Spostare il focus dal “capitale” alle “persone” sembra una delle priorità per ripensare il capitalismo, per rilanciare le imprese e l’economia del nostro Paese. Ciò perché il capitale umano è il fattore centrale dell’economia, e le persone sono la vera ricchezza della nazione. Così ha spiegato Domenico Nicolò – docente di Economia aziendale all’Università Mediterranea – durante la lezione tenuta all’Istituto di formazione politica “Mons. Lanza”. Anche in Calabria spesso i giovani si formano in modo eccellente, ma purtroppo sono spesso costretti ad emigrare.
Il primo passo, tuttavia, per chi volesse restare e creare impresa è imparare a progettare. Senza una progettazione seria si rischia di fallire molto presto. Uno studio a livello europeo evidenzia, infatti, che il 50% delle imprese non arriva al sesto anno di vita, mentre quelle innovative muoiono nei primi anni. Utilizzare lo strumento del business plan, invece, può risultare utile perché consente di accorgersi in anticipo di errori macroscopici e di porre in evidenza ex ante discrepanze, incongruenze, errori di progettazione. Si tratta quindi di un modello per sottoporre a critica in particolare le proprie assunzioni, prima che lo faccia il mercato portando l’impresa al fallimento. Con il piano di impresa si capisce quale può essere l’assetto sostenibile dell’attività anche prima di avviarla.
La programmazione dunque è un elemento essenziale per la creazione d’impresa, ma non il solo. Altrettanto rilevanti sono le risorse umane, ovvero il team che gestisce l’impresa. Nelle imprese spesso contano più le persone del capitale, le capacità dell’imprenditore: questi, se gode di reputazione, è in grado di trovare il denaro anche quando non c’è. Si tratta della risorsa chiave, del bene immateriale più importante a disposizione di un’impresa. La reputazione si acquista non tradendo le aspettative degli investitori e mantenendo le promesse fatte: anche per le imprese nuove, senza tradizione, può essere “ereditata” da un componente del team. Se, infatti, uno dei fondatori ha esperienza imprenditoriale pregressa, l’impresa può attrarre risorse in virtù della stima di cui questi gode. E quindi la storia delle persone diventa la reputazione dell’impresa.
Infine, il prof. Nicolò ha sottolineato le caratteristiche delle imprese dell’area Mediterranea, che sono diverse da quelle dei Paesi anglosassoni. Queste ultime si ispirano all’etica calvinista, hanno una propria visione del mondo e dell’economia, possiedono mercati e istituzioni burocratiche organizzate in modo differente. Nei Paesi mediterranei, invece, la famiglia ha un ruolo determinante, perché aiuta a creare l’impresa o addirittura la tramanda. Le imprese familiari costituiscono il 98% del totale. Per un verso, è un fattore di debolezza perché la famiglia spesso si chiude e non accetta l’inserimento di estranei e l’apporto dei loro capitali; per un altro verso, è invece un elemento di forza, dato che per salvare l’azienda e la sua reputazione, la famiglia è disposta a rimetterci persino il suo patrimonio. Date queste caratteristiche, è chiaro che per fare impresa e sviluppare l’economia è richiesta l’elaborazione di un “pensiero mediterraneo”.
«Se vogliamo sconfiggere la disuguaglianze e la povertà nel Mediterraneo – ha concluso Nicolò – dobbiamo diffondere una specifica cultura di impresa, senza importare il modello che funziona nel mondo anglosassone, e senza omologarci al suo pensiero, perché non sarebbe opportuno né vincente».
Vittoria Modafferi