è stato istituito nell’83, ha una cadenza annuale e nasce da problematiche fatte proprie e focalizzate dall’Unione. Si tratta di uno strumento di informazione e promozione effettuato con campagne di sensibilizzazione a livello europeo e nazionale.   Ogni anno è dedicato ad un argomento diverso, scelto in base alle necessità del momento. In sostanza l’Unione prende atto – tramite i suoi organi – che ci sono problematiche gravi e contingenti sul suo territorio, le pone all’attenzione di tutti sensibilizzando enti e cittadini per cercare di risolvere il problema. Il 2010, ad esempio, è l’anno della lotta alla povertà e all’esclusione sociale. L’esigenza di svolgere una campagna di sensibilizzazione verso questi temi nasce da alcune osservazioni statistiche: 80 milioni di cittadini europei e 19 milioni di bambini sono a rischio povertà e vivono nell’insicurezza, correndo il pericolo di venire esclusi da molti ambiti e contesti sociali. L’UE non può restare indifferente di fronte a dati simili: per questo cerca di aumentare la consapevolezza della drammaticità di tali situazioni, e di accrescere il coinvolgimento diretto dei cittadini e di altri attori istituzionali per affrontare le cause della povertà e per lottare contro di essa, usando la solidarietà e la collaborazione.

Da questi interventi – ha ancora chiarito Macheda – si evince che l’Unione Europea, oltre a creare norme e dare disposizioni, svolge attività per dimostrare la sua attenzione volta a migliorare e rendere concreti i principi democratici. Le attività che forse meglio di tutte cercano di realizzare questo obiettivo sono le politiche comunitarie, da cui derivano i programmi con un’azione più diretta e concreta, e con un arco temporale settennale. I programmi comunitari si dividono in due categorie: in quelli a gestione diretta, i cittadini interessati possono partecipare al progetto o al bando, rivolgendosi direttamente all’agenzia che lo ha emanato. Si tratta di programmi piuttosto variegati a seconda dell’obiettivo che perseguono e sono rivolti spesso a categorie di cittadini o enti (per es. anziani o studenti). I programmi a gestione indiretta, invece, sono quelli di cooperazione regionale o di coesione e sviluppo regionale (i così detti Fondi strutturali). Si dicono a gestione indiretta perché sono svolti attraverso l’intermediazione di Stati e Regioni, e il cittadino che volesse partecipare al bando dovrebbe rivolgersi alla Regione che lo ha emanato. I fondi strutturali, in concreto, sono delle politiche realizzate dall’UE per i territori che non hanno le stesse opportunità di altri più avvantaggiati. È un’attenzione particolare dedicata ai territori in difficoltà affinché svolgano azioni di sviluppo, e anche una forma di sostegno che cerca di migliorare la vita dei cittadini. La Calabria ha usufruito di POR e fondi strutturali,  rientrando nei territori economicamente più deboli. Tuttavia è probabile che nella prossima programmazione comunitaria non ne faccia più parte: nell’UE sono entrate regioni di Paesi con indicatori economici peggiori di quelli delle regioni del Sud Italia. Per cui è probabile che la Calabria ceda il posto, ad esempio, a territori della Polonia e della Repubblica Ceca.

 

Vittoria Modafferi