Riprendendo sinteticamente il filo del discorso svolto nel precedente incontro all’interno del ciclo seminariale che quest’anno l’Istituto di formazione politico-sociale “Mons. Lanza” sta proponendo sul tema: Dall’indignazione all’impegno Strade nonviolente per uscire dal sistema, Giovanna Cassalia – docente di Antropologia filosofica presso l’Istituto superiore di scienze religiose di Reggio Calabria – ha ribadito il suo pensiero secondo cui la crisi attuale è essenzialmente crisi antropologica.
Il sistema di vita consolidatosi negli anni si è nutrito di logiche irragionevoli e violente, centrate sulla idolatria del denaro e sulla sottomissione ai suoi imperativi. Entrato questo sistema in crisi, ci troviamo di fronte a un bivio: salvare l’uomo e tutto ciò che è bene per lui o salvare il sistema e il modello culturale che lo sostiene? Appare abbastanza evidente che, invece che il bene che è l’uomo, con la sua esigente domanda di realizzazione, si è fin qui scelto di salvare il sistema, di ristorarlo. Proprio quel sistema – ha sostenuto la Cassalia – ordinato e consacrato alla produzione del bene-denaro senza ritegno, senza ripensamenti, e senza provocare significativi sussulti delle coscienze personali e collettive. Coscienze che il sistema ha peraltro provveduto scientificamente a distrarre, a disorientare, ad addomesticare, a tacitare. Al costo d’una crescente disumanizzazione. Ora, è abbastanza facile capire che, se è bene per l’uomo ciò che gli permette di conservare, promuovere, realizzare ‘in verità’ il suo essere uomo nella società e nel mondo, il denaro, divenuto unica misura tirannica delle esistenze e delle relazioni, va nella direzione opposta. Generatore e moltiplicatore di se stesso, e non più corrispondente al lavoro, alle attività di produzione di beni e servizi utili e funzionali alle persone, il denaro è divenuto fine e non più mezzo.
La politica ha qualcosa da opporre a tutto questo? O continua a unirsi, come sembra abbondantemente propensa ancora a fare, al generale e diffuso ossequio ai protocolli globali d’esistenza, che rafforzano i forti e indeboliscono i deboli? – si è chiesta la docente.
Oggi riecheggia di continuo il richiamo a due parole d’ordine: concretezza e pragmatismo. Legittimi e necessari, l’una e l’altro, ma non sufficienti a garantire il ‘ben agire’. Basta con le astrazioni, con le belle parole, ci vogliono fatti – si dice. E competenze per fare. Portare a casa risultati. E la retorica delle politiche del fare ha buon gioco. Ma l’agire politico non è semplicemente fare. E fare ciò che è funzionale alle logiche dominanti – ha tenuto a precisare la Cassalia.
“Non basta fare delle cose, che siano misurabili e propagandabili, per star bene, e fare star bene, e bene insieme. Le cose che si fanno ci fanno star bene se hanno un senso. È il senso ciò che cerchiamo nella nostra vita. Un senso per noi, per tutti. E dar senso alle relazioni, alle cose, vuol dire realizzare veri incontri. Il senso è dato nell’incontro, che non è mai riducibile alla sola contabilità dei risultati che si conseguono, o ai preventivi e consuntivi delle applicazioni di protocolli relazionali standardizzati e anonimi. È nella fecondità e novità d’ogni incontro che si deposita il senso”.
E ciò avviene nella misura in cui nelle relazioni si attiva l’intelligenza del cuore. Ciò vale per gli incontri interpersonali, e per quelli che costruiscono il complesso tessuto della società degli uomini, e vale anche nella sfera dell’esperienza politica: quella intesa in senso stretto, che si svolge nelle istituzioni, e quella, in senso più ampio, che tutti – consapevolmente o no – esprimiamo. Da attori e autori consapevoli e responsabili, oppure da servi obbedienti. La configurazione della società prende forma dunque dalle modalità in cui si esprimono le relazioni interpersonali, sociali, politiche: è lì che matura e si consolida il positivo e il negativo, i valori e i disvalori, intorno a cui si polarizza una data esperienza di convivenza civile – dice la Cassalia.
