Pregi e difetti della riforma Madia

La legge 7 agosto 2015, n. 124 (c.d. legge Madia) reca «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche». Molteplici e complessi gli aspetti e i problemi che dovrebbero analizzarsi. E, però, l’esigenza di fugare pericoli di dispersione impone di circoscrivere il terreno del confronto.

Limiteremo, pertanto, l’attenzione al decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97, che, in attuazione dell’art. 7, comma 1, della legge Madia, reca misure di revisione e di semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione e di pubblicità e trasparenza delle pubbliche amministrazioni. Il legislatore delegato novella il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, emanato in attuazione della legge 6 novembre 2012, n. 190 (c.d. legge anticorruzione), introducendo disposizioni di «riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni».

Ci soffermeremo, in particolare, sulla nozione di trasparenza dell’amministrazione pubblica, che dà il novellato art. 1, comma 1, del decreto legislativo n. 33 del 2013: «accessibilità totale dei dati e dei documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche». Un quadro normativo, questo, che ci consegna un diritto d’accesso dalle forti connotazioni “oggettive”, diversamente da quello delineatosi nella legge n. 241 del 1990: posizione cioè dalla decisa connotazione “soggettiva”, riconosciuta a chi abbia «un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso»[1].

Vedremo quale influenza, a partire dagli anni ’80, abbia esercitato il diritto europeo. Pensiamo soltanto alla direttiva 2003/98/CE relativa al riutilizzo di documenti nel settore pubblico, attuata con decreto legislativo 24 gennaio 2006, n. 36 e orientata a perseguire due obiettivi: uno socio-politico (la  pubblicazione di dati generalmente disponibili in possesso della pubblica amministrazione realizza il diritto alla conoscenza, principio basilare della democrazia[2]); l’altro economico (per le imprese che operano nel contesto europeo la conoscenza dei dati pubblici è una risorsa economica, alla quale debbono poter accedere in condizioni di parità e di non discriminazione).

L’istituto dell’«accesso civico», disciplinato oggi dal novellato d.lgs. 33/2013, prevede che «allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e  ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall’art. 5-bis». Una forma di accesso che riconosce ad ogni singolo individuo il “diritto di conoscere” il patrimonio informativo pubblico, come presupposto di libertà, legittimazione del potere, democrazia.

Antonino Mazza Laboccetta

(Abstract Lezione 10 Novembre 2016)

 

 

[1] La sottocommissione Nigro, nell’ambito dei lavori della Commissione per la delegificazione e la semplificazione dei rapporti tra Stato e cittadini del 1984, avrebbe voluto imprimere al diritto d’accesso una connotazione oggettiva, riconoscendolo a “chiunque”, al fine di assicurare la libera circolazione delle informazioni, la trasparenza e lo svolgimento imparziale dell’attività amministrativa.

[2] Non dimentichiamo che la Commissione parlamentare per le riforme istituzionali del 1983, presieduta dall’on. Bozzi, aveva proposto di introdurre in Costituzione l’art. 21-bis, in modo che a tutti fosse riconosciuto «il diritto di cercare, trasmettere e ricevere informazioni nonché di accedere agli atti e documenti amministrativi che li riguardano». Anche nella Costituente era stata dibattuta la proposta di inserire nella Costituzione una disposizione che consentisse l’accesso agli atti amministrativi.