Percorsi e ambiti familiari non violenti

Percorsi e ambiti familiari non violenti
Sommario: Definizione di famiglia; 2- Il diritto alla felicità e alla serenità genitoriale e di coppia nel nucleo familiare;3- La violenza e i maltrattamenti nelle relazioni ;4-La Chiesa di fronte alla violenza alla persona;5- Solidarietà in famiglia: un percorso di crescita;6-Possibili itinerari non violenti.

Definizione di famiglia
Pensare di esaurire la multiforme e complessa realtà della famiglia nello spazio di un intervento sarebbe frutto di presunzione e privo di alcuna utilità, pertanto solo per cenni mi limiterò ad indicare quelle che appaiono allo stato le posizioni giuridiche di questa preziosa cellula della società, accompagnandole con alcune valutazioni operative legate all’ambito della nonviolenza.
La Famiglia è attualmente indicata come un consorzio di persone , con strette relazioni e consuetudini di vita,da cui derivano rapporti di assistenza .La suprema corte di Cassazione aggiunge e specifica che perchè vi sia famiglia occorre individuare…un regime di vita improntato a rapporti di umana solidarietà ed a strette relazioni dovute a diversi motivi..(Cass. 3.7.1997). Pur considerando il limite proprio di qualsiasi definizione,quasi mai esaustiva della ricchezza della famiglia,e dunque sempre superabile, e tenendo a mente la celebre espressione del giurista Carlo Arturo Jemolo, secondo cui..la famiglia è un’isola che il mare del diritto può solo lambire e non toccare… è evidente che cambiano i termini di confronto, sia pure nella stabilità di un articolo 29 della Costituzione italiana, che ci ricorda come la famiglia è una società naturale fondata sul matrimonio, promossa e garantita dallo Stato, potremmo dire “preferita” nella sua composizione e incoraggiata (anche se solo apparentemente dal contesto sociale italiano), a formarsi e a vivere come luogo di amore in cui avviene la trasmissione di valori e cultura .
E’evidente che i giuristi hanno da sempre lavorato per garantire al nucleo familiare nel suo insieme e ai singoli componenti, pienezza di tutela e certezza nel perseguimento degli obiettivi, pur con i limiti di una norma che è rigida e poco adattabile a un contesto complesso e plurivariegato, quale è il mondo delle relazioni. Se è innegabile dunque che la famiglia legittima fondata sul matrimonio, o l’ unione fra un uomo e una donna, stia modificandosi anche nella sua presenza nella società, ed anche il diritto ne ha ormai preso coscienza e consapevolezza; è altrettanto vero però che non può semplicemente prendersene atto, per regolamentarne più o meno efficacemente i nuovi effetti. E’ necessario e urgente invece riprendere a lavorare sulle cause che hanno portato a queste modifiche, per tentare di studiarle e rimuovere ostacoli eventuali con rimedi reali tenendo presente, che ormai da vent’anni questa cellula vitale della società si dibatte nel confine fra il privato (i sentimenti, gli affetti), in cui il diritto non dovrebbe potere entrare e il pubblico che invece vorrebbe acquisire maggiori spazi di intervento. La riprova di quanto appena detto si ricava proprio dal Terzo Piano biennale di azioni, recentemente approvato con decreto del 21.2.2011 (N52685) che prevede interventi per la tutela dei diritti e dello sviluppo dei soggetti in età evolutiva. Nella premessa infatti al nro 1, si legge:.. La Repubblica, riconosce e sostiene la famiglia, la principale formazione sociale in cui si esplica la vita del bambino e si gioca la sfida educativa: la famiglia è il soggetto sociale che adempie allo stesso tempo a funzioni private ed a funzioni pubbliche. La formazione della famiglia è agevolata con misure economiche ed altre provvidenze volte a garantire e proteggere la maternità, l’infanzia e la gioventù.
