La politica come “amico-nemico” in C. Schmitt: dato di partenza ma non di arrivo – Abstract Dott. Vincenzo Musolino

Una categoria squisitamente esistenziale e va messa da parte una facile interpretazione bellicistica della stessa. La dinamica autonoma del ‘politico’ non è per Schmitt, infatti, la contrapposizione in assoluto più intensa rinvenibile nella storia umana, in quanto tale dialettica politica ‘concreta’ – che potremmo ben definire come contrapposizione esistenziale di tipo pubblico – può essere superata in intensità e giungere automaticamente allo scontro bellico da una forma di opposizione più radicale, di natura eminentemente ideologica, fondata su istanze spirituali superiori quali, ad esempio, Verità e Giustizia. In tali contesti – in quelli attualissimi della «guerra contro la guerra» o della «ultima guerra finale dell’umanità» – lo scontro supera il significato eminentemente politico per approdare ad una dialettica annientante e definitiva nella quale il nemico non è più il mio nemico pubblico ma il nemico dell’umanità. Il senso proprio della riattualizzazione della ‘guerra giusta’, dunque, riposa per Schmitt in un superamento verso l’alto del livello dello scontro proprio del ‘politico’ e si esprime nel giudizio veritativo ed assoluto.
L’associazione/dissociazione amico-nemico delineata da Schmitt si appalesa come categoria insieme diversità delle forme esistenziali, ma che nulla ha a che fare con l’uso strumentale della Verità e con l’odio personale. Il concetto assoluto di nemico, tipico di un certo teologismo settario e dell’ideologismo partitico è rifiutato espressamente da Schmitt che preferisce ‘misurare il nemico’ e la sua forza anche e soprattutto per approdare ad una pace giuridica frutto della determinazione dei confini comuni, piuttosto che annientarlo. Quello politico, dunque, non può essere il grado più
estremo dello scontro, pur essendolo in misura elevata, in quanto il nemico a tale livello è sempre un nemico pubblico concreto e, quindi, rappresentativo di un ordine (giuridico) e di uno stile sociale
che ha senso avversare ma non odiare. Il massimo livello intensivo dello scontro è, dunque, proprio di un altro centro di riferimento metafisico che ideologizza strumentalmente il dato teologico.
Ancora, la figura del nemico in Schmitt risponde all’esigenza primaria ed essenziale non solo dello Stato, ma anche dell’individuo, di ‘autochiarificazione’ in rapporto all’alterità, la quale, così, assume una primaria funzione identificante: chi posso in generale riconoscere come mio nemico? Evidentemente soltanto colui che mi può mettere in questione. Riconoscendolo come nemico, riconosco ch’egli mi può mettere in questione. E chi può mettermi realmente in questione?
Solo io stesso. O mio fratello. Ecco. L’Altro è mio fratello.

Bibliografia
a) Opere di Carl Schmitt:
Politische Theologie. Vier Kapitel zur Lehre der Souveränität, Duncker & Humblot, München-Leipzig 1922; tr. it. di P. Schiera, Teologia politica: Quattro capitoli sulla dottrina della sovranità, in Le categorie del ‘politico’, a cura di G. Miglio e P. Schiera, il Mulino, Bologna 1972.

Begriff des Politischen, Duncker & Humblot, München-Leipzig 1932; tr. it. di P. Schiera, Il concetto del politico, in Le categorie del ‘politico’, a cura di G. Miglio e P. Schiera, il Mulino, Bologna 1972.

Ex captivitate salus. Erfahrungen der Zeit 1945-47, Greven Verlag, Köln 1950; tr. it. di C. Mainoldi, Ex captivitate salus. Esperienze degli anni 1945-47, Adelphi, Milano 1987.
Theorie des Partisanen. Zwischenbemerkung zum Begriff des politischen, Duncker & Humblot, Berlin 1963; tr. it. di A. De Martinis, Teoria del partigiano. Integrazione al concetto del politico, Adelphi, Milano 2005.

b) Altre opere consultate:
Voegelin, E. La nuova scienza politica, tr. it. di R. Pavetto, Borla, Roma 1999.
Musolino, V. Eccezione e Trascendenza. La Teologia Politica di Carl Schmitt, Disoblio Edizioni, Bagnara, 2015.