Il Cuore – e ciò emerge in tutta l’enciclica (https://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/20241024-enciclica-dilexit-nos.html) – è un organo riassuntivo: dice di un tutto complesso manifestandone il senso più profondo.
Per questo il Cuore è verità nel significato della sincerità: un sentire totale, un’articolazione riuscita tra il concetto espresso e il profondamente vissuto che è più dell’organizzazione del vero in categorie asettiche, disincarnate, disumane.
L’intimo è il Cuore e questo intimo è in dialogo con il “tu” riconosciuto come compagno di strada e di sorte.
Il Cuore, quindi, è unità, fratellanza, amore, destino comune.
“L’anticuore”, invece, è la frammentazione della visione d’insieme, la perdita dell’unità nei limiti dell’individualismo che non ci dicono nulla dell’uomo – delle sue comunità – proprio perché il singolo è ridotto a meccanismo utile solo al mercato delle merci, come il rottame di una modernità inautentica.
E per vivere davvero come donne e uomini, quindi, cosa è davvero necessario? Non solo la luce ma il fuoco.
Perché la luce – indispensabile – non basta a comprendere il “tu”, non serve a generare e sperimentare quella prossimità che scalda e che impedisce la violenza.
Le ragioni, le tante ragioni in campo producono solo conflitto se non opera il compromesso pacificante.
Solo il Cuore è capace di superarle in un significato più alto e, allo stesso tempo, più umano: la Pace è specchiarsi nell’altro.
Il Cristo dice “Misericordia voglio e non sacrifici” (MT, 9, 13) e così lo spazio del Cuore si declina come compassione che trasforma il senso della giustizia.
È l’infinito intimo della fratellanza che entra nel finito di un giudizio limitato.
Il Cristo/Cuore è il “centro” del silenzio che spalanca le porte all’accoglienza del diverso, del peccatore, a costo di mettere in crisi le nostre acquisizioni moralistiche, clericali.
La spiritualità algida, in tal senso, è una spiritualità legalistica, fondata su un’alterità lontana, fredda: è il culto di un mistero cogente, senza vita e senza amore.
In questo Tribunale degli eletti, la perfezione fa il paio con la “predestinazione” dei perfetti, dei giusti, dei già salvi.
Cosa c’entra questo con Cristo?
L’uomo è imperfetto e ferito – così si esprime Francesco – e nella fede può trovare la misericordia che salva: il fuoco.
Se “il merito è nel ricevere” – ci dice l’enciclica – ciò significa che non abbiamo davvero meriti da rivendicare.
La fede intima, quella dell’abbandono fiducioso nelle braccia del Padre, è impotenza liberatrice innanzi alla misericordia del dono.
Siamo imperfetti e sbagliamo e anche per questo Dio ci ama:
perché l’uomo, dagli abissi della propria miseria, è anche capace – come un bambino – di aprire le braccia all’amico che ci comprende.
È il Cuore che apre il “giudizio” alla sua revisione quotidiana, costante, di coscienza: non una volta per sempre ma sempre ogni volta.
“Il dominio politico del cuore” di cui tratta la “Dilexit nos” è, in ultima istanza, un potere di tutti, autolimitante: la Sovranità disarmata è solo quella della Croce, dei cristi-crocifissi, dei dimidiati.
L’opzione preferenziale per poveri non è comunismo, ha precisato recentemente Francesco, è Vangelo, solo Vangelo.