Pertanto ogni specificazione che si è aggiunta ed ogni apertura al nuovo ha mantenuto alcuni elementi di fondo che il nostro codice civile ha da tempo esaltato e valorizzato nella logica della uguaglianza fra i coniugi. Valga per tutti il riferimento alla regola dell’accordo, (at.144 c.c.) che ha sostituito ad es. la auctoritas del capo famiglia con il continuo confronto(concordare è il termine più spesso e meglio adoperato). Le nuove unioni hanno tentato- non sempre riuscendovi – di indicare nuovi percorsi e ambiti, lasciando cioè al singolo la libertà di scegliere ambiti di tutela che siano garanzie dei più deboli nel nucleo familiare e cioè dei figli. Così leggiamo come: le strette relazioni di vita e consuetudini di vita devono essere connotate da stabilità, tradotta dal giurista come un apprezzabile periodo di tempo di vita in comune; in questa logica la condivisione quotidiana della dimora lascia il posto a rapporti diversi, in cui la presenza della prole e gli obblighi di assistenza familiare rimangono fondati su solidarietà ed assistenza ,che tuttavia impongono una traduzione pratica.
2-Il diritto alla felicità e alla serenità genitoriale e di coppia nel nucleo familiare.
Inevitabile il riferimento in questo primo approccio di ordine generale ad altra componente importante nella societas familiare, non scontato, né banale,come potrebbe incautamente osservarsi, ossia il diritto alla felicità o alla stabilità.
Nel nostro ordinamento il diritto alla felicità, che la costituzione americana prevede con un’esplicita norma, si ricava dal contesto delle previsioni e potremmo dire anche dalla indicazione e dalla presenza di alcuni elementi,che ne costituiscono una sorta di linfa vitale, cui fare riferimento: così il diritto alla stabilità che nasce in famiglia; il diritto alla relazione e all’ ascolto ,propri del nucleo familiare; il diritto alla serenità inserito e letto nel completo benessere fisico e psichico.(art.32 Cost).
Il bambino è persona umana e come tale meritevole di rispetto, di eguale considerazione, di identica tutela dei suoi fondamentali diritti. Questi diritti sono riconosciuti al singolo in stretta relazione ai contesti sociali in cui esso è intimamente inserito ed in cui costruisce e realizza la sua socialità attraverso una rete di relazioni costitutive come la famiglia e la comunità di appartenenza (si legge sempre nel Piano nazionale) : tornano alla mente concetti ormai noti come residenza emotiva, il luogo delle relazioni affettive; il lavoro, quale espressione di un progetto di vita; e naturalmente la comunità e il territorio, quali ambiti pubblici di relazioni solidali.
Potremmo dire che aspettative di diritto alla felicità e alla serenità sono intrinseche al rapporto familiare e dunque rientrano in quell’indirizzo della vita familiare latu sensu ,che significa crescita armoniosa e sviluppo della persona .Diritto alla felicità e a relazioni reali costituiscono i pilastri per cominciare a delineare ambiti non violenti,e significativi in famiglia. E tuttavia proprio negli ultimi anni, si assiste a una continua mortificazione di queste aspettative, mentre aumentano i modelli negativi di comportamenti violenti, penalmente rilevati, che sono diventati il modo consueto nella relazione con l’altro(familiare e non).
3.- La violenza e i maltrattamenti nelle relazioni .
Numerose sono oggi le fattispecie che consentono di leggere insieme in un rapporto stretto e in cui i confini solo labili, violenza e maltrattamento, ricavandone tuttavia alcune indicazioni utili, per la possibile individuazione di percorsi non violenti.
A) La violenza sessuale ad es. a una minore che rimane incinta e decide di partorire e di tenere con sé il figlio o la figlia,è stata preceduta dal ripetersi di tale situazione di violenza, proprio all’interno del nucleo familiare, o è stata accompagnata dall’abbandono di uno dei due coniugi (in genere la madre) che ha deciso di allontanarsi dal nucleo e vuole vivere la propria vita, e dunque ha già posto in essere una situazione di maltrattamento, impedendo di fatto al minore o alla minore di sviluppare in modo armonico la propria personalità.
B) Ancora altra situazione: scenario l’adozione la cui sintesi, è espressa dall’art 1 della L.149 del 2001., secondo cui ogni minore ha diritto a una famiglia.
Adozione internazionale, in cui la minore viene restituita dopo essere stata regolarmente adottata, in genere perché ha manifestato con rabbia diremmo, cioè con atteggiamenti di insofferenza(disubbidienza, spavalderia, allontanamento da casa, ) la propria situazione di disagio. E viene accolta in un centro (casa alloggio ) in cui comunque la sua situazione di libertà è compressa e solo parzialmente compresa, in cui comincia un nuovo percorso di adattamento, mentre le vicende giudiziarie seguono il loro corso. La togliamo da una situazione che è divenuta maltrattante,ma che nasceva come soluzione liberante dal prima dell’adozione.
