La comunicazione positiva per favorire la partecipazione costruttiva nella famiglia e nella società

Cinque regole, una legge universale e una lista di errori comuni ma che andrebbero evitati. Potrebbe riassumersi così una lezione sulla “comunicazione positiva per favorire la partecipazione costruttiva nella famiglia e nella società”.

Ed infatti all’Istituto di formazione politica “Mons. Lanza” l’avvocato e mediatore familiare Maria Teresa Montesano si è confrontata con i corsisti su questo interessante argomento. La sua relazione ha inizialmente definito i cinque assiomi fondamentali della comunicazione, presentati dallo psichiatra austriaco Watzlawick.

La prima regola afferma che non si può non comunicare: tutto è comunicazione, persino il silenzio. Infatti gli esseri umani comunicano per l’80% attraverso la gestualità, la mimica, l’espressione del volto e solo per il 20% con il linguaggio verbale.

Il secondo assioma dichiara cha accanto al contenuto, la comunicazione ha un aspetto relazionale. Ogni volta che si comunica con qualcuno si crea un legame e si aspetta dal ricevente una risposta, detta feedback. I rapporti tra persone sono quindi riconducibili a tre modelli: una relazione di conferma, se la relazione tra emittente e ricevente è adeguata e accettata, ovvero se ci si comprende. Una relazione di rifiuto quando il ricevente non è d’accordo e disapprova; e infine una relazione di disconferma se l’emittente manda messaggi che tendono a negare l’esistenza dell’interlocutore.

Il terzo assioma asserisce che la natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione. Dove per punteggiatura si intende il segno della comunicazione, il fatto che un messaggio parte e provoca un feedback. Questa regola indica come non sia facile stabilire chi inizia la comunicazione e come l’andamento non sia regolare. Infatti si è osservato che quando si mettono punti esclamativi, ovvero si esagera e ci si altera, la reazione che si ottiene è uguale e contraria, perché l’interlocutore reagisce seguendo, imitando, l’altro e si crea una escalation di rabbia che può esplodere.

Il quarto assioma dice che gli esseri umani comunicano sia con il modulo verbale che analogico: mandiamo tanti segnali che, letti bene, possono aiutare a interpretare la comunicazione.

Il quinto assioma, infine, afferma che le relazioni possono essere simmetriche, se si svolgono tra pari, o complementari se c’è una persona che prevale. Infatti la comunicazione muta in base al tipo di relazione che si ha con gli altri (in famiglia si comunica in un certo modo e sul luogo di lavoro in un altro) e le stesse modalità di comunicazione cambiano se ci si sente in una posizione di potere o di sudditanza nei rapporti con le altre persone.

Al di sopra di questi assiomi – ha proseguito la Montesano – si erge la legge universale: quando parliamo siamo convinti che ciò che diciamo possa arrivare direttamente al ricevente. In realtà non è proprio così, perché il ricevente interpreta e fa proprio il messaggio che può risultare diverso da come lo aveva espresso l’emittente.

Ecco quindi che si affacciano gli errori di comunicazione, che consistono nel vagliare con il nostro filtro ciò che viene detto, nell’aspettarci che gli altri la pensino e comunichino come noi, che provino gli stessi sentimenti e abbiano le medesime aspettative. Esigiamo cioè che i rapporti vengano filtrati secondo il nostro punto di vista. Mentre sarebbe fondamentale sviluppare empatia, cioè mettersi nei panni degli altri.

L’avvocato Montesano è passata poi a considerare gli errori della comunicazione, tra i quali il più comune e più banale è la puntualizzazione. Questa modalità cerca di portare le cose su un piano razionale, mentre spesso c’è un substrato di emozioni e sensazioni che vanno tenute presenti perché sono il cuore del messaggio. In tal modo si razionalizza ciò che andrebbe gestito diversamente, e si provoca nel ricevente una reazione irrazionale. Il secondo errore è la recriminazione con la quale si mette sotto processo l’altra parte, si analizzano le sue colpe e si suscita la ribellione. Il terzo atto comunicativo negativo è il rinfacciare, che si realizza quando si accresce la colpa dell’altro. Anziché ridurre ciò che dovrebbe essere corretto, si rinfaccia una colpa e la si amplifica. Nella vittima così cresce la rabbia che la porta a rinfacciare a sua volta, creando un’escalation che conduce ad un’esplosione.

Un ulteriore errore è la predica, atteggiamento con il quale si critica il comportamento altrui  e si propone il modello di ciò che è giusto, della morale, portando però ad una reazione di trasgressione. Infine, il biasimo esprime un giudizio non solo sull’azione sbagliata bensì sulla persona, giudizio che è generalmente distruttivo. Così come sono negative frasi come “te l’avevo detto io”, o “non mi hai dato retta” che squalificano l’altro ritenendolo incapace di rendersi conto dei propri errori.

Infine la Montesano ha parlato del dialogo strategico, che non consiste nel convincere gli altri a pensarla a nostro modo, bensì vuol dire instaurare un dialogo costruttivo, in modo tale che l’emittente sappia cosa deve dire e sia sicuro di far arrivare all’altro il suo messaggio e poi ascolti a sua volta l’interlocutore. Attraverso dei piccoli accorgimenti come l’approccio iniziato con una domanda invece che con una affermazione (es: “quest’anno andremo in vacanza al mare o in montagna?”), o la verifica che induce l’altro a riflettere su ciò che ha detto (“se non sbaglio hai detto che…”), o l’uso di immagini per evocare il proprio stato d’animo (“mi sento come una pentola a pressione”, pronta a scoppiare per la stanchezza), la comunicazione può diventare effettivamente un momento di relazione costruttiva e di crescita.

Vittoria Modafferi