Dunque, attivare l’intelligenza del cuore.
Intelligenza e cuore, strettamente connessi nel comune respiro: cospiranti, sono i luoghi che alimentano il processo di maturazione delle identità personali e collettive.
È da lì che la politica deve partire per esser degna del compito che ha da svolgere. È da lì che la società civile deve trarre i criteri per controllare e giudicare la politica e per parteciparvi corresponsabilmente.
“Occorre sorvegliare, perché questi luoghi non siano colonizzati, come sempre più subdolamente sembra stia accadendo. Sono i luoghi della nostra umanità, ricca e contraddittoria, fatta non solo di fredda razionalità, ma anche di sensibilità, sentimento, tenerezza, speranza, emozionalità, ed anche di sofferenza, sfiducia, disillusione, disperazione, disagio. E tutto questo è portato inevitabilmente dentro le dinamiche sociali. E va tenuto in debita considerazione, affinché gli assetti sociali e le prassi politiche non siano determinati e regolati da scomposte forze impersonali cieche e sorde ai desideri, ai bisogni veri, alle esigenze propriamente umane, e non prevalgano ideologici interessi di parte, indifferenza ai beni comuni, difesa del privato individuale e familistico”.
E allora, in un tempo così difficile e critico, serve fare un’operazione forse difficilissima, pur nella sua elementarità: vedere l’ovvio. Vedere ciò che è sotto gli occhi di tutti. Risvegliarsi dallo stato dormiente. Esercitando quella virtù, inosservata e irrisa ai nostri giorni, che è l’attenzione. Virtù non di second’ordine, l’attenzione. Che, per divenire disposizione fondamentale abituale, va educata ed esercitata. Si può declinare anche come rispetto e riguardo.
“L’attenzione è senza dubbio fondamentale nella sfera politico-sociale, se si vogliono davvero intessere buone relazioni sociali, elaborare e applicare buone regole condivise, governare generando buone prassi politiche. Buone, perché attente al bene di tutti e di ciascuno. Senza esclusioni. Senza esitazioni”.
E l’attenzione suscita e qualifica l’impegno etico-politico, orientandolo verso la giustizia con tutti e per tutti.
Virtù della durata, l’impegno, non dell’istante, ci dicono i saggi. È fedeltà ad una direzione scelta, verificata e saggiata in situazione.
“L’impegno nelle e delle istituzioni politiche, in particolare, richiede la capacità di orientare, garantire e gestire gli spazi pubblici della vita consociata come luoghi di umanizzazione per tutti. Richiede lo sguardo lungo che, in quanto memoria del futuro e della dignità originaria delle persone, è insieme solido radicamento nelle conquiste buone del passato e apertura al nuovo che ciascun uomo porta al mondo”.
L’impegno non è solo l’agitarsi per trovare soluzioni immediate ai bisogni di un momento, alle emergenze. È assai di più: è assumersi la responsabilità dell’esistenza, propria e di ciascun altro. E vivere – e lasciar vivere, e favorire le condizioni per vivere – il senso dell’esistenza, personale e comunitaria, nella misura della giustizia ricercata in ogni momento.
Responsabilità è infatti l’altro nome dell’impegno per la giustizia. E corresponsabilità l’impegno comune.
Una responsabilità che è, paradossalmente, vuota. Che non vuol dire: piena di niente, zucca di halloween – ha sottolineato la Cassalia. È vuota perché è da riempire di senso. È opera di gestazione. È attenzione e disponibilità a trovare e vivere i fili di senso che annodano l’interdipendenza tra gli uomini, la storia, le relazioni sociali. “Per questo non si può parlare di democrazia, o esercitarla come si deve, o di sovranità costituzionale, senza investire l’una e l’altra di senso, e di senso sempre nuovo, sempre ri-generante, ri-dondante. E ri-donante: la politica e la democrazia e il diritto e la giustizia hanno a che fare, intersecano il dono, trasversale a tutte le espressioni umane, individuali, sociali, politiche”.
Vittoria Modafferi.