C) Ancora una minore che vive la sua crescita in famiglia e subisce attenzioni, da parte di un componente del nucleo, anch’esso minorenne. Dalle indagini, emerge che non vi è stata violenza: il minorenne autore viene comunque allontanato dal nucleo e avviato in un percorso personale di recupero, e la minore comincia ad essere maltrattata dai propri genitori, che le imputano la responsabilità dell’allontanamento dell’altro minore dal nucleo: botte, lividi, grida, castighi, che probabilmente la famiglia nell’esercizio dello jus corrigendi, ha sempre praticato, ma in cui la violenza sessuale, mai subita dalla minore diviene l’inizio dei maltrattamenti.
D) Infine un fratello e una sorella vivono da sempre con il padre che fa valere il suo diritto di genitore, di contro alle facoltà dei nonni. Di fronte all’irrigidirsi dell’adulto interviene la legge, diciamo così genericamente, e i minori vengono tolti al loro ambiente e collocati in un centro per curare il recupero del rapporto con la madre. Successivamente interviene anche il padre a rivendicare i propri diritti. Da una situazione di libertà e di non violenza, di libertà siamo passati a una situazione maltrattante, che rischia di diventare di violenza certa. Sono queste solo alcune delle fattispecie più ricorrenti nella prasi applicativa, ma sono quelle che più spesso nel collegare la violenza al maltrattamento segnano chiusura e impedimento nelle relazioni. Accanto ai consueti rimedi ,previsti dal codice penale Rocco per le fattispecie tipiche di reato, l’ ordinamento ha ritenuto di dovere inserire alcuni strumenti di tutela,applicabili anche alle diverse tipologie di famiglia come gli ordini civili di protezione o l’allontanamento, o il divieto di avvicinamento a carico del presunto aggressore. La crescita delle violenze domestiche ,che partono da un rapporto di relazione interpersonale con la vittima, trovandola del tutto impreparata ,specie nella fase iniziale, e in cui il maltrattamento è la chiave di lettura quotidiana giustificano il moltiplicarsi nel ricorso a rimedi giuridici,che incontrano un limite tuttavia rilevante nelle nostre zone, per la assenza di cultura della difesa e del rispetto della persona. Pochi i riferimenti tecnici,ma che si rendono necessari, per comprendere lo stretto legame fra maltrattamento e violenza. Come è noto il reato di maltrattamento in famiglia a carico del coniuge è configurabile ai sensi dell’art. 572 (c.p. ) può individuarsi nelle reiterate minacce gravi, nelle molestie, e soprattutto in caso di permanenza nel nucleo familiare della vittima, solitamente donna, nella quotidianità e abitualità delle sofferenze morali, incompatibili con normali condizioni di vita,nell’intento di vessare il familiare ,soggetto passivo . In particolare poi quando si tratta di bambini, dunque di persone sottoposte alla autorità dell’educatore o affidate in ragione della educazione,istruzione, cura, vigilanza o custodia, qualsiasi azione od omissione deliberata, che privi i minori di uguali diritti e libertà, o interferisca con il loro sviluppo psico-fisico ottimale( igiene, nutrizione, vestiario, cure mediche,educazione e protezione dai pericoli..), caratterizzata dal reiterarsi delle manifestazioni violente od omissive sui minori, è qualificata come maltrattamento e punito in maniera grave. In generale si tratta di atti che violano quanto previsto nell’art. 147 c.c. cioè l’obbligo di mantenere,educare istruire la prole, tenendo conto delle aspirazioni, inclinazioni, capacità,ma numerose sono oggi le fattispecie create dalla giurisprudenza e perfezionate dalla prassi applicativa . Sarebbe però incompleto pensare di avere configurato il maltrattamento solo parlandone da un punto di vista giuridico. Si tratta di argomenti di carattere interdisciplinare in cui uguale spazio ed evoluzione trovano i profili medici e psicologici, nonché naturalmente quelli etici e morali. Così sono qualificate come nuove forme di maltrattamento,oggetto di studio da parte della sanità, la patologia delle cure;la ipercuria;la sindrome di Munchausen ,che consiste nel ricorso continuo della madre, (che spesso è