Il 17 ottobre ha preso avvio il percorso formativo organizzato annualmente dall’Istituto di formazione politico-sociale intitolato a Mons. Lanza, attivo a Reggio Calabria da oltre trent’anni. La direttrice dell’Istituto Magda Galati ha presentato il programma che avrà per tema “politica e disordine mondiale: percorsi di formazione e partecipazione politica tra globale e locale” e il già direttore Antonino Spadaro ha introdotto il primo incontro “la presenza cristiana nel Medio Oriente che brucia” con la partecipazione online di Don Valerio Chiovaro, in diretta da “casa Kerigma” a Gerusalemme. Numeroso e attento il pubblico intervenuto in aula Farias che ha ascoltato la testimonianza e le riflessioni dell’assistente pastorale del Patriarcato di Gerusalemme, sintetizzabili in tre parole: fragilità, speranza e stupore.
La fragilità è insita in una società come quella attuale descritta dal filosofo sudcoreano Han come “società senza dolore”, in cui viene a mancare l’alfabetizzazione emotiva e morale di condivisione del dolore. In questa logica che anestetizza il dolore – ha ricordato don Valerio – il cristianesimo va controcorrente e, come l’esempio di prossimità del buon samaritano, sceglie di abitare la sofferenza, senza rimuoverla né spettacolarizzarla. Così può essere letta anche la presenza cristiana negli scenari di guerra.
Ne è seguita una disamina della guerra come rivelazione del male e massima espressione della disumanizzazione, segno che il progresso non sia bastato a rendere più umani i cuori. Per i cristiani infatti non si tratta solo di un evento geopolitico, ma di un segno rivelatore che il male esiste, al di là di ogni ipocrita negazione.
Recatosi in missione a Gerusalemme da prima dello scoppio della guerra, don Valerio ha raccontato che inizialmente non c’era la consapevolezza che ci si sarebbe ritrovati in uno scenario di desolazione ma anche di umanizzazione. In aree di conflitto le risposte possibili che la presenza cristiana può offrire – a suo dire – sono il discernimento, la consolazione operosa e la custodia della dignità. Il “discernimento” continuo consente di intervenire con prontezza e valutare le opere più urgenti da compiere; la “consolazione operosa” è il gesto di prossimità di chi aiuta, nutre, protegge, media, tenta la conciliazione; la “custodia della dignità” presuppone la consapevolezza che tutti gli esseri umani, anche in contesti di distruzione e conflitto, conservino una parte di umanità che non va calpestata.
È proprio dalla fragilità che può emergere la speranza, un dono che matura con l’esercizio della fede. La speranza cristiana differisce dal banale ottimismo dei non credenti perché non nega il dolore ma lo attraversa: si percepisce dove c’ è sofferenza, anche camminando per le strade di Gaza e incontrando gli esiliati, o tra i terremotati di Antiochia in Turchia. «Dove c’è speranza nascono legami, si condividono pesi, si inventano modi per resistere al male senza diventare come il male»: queste le parole di Don Valerio dalla missione della Chiesa Madre di Gerusalemme.
Infine il riferimento di don Valerio allo stupore: «Solo uno sguardo capace di stupore riconosce che nonostante tutto il bene è possibile qui e ora».