Potere e governo del territorio. Un’attività piuttosto complessa, quest’ultima, che deve equilibrare interessi contrastanti, nel rispetto di fini determinati dalla legge. Antonino Mazza Laboccetta – ricercatore in diritto amministrativo presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria – ne ha parlato ampiamente durante una lezione alla scuola di formazione politica “Monsignor Lanza”.
L’analisi del docente si è sviluppata a partire dalla definizione di governo del territorio, che è «l’attività amministrativa diretta a garantire l’ordinata convivenza sociale, e a realizzare il processo di sviluppo e rinnovamento del tessuto urbano. Si tratta, cioè, di quella particolare attività che la pubblica amministrazione incaricata del governo del territorio svolge, al fine di dare assetto al territorio urbano ed extra urbano, per regolarne il funzionamento e lo sviluppo». In particolare, l’urbanistica è la scienza che si occupa di questi processi.
«Dell’urbanistica – ha precisato Mazza – si ha un’accezione meta-giuridica che sottolinea l’interesse verso la città e i suoi meccanismi di sviluppo. E poi una definizione in senso giuridico, tesa a rilevare come le città si strutturano e si espandono dal punto di vista insediativo ed edilizio. L’urbanistica ha conosciuto diverse fasi. Nei primi secoli si aveva un approccio diretto a creare avamposti insediativi che rispondevano a esigenze militari ed economiche. Il concetto cambia intorno al XVIII secolo, in concomitanza all’incremento demografico e all’avvio del processo di industrializzazione. Entrambi i fenomeni, infatti, sconvolgono il tradizionale equilibrio tra città e campagna. Nel XIX secolo con la rivoluzione industriale nasce la scienza urbanistica in senso moderno. L’irrompere del proletariato che si affolla intorno alle fabbriche e ai sobborghi delle città, fa sorgere nuovi problemi. Che si trascinano per tutto il XX secolo, quando l’urbanistica si dovrà confrontare con la carenza di servizi, con il traffico, l’inquinamento, la realizzazione di strutture come centrali elettriche, termovalorizzatori…
Si tratta di una materia che si evolve e pone questioni sempre nuove a seconda delle emergenze del tempo. Ed è anche un ambito in cui si verifica spesso uno scontro tra l’interesse generale – perseguito dalla pubblica amministrazione – e le reazioni della gente del posto. Tutti ricordiamo l’opposizione degli abitanti della Val di Susa alla realizzazione dell’alta velocità. Il governo del territorio, quindi, è una realtà in cui si sente forte il contrasto tra interessi generali e particolari. E governare il territorio significa, appunto, gestire questi complessi problemi. Non dimentichiamo che le scelte urbanistiche hanno degli effetti discriminatori. Se una pubblica amministrazione deve, ad esempio, creare una rete stradale per ammodernare la viabilità, questa decisione produce dei vantaggi per alcune aree limitrofe alle infrastrutture, ma anche degli svantaggi per le aree non interessate dal passaggio della rete. Gli effetti discriminatori, tuttavia, sono affrontati con strumenti fiscali che mirano a ridurre le cosiddette rendite urbanistiche e a realizzare una perequazione urbana tra i diversi proprietari.
Nel settore urbanistico – prosegue l’avvocato Mazza – uno scoglio difficile da superare per realizzare l’interesse pubblico, è la proprietà. Succede spesso che per effettuare un’opera pubblica, bisogna procedere all’espropriazione. La legge attribuisce alla pubblica amministrazione il potere di espropriare, potere che incide in modo unilaterale sul diritto di proprietà. In questo caso, si dice che il diritto soggettivo si affievolisce in interesse legittimo. Il proprietario, cioè, non può opporsi all’esproprio che serve per realizzare un interesse generale (nel caso, ad esempio, della costruzione di un ospedale, vi è un interesse generale alla sanità); tuttavia se il provvedimento di esproprio è fatto in violazione alla legge, egli potrà recarsi dal giudice amministrativo impugnando il provvedimento, e chiederne l’annullamento.
In altre parole, nel governo del territorio c’è un sistema all’interno del quale il potere dell’amministrazione è disciplinato dalla legge, che fissa astrattamente l’interesse pubblico e lascia alla pubblica amministrazione la traduzione in concreto di quegli interessi. A fronte di questo potere, i cittadini hanno una posizione di soggezione, che però è temperata dalle norme che prevedono la partecipazione al procedimento amministrativo. Quando, ad esempio, la pubblica amministrazione prepara il piano regolatore generale, i privati ne possono prendere visione e possono proporre delle osservazioni. Questo è il principio della partecipazione, che, in generale, permette ai cittadini di interloquire con l’amministrazione e persino di influire sull’esito della decisione mentre il procedimento è ancora in corso».
Vittoria Modafferi