psicotica) a medici e strutture ospedaliere, con il minore che lamenta mali che non ha ;ancora il Medical shopping che consiste nell’abuso nel ricorso a farmaci e da ultimo la SAP(sindrome da alienazione parentale).Un rilievo particolare assume poi la fattispecie del mobbing familiare che pur restando ancora non produttiva di effetti risarcitori patrimoniali nell’ambito familiare,è però rilevante ai fini della pronuncia di addebito. La dottrina e la giurisprudenza definiscono maltrattamenti che determinano l’insorgere del mobbing familiare ,quelli che si manifestano con cadenza quotidiana, sistematica, duratura e gratuita. Esemplificando sarà comportamento mobizzante quello del marito che addita la moglie a parenti ed amici , come persona rifiutata,sia come compagna che come donna, sul piano della gradevolezza estetica. Nei confronti dei figli invece si produce un mobbing strumentale o indiretto, in cui gli stessi diventano strumento incolpevole e inconsapevole per esercitare pressioni sull’altro coniuge,spossarlo,limitarne la sfera di azione ,renderlo insicuro,minarne la stabilità psicologica;oppure il genitore affidatario (collocatario) lo rende suo alleato, facendo esplodere la sindrome da alienazione parentale) per cui il bambino rifiuta qualsiasi contatto, ance solo visivo con l’altro genitore. Una fattispecie di costante applicazione nelle separazioni ad es. è l’esasperato rigore nel rispetto del dritto di visita, per cui anche il ritardo di pochi minuti spinge il coniuge che aspetta il bambino) alla denunzia. I rimedi giuridici pensati in chiave interdisciplinare dal nostro legislatore e che stanno lentamente entrando nella cultura,generando risposte non violente alternative alla logica del potere e del possesso sono gli ordini di protezione civili, introdotti dalla legge n. 154 del 2001 che trova larga applicazione nei tribunali prima del ricorso alla separazione esasperata. La cessazione della convivenza,’ordine di allontanamento e di non avvicinamento ai luoghi familiari( o con particolari cautele in caso di attività lavorativa) impedisce il prodursi di ulteriori traumi fisici e psicologici a carico di congiunti già provati e a volte convinti dallo stesso produttore di violenze ,di esserne la causa prima e ultima. Rinviando la descrizione di tale fenomeno e limitandosi ad alcuni richiami giurisprudenziali locali
Delineato sia pure per cenni, il quadro giuridico odierno in cui si iscrive il fenomeno della violenza nelle relazioni familiari o domestiche, può essere utile richiamare in un’ottica ricostruttiva e di completezza il significato che i documenti della dottrina sociale della Chiesa attribuiscono a parole come pace e non violenza, all’interno del contesto familiare.
4.- La Chiesa di fronte alla violenza alla persona.
La violenza non costituisce mai una risposta giusta. In un noto discorso pronunciato da Giovanni Paolo II presso Drogheda, la violenza viene definita come male inaccettabile se indicata come soluzione ai problemi dell’uomo. Con autorevolezza e indignazione il pontefice ha affermato che la violenza è una menzogna, poiché è contraria alla verità della nostra fede,alla verità della nostra umanità…distrugge ciò che sostiene di difendere: la dignità, la vita ,la libertà degli esseri umani . E tuttavia la tentazione della ricerca di soluzioni anche di problemi che riguardano la persona, attraverso la violenza, torna in tutti i periodi in cui la confusione confonde le lingue, come la Torre di Babele e chiude il cuore. Già nella Populorum Progressio , Paolo VI leggendo la situazione sociale, già in quel delicato momento storico, segnalava i pericoli che possono derivare dalla ricerca di soluzioni in cui i meccanismi carichi di promesse ,ma fabbricatori di illusioni diventano strumenti di trascinamento. Non si pensa a volte come la crescita della rabbia, l’insoddisfazione per il mancato rispetto dei diritti minimi e acquisiti, derivanti dal diritto naturale non possono e non debbono mai essere sottovalutati per la portata esplosiva che posseggono, difficilmente controllabile: non a caso la rivoluzione ne rappresenta lo sbocco più immediato.
