Costituzione e Altruismo

Mi è stato chiesto di scrivere una breve introduzione alla Costituzione italiana del 1948, in occasione di una manifestazione di alcuni giorni (“Campus della legalità. Paideia…in direzione Barbiana”) che ha come filo rosso il pensiero di don Lorenzo Milani  rivolta prevalentemente agli studenti e promossa, fra gli altri, dall’Istituto di Istruzione Superiore (comprendente 5 indirizzi, fra cui il liceo classico e scientifico) della città di Tropea, un incantevole borgo marino della Calabria tirrenica.

L’idea che venga distribuito fra i giovani il testo della nostra Carta fondamentale mi ha molto allettato e dunque ho accettato volentieri di scrivere poche paginette introduttive sul tema, che mi è particolarmente caro.

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            Com’è noto, ogni Costituzione liberaldemocratica costituisce essenzialmente tre cose: a) dal punto di vista della filosofia politica, la carta dei valori fondamentali di un popolo; b) dal punto di vista della scienza politica, un accordo sulle principali regole del gioco politico; c) dal punto di vista strettamente giuridico, un sistema di limiti giuridici essenziali senza sovrano. Attraverso l’ultima definizione si comprende che una Costituzione è tutte e tre le cose messe insieme, ossia: il documento giuridico in cui sono fissati non solo i valori sostanziali fondamentali di un popolo, ma anche le regole procedurali più importanti che ispirano la vita sociale, vita in cui nessuno può essere veramente “sovrano” – ovvero disporre di un potere illimitato – neanche il popolo, che pure è formalmente titolare della c.d. sovranità.

L’insieme di questi vincoli giuridici sostanziali e procedurali – apicali, ossia i più importanti di un ordinamento – danno vita a un “sistema” assiologico armonico che costituisce un limite ad ogni forma di potere, sicché nessuno ne può disporre in modo illimitato. La metafora che di solito si usa per spiegare il concetto è quella della c.d. “clausola di Ulisse” (il potere sovrano che si auto-limita) e le corde con cui il sovrano di Itaca si fa legare all’albero della nave simboleggiano la Costituzione. Ciò vale in particolare (ma non solo) nel caso italiano, in cui si può parlare di una Carta liberaldemocratica e anche personalista: obiettivo ultimo e perennemente in fieri della Costituzione, infatti, è realizzare il principio di dignità della persona umana. Del resto, il popolo, in sé, non esiste se non come soggetto astratto. Esistono invece le singole, concrete persone, ciascuna delle quali è titolare di precisi diritti e doveri che la Costituzione puntualmente ricorda.

Se la dignità di ogni persona è il fine, quali sono i valori di fondo della Costituzione? Sono quelli classici del costituzionalismo, ossia: la democrazia rappresentativa, per cui i governanti non sono imposti ma devono essere liberamente scelti dai governati; il principio di uguaglianza, formale e sostanziale; i diritti e le libertà fondamentali (personale, di domicilio, associazione, riunione, circolazione, soggiorno, religione, ecc.), fino ad arrivare ai diritti sociali (al lavoro, sindacali, di previdenza, assistenza, salute, istruzione, ecc.); la separazione fra i poteri dello Stato (esecutivo, legislativo e giudiziario, ma non solo); il decentramento, quale che ne sia la forma (regionalista, federalista, ecc.) perché il potere deve risiedere il più vicino possibile al cittadino; il principio pluralista, in genere sociale (libertà di associazione), in politica (pluri-partitismo) ed in economia (libero mercato, ma regolato); oggi – grazie alla giurisprudenza della Corte costituzionale che interpreta e rende vivente la Carta – possiamo dire pure: la tolleranza inter- e multi-culturale e la laicità; infine, le garanzie e i controlli (Corte costituzionale, Capo dello Stato, magistrature, ecc.), che rendono effettivo e realmente vincolante il dettato costituzionale.

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Come si sa, quando il 2 giugno del 1946 si votò per eleggere l’Assemblea Costituente, si scelse anche la forma di Stato: perse la monarchia – che era troppo compromessa col regime fascista macchiatosi di vari crimini (non ultime le leggi razziali e una disastrosa guerra di aggressione) – e vinse la Repubblica. Anche per questo la Costituzione italiana del 1948 – nata sull’onda alla Resistenza ai nazi-fascisti, una vera e propria guerra civile di liberazione nazionale – non solo segna una rottura profonda rispetto al passato ventennio fascista, ma anche rispetto al vecchio Stato liberale ottocentesco italiano fondato sullo Statuto albertino del 1848.

