Due illustri esponenti del liberalismo, uno cattolico e l’altro laico. Due personalità diverse, per epoca e formazione culturale, che però hanno proposto una seria riflessione sul tema della libertà. Antonio Rosmini, sacerdote e filosofo dell’800, e Piero Calamandrei, giurista e membro dell’Assemblea Costituente: due autori davvero attuali, sebbene il loro pensiero non abbia trovato adeguata applicazione.
Lo ha spiegato padre Vincenzo Toscano s. j., docente dell’Istituto di formazione politica “Mons. Lanza”, durante un incontro da lui guidato presso la scuola diocesana.
Rosmini – ha affermato il docente – è un esponente del cattolicesimo liberale, appartenente al filone più aperto ed evoluto, anche se è stato, a torto, ritenuto un conservatore, probabilmente a motivo della sua avversione al retaggio della rivoluzione francese. Egli reputava che le ideologie, nate appunto con quella rivoluzione, fossero piuttosto pericolose: le idee giacobine, infatti, portarono al fallimento della libertà perché condussero la Francia e l’Europa intera alla dittatura. Rosmini affermava a tal proposito che se lo Stato si pone al di sopra della società, se ha la prevalenza persino sulle coscienze, allora la sfera interiore dell’individuo non ha più valenza. Se non c’è il rispetto della persona, lo Stato può persino ostacolare la libertà, e diventare dittatura. Quindi il filosofo cattolico criticava l’onnipotenza dello Stato che annulla i diritti personali di ogni cittadino. Perciò il governo più forte e felice è quello che “lascia far tutto”, che non compromette l’ordine e la giustizia, che è snello e ha pochi poteri. Rosmini, già nella prima metà dell’800 parlava di società civile come baluardo contro il centralismo dello Stato. Benché chi governa non gradisce i corpi intermedi, veri mediatori tra Stato e cittadini, essi sono indispensabili per garantire la libertà, perché costituiscono un filtro che può mediare il potere e controllarne le funzioni. Inoltre, il noto filosofo affermava la necessità che un numero sempre crescente di persone potesse intervenire nella vita sociale e politica, grazie all’istruzione e allo sviluppo culturale. E lo Stato, a quell’epoca, era piuttosto refrattario a concedere ai cittadini gli strumenti per comprendere la realtà, per timore di essere criticato.
Le posizioni di Rosmini – ha proseguito padre Toscano – sono altrettanto interessanti in merito alle idee di diritto e di libertà. Egli affermava che lo Stato deve elaborare una struttura di diritti chiari ed uguali per tutti – perché senza regole che dirimano le possibili controversie della società non ci può essere Stato – ma al tempo stesso il diritto deve avere un limite. Se il potere costituito usasse il diritto con capriccio, ciò provocherebbe dispotismo e tirannia e porterebbe alla ribellione dei cittadini. Al contrario, il diritto deve avere una possibilità di essere criticato e modificato. Ma soprattutto deve essere rapportato alla persona, non può scaturire da un potere bensì dalla società, deve avere origine dall’uomo in quanto persona, altrimenti non può essere giusto né libero. Inoltre il diritto non è tale se non tutela l’etica della persona e la sua libertà. Ed il rispetto della morale e del pensiero personale deve essere prevalente rispetto al diritto, e alla stessa volontà dello Stato. La persona, secondo Rosmini, non può essere assimilata alla società e alla legge, ma deve avere un ambito di autorevolezza e una possibilità di scelta, regolata dal diritto della persona. Che, in ogni caso, non può essere privata della libertà, tutt’al più può essere limitata nel suo esercizio. In altre parole, non può esistere libertà senza diritto e non ci può darsi diritto libero se non è rapportato alla persona singola. Infine, Rosmini condannava la tendenza degli Stati liberali di ridurre la libertà, per offrire un ordine maggiore e più elevato alla società. Questo concetto, per un autentico liberale qual egli era, si rivelava inaccettabile. Meglio sarebbe stato, avere meno servizi e più libertà.
Un altro autorevole esponente del liberalismo moderno, questa volta sul versante laico, è Piero Calamandrei. Secondo questo politico e giurista – ha spiegato padre Toscano – liberalismo vuol dire soprattutto avere libertà etica, ovvero una morale individuale che fa l’uomo libero secondo natura. Lo Stato non può togliere nulla alla libertà del singolo, sia essa politica, economica o etica. Se lo fa, degenera e diventa tirannico. È evidente che l’oggetto della sua riprovazione era il fascismo che aveva cancellato la libertà e il pluralismo politico.
Per Calamandrei la libertà è soprattutto quella interiore, è quel “foro interno” di ogni persona che non può essere violato da nessuno. La libertà individuale, oltre ad avere delle garanzie, può avere anche delle limitazioni. A tal proposito parla di istituzioni liberali, ovvero di leggi e di una costituzione liberale che deve porre dei limiti, pur senza costituire un giogo per la libertà giuridica altrui. Ma libertà di fare cosa? Per un autentico liberale la libertà non è poter fare tutto, bensì poter fare alcune cose e non farne altre. L’aspetto davvero interessante è che Calamandrei pensa al liberalismo come ad un metodo, a una procedura, piuttosto che a delle regole.
Il liberale, allora, non può avere un programma organico a priori, essere vincolato da riforme politiche o economiche prestabilite. Questo è un lavoro che va fatto con il tempo, e i provvedimenti devono essere deliberati di volta in volta dagli eventi. Ecco, quindi, che essere liberali significa utilizzare la libertà e non restringersi in un concetto dato in un determinato momento.
Dunque non si devono stabilire regole fisse, ma pensare invece a un meccanismo costituzionale che sia in evoluzione continua, perché i provvedimenti legislativi deliberati con libertà non devono essere cristallizzati. Al vero liberale interessa non tanto la soluzione del problema, quanto il metodo, il procedimento che porta a risolverlo. Il diritto, quindi, nel liberalismo è qualcosa che si crea e non si irrigidisce in alcunché di statico. Il liberalismo non guarda al contenuto delle leggi ma alla struttura del meccanismo che costituzionalmente deve servire a crearlo. Uno Stato liberale, dunque, è quello che ha predisposto un meccanismo che possa mettere in pratica leggi liberali e volte al bene comune.
Un altro concetto fondamentale per il nostro autore è che non può esistere libertà senza legalità. Però libertà politica e legalità non coincidono, perché la legalità può essere stabilita dalla politica ma non è la politica. Più precisamente, la legalità è istituita attraverso le leggi fondamentali dello Stato, cioè dalla Costituzione.
La legalità è altresì condizione di libertà perché assicura la certezza del diritto, ovvero che una legge sia uguale per tutti e applicata in tutto lo Stato. Nella sostanza legalità significa regolare la condotta individuale attraverso delle leggi conosciute e condivise da tutti. È indispensabile avere certezza dei limiti che la legge pone al modo di procedere di ogni cittadino, cioè alla libertà di ciascuno, nel rispetto della libertà dell’altro.
La legalità per Calamandrei è, dunque, la base dello Stato di diritto che deve essere fondato sulla libertà. Nella sua visione, infatti, non può esistere libertà senza legalità, né Stato di diritto senza legalità.
Vittoria Modafferi