Le ingiurie alla dignità umana derivanti da situazioni di ingiustizia mondiale, anche oggi (forse potremmo dire oggi più che mai gridano verso il cielo), ma esigono risposte concrete,che il contesto sociale attuale non sa leggere, né prova a dare. Così le famiglie in difficoltà, gli immigrati giovani che approdano alle nostre coste, gli operai che vengono messi in cassa integrazione, l’assenza di risposte di giustizia reale, i tagli ai servizi sociali e alla persona sono solo alcune delle tipologie che più facilmente possono restare travolti dalla tentazione della violenza.
La scelta dunque della non violenza per giungere alla pace richiede anche di soffermarsi sulla natura della pace, che diviene non semplice assenza di guerra, bensì riacquisto di dimensioni come quella del dialogo, ricerca di nuovi equilibri e dunque opera della giustizia( Is.32, 7), che si realizza attraverso modi di azione per la giustizia, come la azione non violenta e l’azione nei confronti della pubblica opinione . L’intreccio fra dimensioni pubbliche e private nella vita quotidiana che si svolge nella famiglia stessa, nella scuola, nel lavoro, nella vita sociale e civile, rappresentano la traduzione concreta e il contributo specifico che i fedeli possono portare alla giustizia, alla ricerca e nella costruzione di un metodo di educazione che insegni all’uomo a consolidare nella sua dimensione di vita globale ,una reale testimonianza cristiana. Il diritto all’obiezione di coscienza diviene allora un atto di resistenza ,che traduce la necessità di proteggere ogni diritto della persona, da leggi o ingiuste proposte, solo apparentemente di tutela, ma che in realtà tendono alla soppressione della dignità della persona stessa. Dal non esercizio di tale dovere-diritto può nascere una responsabilità morale,che non rispetta la libertà altrui. Traducendo all’interno della famiglia, il non denunciare una violenza subita per anni, o peggio ancora il non fare emergere situazioni maltrattanti in genere, può convincere il minore,l’anziano, la donna o comunque la parte debole nel rapporto, che è inutile opporre resistenza, ma che è invece occorre sopportare.
5.- Solidarietà in famiglia: un percorso di crescita.
Partendo da una significativa pronunzia della Suprema Corte si può affermare come -quando si parla di bambini e si associa ad essi il termine mezzi di correzione- questi vadano intesi come sinonimo di educazione con riferimento ai connotati conformativi di ogni processo educativo . Pertanto si legge nella pronunzia della Corte, non può ritenersi tale l’uso della violenza finalizzata a scopi educativi: ciò sia per il primato della dignità della persona riconosciuto anche al minore, in quanto titolare di diritti, e non più semplice oggetto di protezione(o di disposizione da parte degli adulti, sia perché non può perseguirsi ,quale meta educativa, un risultato di armonico sviluppo,sensibile ai valori di pace, di tolleranza, di convivenza, utilizzando un mezzo violento, che contraddice tali fini.
I valori di dignità della persona e di crescita nella responsabilità personale e sociale vengono ricondotti in maniera reale e inscindibile al soggetto, segnalando come violenza,coercizione, abuso dei mezzi di correzione ,non possono in alcun modo favorire un reale e armonico sviluppo della persona.
La realtà familiare è fondata sull’Amore ci ricorda la Dottrina sociale della Chiesa e dunque la solidarietà che appartiene alla famiglia come dato strutturale e costitutivo, nasce e cresce nel nucleo familiare e nel rapporto di coppia. E’ quella che in maniera riduttiva il diritto definisce la solidarietà di prossimità, valorizzata secondo gli insegnamenti della DSC , attraverso un sano protagonismo familiare che può assumere il volto del servizio e dell’attenzione a quanti vivono nella povertà e nell’ indigenza; agli orfani, agli handicappati, ai malati,agli anziani, a quanti sono nel dubbio, nella solitudine o nell’abbandono,oppure può aprirsi all’accoglienza, all’affidamento ,all’adozione ;o ancora rafforzandosi come interlocutore credibile, diviene portavoce presso le istituzioni di denunzie costruttive, affinchè intervengano secondo le specifiche finalità.
Una società a misura di famiglia diviene la migliore garanzia, contro ogni affermazione individualistica perché la persona è e rimane sempre al centro dell’attenzione come fine e mai come mezzo.

