“In questo mondo libero” – “Lavoro è dignità?” –

Riflettere su un problema e discuterne. Analizzare un contesto, una realtà, e progettare percorsi alternativi. Tutto a partire da un film. E’ stato questo il senso e l’obiettivo dei Cineforum organizzati dall’Istituto di formazione socio – politica “Monsignor Lanza”. Vari i temi dei film proiettati quest’anno, e vivaci le discussioni avviate dai corsisti a seguito della visione delle pellicole. L’ultima, in ordine di tempo, è stata “In questo mondo libero”- un film del 2007, per la regia di Ken Loach – una realistica rappresentazione del mondo dei lavoratori immigrati, vittime di un sistema di reclutamento senza regole e senza scrupoli.

Il film si è prestato a diverse letture e interpretazioni da parte degli spettatori presenti al “Lanza”, tutte condivise durante il dibattito dal titolo “Lavoro è dignità?”, guidato da Giuseppe Longo – tutor dei corsi dell’Istituto. Gli echi prodotti dalla visione dell’opera cinematografica, sono stati l’input per avviare una discussione sui problemi del mondo del lavoro.

Precariato, disoccupazione, mancanza di fiducia nelle istituzioni e scarso impegno dei cittadini, sono stati i punti principali toccati durante l’incontro. A proposito delle nuove forme di lavoro, che spesso generano precarietà e mancanza di regole, Longo è intervenuto sottolineando come il film stigmatizzi il lavoro nero, che fa il gioco del datore di lavoro e degli intermediatori. «Lavoro temporaneo, part-time, a progetto – ha affermato il relatore – non sempre sono scelte volute dal lavoratore, ma sono condizioni oggettive davanti a cui è posto, pena l’esclusione dal circuito lavorativo. E’ indispensabile, comunque, che il lavoro sia sempre regolamentato. Mentre chi ha subito ingiustizie e soprusi, non può a sua volta diventare un aguzzino. E’ facile dire che il mondo va così, e non si può fare nulla per cambiarlo. Ma si può almeno “denunciare” ciò che non va. Altrimenti, chi accetta questo stato di cose, finisce per diventarne vittima. Certo, bisogna capire che il precario, difficilmente può permettersi di fare certi discorsi, a meno che non sia abituato ed educato a lottare».

Dalla flessibilità, e dalla mancanza di occupazione, il discorso è presto scivolato sulla condizione economica generale del Sud Italia. Dove il contesto ambientale è molto diverso da quello del Nord, e la capacità imprenditoriale sembra  ridotta ai minimi termini. «Nel Mezzogiorno – ha dichiarato Longo – ci sono condizioni sfavorevoli per l’impresa. Ottenere un prestito è molto difficile, ed è risaputo che i tassi d’interesse sono più alti che altrove. Perché il livello d’insolvenza è elevato. Al Sud, inoltre, c’è una grande mannaia che condiziona molti aspetti della vita. Ed è la ‘ndrangheta. Recenti studi hanno affermato che una enorme fetta di capitali prodotti dall’economia meridionale, sono di provenienza illecita. I rapporti tra economia lecita ed illecita, sono così vischiosi che è difficile capire dove finisce l’una e inizia l’altra. La maggioranza dei prestiti agevolati concessi al Sud, sono andati a imprese che oggi sono sotto inchiesta. E’ un dato significativo. I prestiti d’onore hanno fatto nascere poche attività produttive. Non hanno, cioè, ingenerato quel circolo virtuoso che doveva permettere di uscire dalla crisi e creare sviluppo». In un contesto socio economico piuttosto problematico, la difficoltà del Sud a decollare, è dovuta anche ad altre componenti. Una, è la scarsa presenza della politica e il suo allontanamento dalla gente. «I partiti – ha asserito – Longo – hanno perso il contatto con la gente, hanno smesso di dialogare con le persone. Non vogliono più incrociare i problemi reali, pensano solo ad analizzare piuttosto che a proporre soluzioni e metodi alternativi.  In definitiva, la politica non fa altro che ricollocarsi tatticamente, creando strategie di breve periodo».

Se partiti e classe dirigente hanno le loro colpe, che pesano sul mancato progresso del sistema Italia, secondo Longo, la scarsa progettualità è un male che colpisce anche la società civile. «Al Sud non c’è l’abitudine a pensare cosa potrebbe fare ognuno di noi, per lo sviluppo e in un eventuale contesto di crescita. C’è poca partecipazione, e impegno concreto: si preferisce “stare fuori” e non sporcarsi le mani. Spesso con il comodo alibi che la politica è collusa con la mafia, ci si disinteressa della funzione pubblica. Questo comportamento, però, genera malumori e accresce l’isolamento. Tuttavia, bisognerebbe rendersi conto, che se non si hanno stimoli a interessarsi e partecipare, non si ha nemmeno il diritto di dire che tutto va male».

 

Vittoria Modafferi