Allontanare il senso di scoramento, il pessimismo che genera impotenza. E guardare ai fatti con una prospettiva di ottimismo.
Sono questi gli obiettivi di una scuola di formazione politica, che non può permettersi di subire una cultura dominante, che conduce verso l’apatia e la rassegnazione. Con questi sentimenti si è svolto nei giorni scorsi il laboratorio politico presso l’istituto di formazione socio-politica “Mons. A. Lanza” guidato da Magda Galati – docente della scuola.
Due gli argomenti che hanno aperto la riflessione dei corsisti, riuniti in gruppi per l’elaborazione di valutazioni e proposte.
Il primo, ha riguardato una considerazione generale sulla crisi politica che sta attraversando l’Italia. Il secondo tema è stato incentrato sulla flessibilità e il precariato nel mondo del lavoro.
Nell’esaminare la complessa situazione in cui si trova il nostro Paese, la Galati si è soffermata sull’asprezza del linguaggio, e sull’aggressività della comunicazione che investe la politica.
«E’ lampante – ha affermato la docente – che i toni della discussione hanno raggiunto livelli molto alti. C’è un rincorrersi con acredine da parte della classe politica, che invece di dialogare si lancia nelle accuse e nelle offese personali. In questo modo, si fa un gioco delle parti, che non è costruttivo e non aiuta a risolvere le problematiche del Paese. E si genera uno stato di sfiducia, di pessimismo. Ma noi tutti, in quanto cittadini, abbiamo l’obbligo di comprendere i fatti, per poter intervenire e non lasciarci abbattere dalla paura. Altrimenti gli episodi di violenza e di aggressività si moltiplicheranno a dismisura».
La docente si è poi fermata sul quadro politico che si è delineato negli ultimi mesi, dando una lettura cronologica, senza valutazioni né commenti di parte. «La sensazione diffusa è che i partiti stiano cambiando fisionomia, e si trovino in una fase di passaggio simile a quella degli anni ’90. In questo contesto, si è inserita la nascita del Partito democratico, avvenuta, per la prima volta, non per scissione ma per aggregazione. Tuttavia, il nuovo soggetto politico nasce con alcuni problemi. Il primo, è il non aver concesso molto tempo alla base per potersi confrontare, ragionare e decidere sulla vita del partito. È mancato il momento della larga partecipazione.
Il secondo limite, è quello della cosiddetta fusione a freddo. Nella scelta dei candidati premier, si è fatto in modo che ogni partito che partecipava alla nascita del PD, avesse una rappresentanza proporzionale. Questo metodo ricorda molto la partitocrazia della Prima Repubblica. Un altro problema è sopraggiunto dall’uscita dal partito di Dini e di alcuni seguaci. Inoltre, sul piano europeo, gli ex DS e gli ex Margherita che sono confluiti nel PD, non siedono insieme nel Parlamento di Strasburgo. Tutto questo fermento ha provocato delle reazioni a catena. Berlusconi, leader dell’opposizione, a novembre tenta la spallata, ma la finanziaria passa. I suoi alleati, Fini e Casini prendono le distanze e aprono uno spiraglio per il dialogo con Veltroni. Berlusconi, a sorpresa, scioglie la CDL e vuole costituire un nuovo soggetto politico, il “popolo delle libertà”. Nel frattempo, il presidente della Camera, Bertinotti, che dovrebbe mantenere una posizione di neutralità dovuta alla carica istituzionale che ricopre, afferma che il governo ha fallito il suo compito. Si tratta di una dichiarazione che interpreta il malessere dell’elettorato di Rifondazione comunista, ma che indebolisce il governo, genera maggiore confusione e incertezza. La maggioranza politica, dunque, non c’è più. E questo succedersi di vicende, ha dimostrato come le coalizioni eterogenee, non riescano a sopravvivere alle diverse contingenze. Nonostante abbiano cercato di lavorare sui programmi e di trovare punti in comune. Qual è lo scenario che si apre? Credo che sia indiscutibile la necessità di una riforma elettorale, che dia più possibilità ai cittadini di scegliere, al di là del modello che si vorrà adottare. Inoltre, è indispensabile una prova di maturità della classe politica, che deve mettere da parte la ricerca del consenso ad ogni costo. E cerchi di realizzare quell’ingegneria politica, che permetta al Paese di andare avanti, che offra sviluppo economico, lavoro, pacificazione e sicurezza».
Nella seconda parte dell’incontro la Galati ha parlato di flessibilità e precariato, lasciando ai corsisti la possibilità di riflettere sul tema. «Anni fa si iniziò a parlare di lavoro flessibile come di un qualcosa di positivo. Perché poteva aiutare a combattere la disoccupazione. Nacquero i contratti di formazione e lavoro, e poi una serie di contratti atipici. Si diceva che la flessibilità consentiva di entrare nel mercato del lavoro, di cambiarlo a seconda dell’affinamento delle competenze e del livello economico. Di fatto questo non è avvenuto. Anzi, si è passati dalla flessibilità al precariato, che dà l’idea dell’adattamento a qualsiasi impiego senza tutele, e della profonda ingiustizia che è insita. È diventato, infatti, un modo per ridurre le spese, usufruire di agevolazioni previdenziali, ed avere guadagni economici. Il vero problema, dunque, non è la flessibilità ma la mancanza di diritti fondamentali, il fatto di non tenere in conto la dignità della persona. Certo, il mercato del lavoro è condizionato dalla situazione economica complessiva, ma questo non significa che la classe politica non possa governarla. E che non debba avere un atteggiamento di cura, un agire corretto, che non utilizzi i mezzi che creano occupazione, per un interesse privato o di gruppo. Altrimenti si genera una situazione di bisogno che fa nascere un voto clientelare. E gli istituti e gli strumenti giuridici servono a ben poco». Qual è allora l’atteggiamento auspicabile da parte di tutti i cittadini? «Di fronte a questi scenari, credo che non ci si debba abbandonare al pessimismo, ma essere positivi e propositivi. Cercare modalità nuove laddove non c’è lavoro, curare la propria formazione professionale e umana, affinare le competenze».
Vittoria Modafferi