Il Singolare rapporto del cristiano con la politica: sempre in bilico fra la doverosa partecipazione attiva (alla cosa pubblica) e il necessario distacco (dal potere del mondo)

Un vero exploit di presenze si è registrato all’Istituto di formazione politico sociale “Monsignor Lanza”. Oltre novanta i corsisti iscritti e desiderosi di partecipare al seminario dal titolo “Cittadini liberi a Reggio. Dottrina sociale della Chiesa e impegno politico”. «Un dato che conforta – ha affermato l’Arcivescovo di Reggio-Bova Mons. Morosini, portando il suo saluto ai corsisti per l’avvio delle attività – e che riteniamo significativo per tale iniziativa di formazione offerta dalla Diocesi».

Anche quest’anno – sebbene nella nuova sede dei locali dell’ISSR presso il seminario Pio XI – il corso si articolerà in un ciclo di incontri tenuti da docenti universitari e professionisti, arricchiti dal dibattito in aula e dai laboratori pratici. «Sentirete diverse “voci” durante le lezioni – ha sottolineato Mons. Morosini – tra le quali ci saranno posizioni di pensiero non propriamente cattoliche. E questo perché riteniamo utile il confronto con esse per la discussione di varie tematiche e problemi. La Chiesa, infatti, riconosce che la verità non sta solo da una parte, e perciò si pone in atteggiamento di dialogo. Fiduciosa che solo dal dialogo può nascere una convivenza pacifica e serena tra differenti posizioni politiche, sociali, religiose ed ideologiche».

La pluralità di voci e di visioni del mondo è, d’altronde, una caratteristica dell’Istituto di formazione politica, che, come ha ricordato il neo direttore, il prof. Antonino Spadaro – Ordinario di Diritto costituzionale alla Mediterranea – è, sì, un ente diocesano, ma gestito da laici in modo pluralistico nel rispetto della Dottrina sociale. Presente ormai da 24 in città, il “Mons. Lanza” ha come obiettivo la formazione delle coscienze ad una cittadinanza attiva e responsabile. Ma anche – ha proseguito il docente – quello di offrire spunti di riflessione per interrogarsi su ciò che si può fare concretamente sul territorio. Venendo alla sua relazione introduttiva, il prof. Spadaro si è occupato del particolare rapporto del cristiano con la politica, iniziando a chiarire che la politica è un impegno per la giustizia sociale. «Fare politica significa lottare per la giustizia. L’ingiustizia infatti genera conflitti e guerre. I cristiani, però, sanno che la giustizia, qui ed ora, non è raggiungibile, che sulla terra non è possibile  realizzare una società perfettamente giusta. Tuttavia è doveroso “orientarsi” verso la giustizia, quantomeno cercare di costruire il sistema sociale il meno imperfetto possibile. Non solo: bisogna combattere per la giustizia sul piano globale, e non meramente locale.

Avere, cioè, a cuore gli interessi degli altri, sia di coloro che verranno, i lontani nel tempo: le generazioni future, sia di coloro che sono fuori della nostra portata, i lontani nello spazio: i non cittadini». Quanto all’impegno dei cristiani in politica Spadaro ha riproposto la distinzione fatta dal tomista J. Maritain tra tre piani: quello spirituale (verità di fede, liturgia) – in cui è doverosa l’unità tra i credenti –  quello pre-politico o intermedio (formazione, cultura, ricerca…) e, infine, il piano temporale (della politica, dell’attività diretta nelle istituzioni…) nei quali invece vale il più assoluto pluralismo. Il Professore ha letto eloquenti passi dei documenti del magistero della Chiesa – a cominciare dalla Costituzione pastorale Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II (spec. il § 43) – che confermano questa impostazione favorevole al pluralismo dei credenti nell’ambito dell’azione politica, sindacale, economica. «Non si può spendere il nome di Cristo e della Chiesa in campo politico – ha chiosato il docente. Cristo è un fine, anzi il fine, e non un mezzo: dobbiamo servirlo e non servici di lui. In questa prospettiva non è proponibile che ci sia unità dei fedeli in un  partito dei cattolici. E anche un partito di cattolici, almeno oggi, non sembra plausibile apparendo antistorico. Ogni credente, invece, deve agire da cattolico, cercando di portare la propria esperienza di fede, con la sua testimonianza di vita e con i suoi progetti a favore dei più deboli, nella consapevolezza che il campo della politica è laico ed affidato alla coscienza dei singoli. La politica infatti, come lo Stato, è laica per definizione, non confessionale. In fondo, poco importa se chi si impegna in politica sia credente o meno, perché ciò che rileva è che cerchi di risolvere i problemi per il bene comune».

Quale nota di fondo dovrebbe allora caratterizzare il cristiano impegnato in politica? Secondo il prof. Spadaro – al di là della significativa esperienza della comunione dei beni dei primi cristiani – è la scelta preferenziale dei poveri, degli ultimi. Le parole espresse nella lettera a Diogneto (seconda metà del II secolo) sono eloquenti: i credenti «Dimorano nella terra ma hanno la loro cittadinanza nel cielo». «I cristiani, cioè – ha precisato il docente – si sporcano le mani nel mondo ma non sono del mondo, e si sentono cittadini del cielo. Fanno di tutto per attuare la giustizia ma con la consapevolezza che non si può realizzare completamente. Agiscono con passione ma sapendo di essere servi inutili». Infine, a proposito della dottrina sociale della Chiesa, il direttore ha sottolineato come il magistero si sia evoluto lungo i secoli, fino a giungere a un ampio spettro di orientamenti in epoca contemporanea, dal Concilio Vaticano II in poi. «La Chiesa, in sintesi, saggiamente scarta due strade come non percorribili: quella del capitalismo puro, del libero mercato senza regole, e quella della proprietà pubblica dei mezzi di produzione, o comunismo classico.

Tra questi due estremi da escludere, resta un ampio ventaglio di opzioni, di modelli di giustizia sociale, di politiche diverse. In questo ventaglio c’è spazio per il centro-destra e per il centro-sinistra. Nello stesso messaggio della dottrina sociale della Chiesa, quindi, esiste una naturale dialettica – ed il pluralismo è ricchezza – tra una linea più favorevole al modello del mercato e una più preoccupata dei danni che da quel modello discendono. Papa Francesco si mostra chiaramente orientato più in quest’ultimo senso. Nella Evangelii gaudium molti sono i passaggi significativi al riguardo. Per esempio: «oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e dell’inequità”. Questa economia uccide […] Finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità non si risolveranno i problemi del mondo. L’inequità è la radice dei mali sociali […] Non possiamo più confidare nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato».

 

Vittoria Modafferi