5. – Possibili itinerari non violenti
La prassi della giustizia che riattribuisce diritti agli offesi e doveri agli irresponsabili è indicato da alcuni autori come metodo di tessitura e di rigenerazione della convivenza purché si cresca nell’ adesione al metodo della non violenza, abbandonando comportamenti fondati sulla sopraffazione. Diviene così importante aprire e realizzare spazi di socialità liberata,in cui gli esseri umani si riconoscono come persone, non in base al ruolo o alla funzione ,al potere,o all’interesse che hanno o che vorrebbero conseguire. Ciò deve avvenire nel quotidiano e del cambiamento vissuto e sperimentato, giungendo così a un cambiamento più generale e coinvolgente.
Ecco che allora nel lavoro di rete diviene importante riscoprire la vera disposizione di ciascuno di noi, come singoli e come aderenti consapevoli a scelte di gruppo, che possono prevalere,se accompagnate da un reale discernimento sull’interesse privato dei singoli. Il nuovo senso del volontario riemerge con forza. Volontario- diceva il prof. Tavazza- è colui che dopo avere adempiuto ai propri obblighi di stato civile e politico, mette sé stesso, gratuitamente,personalmente o per mezzo della associazione di cui fa parte a servizio degli altri, secondo i fini che gli vengono indicati dallo Stato nelle sue componenti .Il Volontario all’interno della famiglia è chiunque si prende cura dell’altro nella dimensione più ampia e totalizzante, con cui stabilisce e fa crescere rapporti significativi, relazioni di ascolto quotidiano e di lettura dei bisogni. Ma vi è anche una dimensione di protagonismo che va sollecitata e valorizzata: e infatti crescere nella politica familiare, facendosi portavoce di bisogni collettivi, significa assumersi la responsabilità di trasformare la società: rafforzare l’ associazionismo familiare può così essere un rimedio contro una cultura individualistica che pone al centro l’interesse del singolo ; in cui un falso problema diventi eccessivamente attenzionato o valorizzato a discapito di reali esigenze collettive(pensiamo ai portatori di handicap fisici o psichici e alla carenza di informazione e formazione su possibili aiuti di assistenza domiciliare ,o nomina di un amministratore di sostegno ); in cui gli obiettivi siano sempre programmi che interessano la vita della famiglia e tessono relazioni familiari.
E’evidente poi che la effettiva fruizione dei diritti necessita dell’organizzazione dei servizi alla persona ed alla collettività, che sono ispirati ai principi della sussidiarietà e della solidarietà ,solo così rispondente a logiche che sono proprie della dignità della persona. Il modello sociale italiano, in questi sessant’anni di attuazione, ha mostrato sì alcuni punti di attrito che hanno provocato una serie di disfunzioni e, soprattutto, una evidente distanza tra settentrione e meridione nella quantità e qualità dei servizi offerti al cittadino, ma ha anche fatto emergere un punto di forza che fa del modello italiano un’esperienza unica nel quadro internazionale: il terzo settore, soggetto flessibile e particolarmente adeguato a inserirsi nell’organizzazione dei servizi e che costituisce un formidabile patrimonio di esperienze e di partecipazione. Esso è l’espressione di quella capacità di donare su cui il nostro Paese è cresciuto e potrà svilupparsi… , realizzando la vera sicurezza(psicologica,sociale civile ed economica)e non certo la pseudo- sicurezza delle ronde per le strade, delle armi in tasca, o delle navi che respingono i minori o maggiorenni migranti echi chiede asilo. Tutto questo richiede risveglio collettivo, educazione alla formazione, che si fonda sull’esperienza accumulata, che non riparte da zero, impedendo di fatto un coordinamento e un potenziamento fra le iniziative esistenti ,una mancanza di coralità e dunque consente la crescita della speranza. Un percorso di cambiamento possibile è dunque quello che viene da un cura educativa delle persone, che sia liberante e consenta la crescita e la maturazione del singolo, con cuore aperto alla prossimità della vicinanza nella famiglia, autoeducazione, disciplina interiore, dialogo con sé stessi e con gli adulti e i minori(dl bambino all’adolescente), lettura e ascolto dell’altro sino ad aprirsi con passione e pazienza alla collettività da sempre portatrice di bisogni a volte inespressi, ma sempre visibili.

Prof. Francesca Panuccio Dattola
Già Direttore dell’Istituto di formazione politico- sociale.