La Carta italiana – non lunga né breve, ma di media lunghezza e per l’epoca avanzatissima – fu elaborata da personalità eccezionali di parti politiche diverse (Mortati, Tosato, Dossetti, La Pira, Togliatti, Basso, ecc.) rese vicine dalla comune lotta di liberazione. Esse hanno dato vita a un compromesso giuridico-politico di altissimo respiro, che ha fuso la tradizione liberale con il personalismo comunitario cristiano e il solidarismo socialista e comunista. Si tratta di una Costituzione-programma, che guarda lontano e indica le strade per perseguire obiettivi sociali e politici mai pienamente realizzati e realizzabili, dunque sempre in fieri: libertà, uguaglianza, solidarietà, giustizia, ecc.

Come tutte le umane cose, la Carta non è perfetta e non sarà eterna. Dunque non va idolatrata, come fosse un Vangelo, né va mummificata, escludendone un eventuale perfezionamento/aggiornamento. Del resto, nel corso di questi 65 anni (1948-2013), essa è stata emendata ben 35 volte attraverso l’apposita procedura di revisione costituzionale – nel 2001 riformandosi addirittura un intero Titolo, il V, della Parte II su Regioni, Province e Comuni – ma resta in assoluto una delle migliori Carte del mondo, tant’è che ad essa si sono ispirate diverse Costituzioni successive. Quasi sempre, quando si dice che bisogna riformare la I Parte della Costituzione (i c.d. principi), in realtà si “mena il can per l’aia” non sapendo come affrontare i reali problemi del Paese.

Bisogna inoltre prendere atto del fatto che la Carta italiana è una nave che ha retto a grandi burrasche: dure crisi economiche; continue crisi e corruzioni politiche; il terrorismo degli anni ’70; “tangentopoli”, dopo il crollo del muro di Berlino (1989), che ha cancellato i partiti costituenti; i continui attacchi allo Stato delle associazioni a delinquere di tipo mafioso (non ultimo la ‘ndrangheta); le tentazioni secessioniste della Lega, ecc.

Essa ha resistito e resiste ancor oggi in una società che è profondamente trasformata rispetto a quella del dopoguerra: per quanto viva una crisi economica sistemica, si tratta di una società ricca e avanzata; profondamente integrata nel tessuto europeo; molto più pluralista, multi-etnica e multi-razziale; de-ideologicizzata, secolarizzata, largamente informatizzata, ecc.

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Affinché la Costituzione italiana possa ancora resistere e continuare a svolgere la sua lungimirante funzione di “guida” e “limite” costanti per il potere politico che, attraverso le elezioni, si alternerà alla guida del Paese nel corso degli anni a venire, occorre che resti intatto lo spirito di fondo che ha animato i padri costituenti. Non è sufficiente che gli organi di garanzia (Corte costituzionale e Presidente della Repubblica) cerchino di difenderla. Occorre un più vasto consenso sociale e, quindi, che non si logori l’etica pubblica costituzionale la quale – nel suo nucleo essenziale – a ben vedere è la stessa in tutti i Paesi del mondo che adottano una Carta liberaldemocratica e personalista. Di che si tratta? Si tratta dell’atteggiamento interiore che, indipendentemente dalla fazione politica di origine, “getta il cuore oltre l’ostacolo” e si preoccupa più degli altri che della propria parte, cercando di perseguire il c.d. interesse generale o bene comune, piuttosto che un interesse individualistico o di gruppo.

Ed è su questo terreno, mi sembra, che il messaggio di don Lorenzo Milani si innesta perfettamente con lo spirito della Costituzione. Don Milani diceva: «I Care!». Mi sta a cuore! L’altro mi sta a cuore! Ecco, è proprio questo l’approccio della Costituzione, dove non a caso si parla di “cittadino” e “persona” più che di individuo (un soggetto riverso su se stesso, chiuso in senso solipsistico). «Nessun uomo è un isola»: direbbe Thomas Merton. In effetti, la persona è un uomo relazionale, che – per dirla appunto con la Costituzione – vive nelle formazioni sociali (famiglia, parrocchia, sindacato, partito, scuola, ecc.) in cui si svolge la sua… personalità.

