Libertà d’informazione e democrazia dei sondaggi

Libertà d’informazione, libera formazione del pensiero ed esercizio dei diritti democratici. Sono tre aspetti strettamente collegati nelle democrazie costituzionali. Non ci può essere vera democrazia senza libertà di opinione che, a sua volta, non è autentica se non è correlata alla libertà di informazione. Della relazione tra questi concetti si è occupata la lezione svolta presso l’istituto di formazione politica “Monsignor Lanza” dal prof. Claudio Panzera – ricercatore in diritto costituzionale presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria.

Complesso ma di estrema attualità il tema dell’incontro, che si è focalizzato sull’uso delle tecniche di comunicazione politica, tra le quali “impera” la pratica del sondaggio. Inizialmente il docente ha illustrato l’importanza della libera formazione del pensiero in un ordinamento democratico basato sulla rappresentanza. Per esprimere un voto libero e consapevole, i cittadini devono formarsi una idea, e per formarsi un’opinione devono informarsi, cioè sentire e valutare diverse voci, programmi, opzioni. È loro diritto ricevere informazioni corrette, complete e obiettive, senza essere ingannati o indotti. In un ordinamento che si fonda sul meccanismo della delega, è necessario che i canali della comunicazione politica tra gli elettori e gli eletti, siano sempre aperti e ininterrotti durante tutto il periodo del mandato. Inoltre, se ancora oggi è valida – almeno in parte – la teoria liberale secondo cui la politica è un “mercato” in cui si confrontano liberamente i competitori, e gli “acquirenti” (elettori) scelgono chi ha il programma vincente, il libero confronto di progetti politici è molto più complicato e sofisticato rispetto al passato. Le forme di comunicazione sono cambiate enormemente anche a causa dell’ingresso delle nuove tecnologie, e quindi si è modificato il modo di dare e di recepire l’informazione.

Oggi si assiste a un fenomeno di articolazione e complicazione del messaggio politico e della sua trasmissione. E a una minore preparazione al contenuto e agli strumenti di trasmissione da parte del destinatario. Sono mutate, quindi,  le modalità – sempre più penetranti e invasive – di comunicazione rispetto a un destinatario che è meno attento, e più sollecitato non verso forme di pensiero critico e razionale, bensì verso una reazione emotiva agli argomenti buttati nell’arena politica.

«Siamo tempestati di comunicazioni e messaggi politici – ha affermato Panzera – che non sono meno invasivi e subdoli di messaggi, slogan e spot commerciali. Il fenomeno di induzione al consumo, tipico della pubblicità, non è assente dal linguaggio della comunicazione politica. La pubblicità induce la formazione di una opinione su un dato prodotto esagerandone le qualità. Allo stesso modo, nella politica, la comunicazione non descrive una realtà oggettiva che mira a formare liberamente una opinione, nata dal confronto di diverse descrizioni. Piuttosto vuole indurre il soggetto a una particolare opinione, per orientarne il comportamento». Ecco il proliferare di slogan sintetici, spot superficiali e manifesti che invece di spiegare i contenuti di un programma veicolano messaggi poco corretti. Così i cittadini rischiano di formarsi un’opinione non sulla base di descrizioni oggettive del “prodotto” politico, ma sulla base di slogan che puntano sinteticamente a offrire un’idea approssimativa. Infatti, l’obiettivo di questi strumenti non è formare una generica opinione pubblica, bensì indirizzarla verso una specifica preferenza di voto, conquistare fette di mercato, soprattutto gli indecisi. E l’uso dei sondaggi si inserisce pienamente in questa strategia.

Il sondaggio – essendo una indagine fatta su un campione rappresentativo per dare l’idea della tendenza di una collettività su un dato argomento – ha un fine descrittivo (dire come la pensano gli italiani). Ma può avere anche uno scopo induttivo: può spingere il comportamento della massa – e in particolare degli indecisi – a omologarsi a una certa tendenza. L’uso dei sondaggi è quindi essenziale nei periodi elettorali, perché può alterare la formazione di una parte dell’opinione pubblica. Mentre il ricorso a questo strumento in periodi lontani dalla campagna elettorale può servire a rafforzare un potere che vacilla. Infatti, più che entrare nel merito delle questioni, il potere in questione mostra i sondaggi (come si “mostrano i muscoli”) che continuano a dare vincente la sua maggioranza. Su temi controversi su cui esiste una spaccatura sociale, si tende a rappresentare il consenso degli italiani con ampie fette di percentuale. È come se sui problemi venisse stesa una cortina tranquillizzante che non spiega il fenomeno ma mira a consolidare il consenso. In questo modo, ancora una volta, ci si forma una opinione non su dati reali ma su sondaggi, che danno una percezione non la realtà. Ciò introduce una pericolosa semplificazione dei rapporti tra eletti ed elettori. Inoltre, questo indubbio effetto manipolativo sulla psicologia delle masse, incide sul diritto della persona di autodeterminazione culturale, politica e di opinione. Per uno Stato costituzionale che si preoccupa di alcuni fondamentali diritti, la tutela del diritto alla libera formazione del pensiero è un imperativo che non può essere eluso.

Eppure – ha chiarito ancora il docente – il rischio che la democrazia costituzionale si trasformi in democrazia a reazione emotiva basata sui sondaggi, è piuttosto concreto. Ma una alternativa  praticata alla democrazia dei sondaggi esiste e si chiama “democrazia deliberativa”. L’esperienza americana dei town meetings, o incontri di città, ne è un esempio. Durante questi incontri pubblici nati per discutere problemi concreti del territorio, i cittadini si riuniscono, prendono visione della problematica grazie all’intervento di esperti e facilitatori, formano gruppi di lavoro e arrivano a delle conclusioni, formulando una proposta, che le amministrazioni locali possono persino accogliere. Queste esperienze (attuate anche in Italia, nello specifico in Toscana) hanno un forte impatto partecipativo e sono un fermento che rende possibile una nuova democrazia e ingenera un circuito virtuoso che condiziona favorevolmente altri ambienti. Sono strumenti – ha concluso Panzera – che vanno nella giusta direzione di rapporto tra libera formazione del pensiero, informazione libera e diritti democratici. Più di quanto non facciano i sondaggi.

Vittoria Modafferi