In questo frangente è necessario superare le dinamiche quotidiane ed affrontare il tema della crisi politica italiana evidenziando possibili sviluppi, ben oltre l’attuale crisi di Governo ingenerata dalle mosse tattiche di Renzi.
Se ci si limita, infatti, a spendere energie per “correre dietro”, intendo nell’analisi politica, a questo o a quel “responsabile” – al “mercato degli acquisti” posto in essere dagli sherpa di Conte o, di contro, realizzato con le succulente offerte di una candidatura sicura, da parte di Salvini, ai possibili transfughi forzisti – rischiamo tutti di avvilupparci a meschinità senza respiro.
Questo frangente passerà – come è normale che sia nel Paese europeo più “esperto” nella gestione delle crisi di Governo – ma non sarà significativo per il futuro se non si metteranno in campo prospettive di ampio respiro, una ristrutturazione e ricomposizione – per i tempi nuovi – del Polo Conservatore e di quello Riformista.
Italia Viva, con la mossa di Renzi, sembra evidente, ha accelerato la tendenza ad uscire dall’ambito del Centrosinistra ed è credibile un avvicinamento, sempre più inteso come “naturale”, a ciò che residuerà di Forza Italia, a quelle forze moderate che con difficoltà sempre crescente resistono, ormai da troppi anni, al pericolo di essere fagocitate dal Sovranismo in salsa leghista.
Di certo, la progressiva uscita di scena politica di Berlusconi potrà aiutare questo transito: già da tempo, infatti, sicuramente dalla sua uscita dal PD, il Matteo di Rignano è considerato – anche per il suo atteggiamento guascone e spregiudicato – il più autentico erede dell’ex Cavaliere.
Per quanto riguarda i “riformisti”, il dilemma si pone per la mutazione “genetica” in corso nel Movimento Cinque Stelle.
Si tratta di porre un argine alla dissoluzione e alla frammentazione grillina.
Una deriva ingenerata, occorre riconoscerlo, da uno spregiudicato indifferentismo contenutistico che li ha portati, nel Palazzo, a rappresentare una sorta di blob della rappresentanza, buono per appoggiare (assecondando le più diverse esigenze di potere dei tanti leaders) tanto un Governo con la Lega quanto, immediatamente dopo, un altro con il Partito Democratico.
Non sono riusciti, però, politicamente, ideologicamente, programmaticamente, a realizzare la sintesi generale di un percorso che, così, sembra essere, per lo più, il mero frutto di necessità contingenti legate al mantenimento di ruoli e potere e che, nei territori, sta dilaniando le diverse componenti, deflagrate nell’incertezza ideologica e valoriale dopo il tramonto del culto populistico del “Vaffa”.
Una possibile via d’uscita – per il Movimento – è un Giuseppe Conte leader di Partito, che sappia raccogliere il testimone delle istanze originarie, che sappia declinare in senso popolare, istituzionale e liberale l’ansia di cambiamento dei sostenitori.
In un certo senso, è così avvenuto con il mutamento d’atteggiamento nei confronti dell’Euro e della UE; in questo contesto “sovra-nazionale”, infatti, si è apprezzato un percorso complesso, di dialogo, di approfondimento, e di progressivo allontanamento dalle istanze eversive della neo destra euroscettica, che ha condotto – è bene ricordarlo – al voto dei Cinquestelle, nel 2019, a favore della Commissione guidata dalla presidente Ursula von der Leyen.
La nascita o lo sviluppo di un nuovo gruppo politico legato all’esperienza “post- grillina”, contribuirebbe alla formazione di un nuovo Centrosinistra per ora solo malamente abbozzato dalla coalizione governativa giallo-rossa.
La contrapposizione epocale dei prossimi anni sarà sempre di più quella tra Società Aperta e Società Perfetta (populista e autoritaria).
Le “estreme” vanno depoliticizzate o saranno guai e il ruolo di Conte è proficuo – sul lungo termine – proprio in tal senso: come traghettatore dei grillini oltre il grillismo.
Per la Destra, invece, non si intravede al momento una metamorfosi possibile: il “cattivismo” di Salvini/Meloni strozza del tutto una possibile evoluzione liberale.
Questi, coltivano intimamente per il futuro (sulla scorta di Trump/Orban) il mito nefasto del “Super Uomo” con i suoi “pieni poteri”, quando sarebbe augurabile, invece, molto meno per questa area politica: il passaggio dalla scimmia (o dal “barbaro”) all’uomo civile.
L’appoggio di tanti, infatti, sui “social” italiani alle iniziative violente, cripto-rivoluzionarie, dei sostenitori di Trump, finite con l’assalto al Congresso degli Stati Uniti (il Parlamento è sempre la “vittima” dei vecchi e nuovi cultori dell’autorità, del Capo), svela l’ideologia di fondo che anima il popolo di quelli che, retoricamente, anche in Italia, si definiscono patrioti, nazionalisti, cultori del “prima noi”:
Il superamento, per progressivo sgretolamento dall’interno, dello Stato di Diritto, della Costituzione, della sovranità della Legge e dei vincoli internazionali, della centralità dei Diritti Umani (anche e soprattutto dei rifugiati), per giungere ad un sistema illiberale.
Quel sistema, appunto, vagheggiato da Orban e da Putin, nel quale prevale una “piena discrezionalità” – che può concretizzarsi con la costruzione di muri di contenimento, con la chiusura dei porti, con l’esercizio di forme di sequestro collettivo di minoranze – esercitata a tutela di una “comunità” rappresentata come sotto attacco e vittima delle imposizioni – dall’alto – di asserite strutture “tecnocratiche” internazionali, UE e ONU in primis.
Il conflitto, dunque, tende a polarizzarsi, e la “democrazia” si apre ad una possibile frattura interna tra “interessi” rappresentati demagogicamente e “regole” vissute come inutili impedimenti al perseguimento spicciolo.
Nella Storia d’Italia, proprio in un frangente simile, all’indomani di una guerra feroce e distruttiva, nel contesto di una “crisi” di identità e di ripartenza, di fronte alla tentazione palingenetica, al baratro del cambio di sistema, fu il Centrosinistra a ricucire il legame tra popolo e diritto, a rilanciare il metodo liberale e il progresso sociale.
Per questo, credo, si debba lavorare anche oggi, con uno spirito di coalizione finora assente che punti al Bene Comune e non all’azzardo del qualunquismo becero di chi, dopo avere ingenerato divisioni e incomprensibili distinguo, si appresta – nel sicuro fortino predisposto dai propri sodali – a gustarsi lo spettacolo del declino del Paese.
Enzo Musolino