Ciò significa che l’individuo divenuto cittadino (responsabile, attivo, partecipe) – o anche semplicemente la persona (relazionale e solidale al di là dello status di civis: si pensi agli altri cittadini UE  o extracomunitari) – è tale in quanto appunto ha a cuore, come diceva don Milani, anche gli altri, avverte insomma l’idem sentire de republica, sente il c.d. senso dello Stato. Potremmo dire, in breve, ha senso della cosa pubblica, e quindi che apparteniamo tutti alla stessa comunità civile e umana.

Purtroppo noi calabresi talora dimentichiamo tutto questo. Gli egoismi di parte, persino un malinteso senso della famiglia, il clan, sembrano prevalere, fino a dar vita al triste fenomeno del “familismo a-morale”, ovvero ad una morale ad uso e consumo egoistico di un gruppo ristretto.

Ciò che accomuna, invece, il concetto di Costituzione (e in genere il costituzionalismo) e il pensiero (e la testimonianza) di don Milani è l’idea – apparentemente eversiva, ma in realtà fondativa di ogni società autenticamente civile – che ci sono gli altri, che gli altri vanno messi al centro, a maggior ragione se sono poveri, emarginati, diversi, ultimi.

Insomma, la parola d’ordine dimenticata della Costituzione è quella di fratellanza, altrove esplicita; si pensi, per esempio, nella pur laica tradizione francese, al richiamo alla fraternité. Da noi, è invece implicita, ed espressa sotto molti altri nomi: libertà, uguaglianza, assistenza, solidarietà, ecc.. In questo senso potremmo dire che il concetto sottinteso alla Costituzione è etero-centrismo, non auto-centrismo. Se si preferisce, più semplicemente: l’altruismo. Chi è egoista, quindi, non  può comprendere il senso profondo di ogni Costituzione.

A ben vedere, insomma, ciò che accomuna la straordinaria testimonianza di don Milani e la tradizione costituzionalistica di tutti i tempi è l’attenzione per l’altro, un atteggiamento che non a torto potremmo definire agapico, perché gratuito fino al sacrificio integrale.

In breve, per quanto forse a qualcuno possa sembrare strano, don Milani e la Costituzione sono accomunati dal “sentimento religioso”. Il costituzionalismo, del resto, è un fenomeno storico laico ma con chiare radici “religiose”. Cos’è, infatti, se non una chiara forma di religiosità l’amore dei lontani espresso dal costituzionalismo contemporaneo? L’amore per i lontani “nello spazio” (non cittadini), visto che i diritti inviolabili sono “di tutti”, anche dei non cittadini, e l’amore dei lontani “nel tempo” (generazioni future), visto che il costituzionalismo si preoccupa di tutelare le aspettative (a un ambiente salubre, a un’equa distribuzione delle risorse, ecc.) anche di coloro che ancora “devono nascere”?

Tante nobili figure di italiani – non solo quella di don Milani – hanno reso possibile allo spirito della Costituzione del 1948 di resistere fino ai nostri giorni, semplicemente perché hanno testimoniato l’etica pubblica costituzionale, quale che fosse la loro Weltanschauung di origine. Alcuni di questi eroi  sono noti – l’avv. Ambrosoli che ha difeso gli interessi dello Stato  (nel caso Sindona), Padre Puglisi e i tanti giudici assassinati dalle organizzazioni criminali (in Sicilia, per esempio, Falcone-Borsellino-Livatino; in Calabria, Scopelliti) – altri invece, la gran parte, sono oscuri cittadini che semplicemente fanno, fino in fondo, il loro dovere: imprenditori e commercianti che non pagano il pizzo, poliziotti e carabinieri che non esitano a rischiare la vita, i ragazzi di “ammazzateci tutti” della Jonica calabrese, militari che svolgono realmente missioni di pace e non di guerra, cittadini del Nord che non esitano ad esporre il tricolore fuori dei balconi, funzionari integerrimi che resistono a ogni forma di corruzione, semplici persone che hanno scelto di fare liberamente volontariato, ecc.

Nonostante la nostra sia una società profondamente frammentata, edonistica e consumistica, in cui talvolta sembra che localismi ed egoismi sembrano prevalere, finché ci saranno italiani non auto-centrici, ma etero-centrici – ossia italiani a cui “stanno a cuore” (per dirla con don Milani) le sorti degli altri – lo spirito della Costituzione del 1948 sarà vivo e con essa, sarà viva la Carta repubblicana.

In questo senso, senza alcun dubbio Costituzione e altruismo sono due facce di una stessa medaglia e, almeno dal punto di vista politico, l’una non può esistere senza l’altro (e viceversa). Dunque possiamo dire, infine, che Costituzione è altruismo.

Prof. Antonino Spadaro