È noto che in Italia da sempre ma soprattutto negli ultimi 50 anni –ciclicamente – una parte della classe politica, ora di centro-destra ora di centro-sinistra, invoca e propone una riforma strutturale, ossia sistematica, della Costituzione.
Nel frattempo, dal 1948 ad oggi, sono state approvate ben 47 leggi costituzionali, quasi tutte espressione di minori revisioni/integrazioni della Carta, dunque “micro-riforme”, con forse solo due eccezioni di “macro-riforme” costituzionali, ossia di settore o sistemiche: nel 2001 la discussa revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione, che ha accresciuto i poteri delle regioni, e nel 2020 l’altrettanto discussa forte riduzione del numero dei parlamentari, in entrambi i casi riforme “consacrate” poi dal voto referendario.
In genere ho espresso forti perplessità sull’opportunità di discutere “preventivamente” di riforme istituzionali e/o costituzionali perché, poi, spesso non si fanno o, quando si fanno, quasi sempre non sono esattamente quelle di cui si era discusso o, peggio, si tratta chiaramente di riforme riformande[1]. In ogni caso, per quanto il tema sia di evidente, non eludibile, rilevanza politica, credo che lo studioso dovrebbe cercare di mantenere sempre sul punto un approccio freddo, neutro o, melius, per quanto possibile, strettamente tecnico[2]. Bisogna sempre, di volta in volta, valutare sine ira et studio, dunque con prudenza (da cui “giurisprudenza”) – oltre l’opportunità storico-politica – la fattibilità e convenienza tecnico-giuridica della singola proposta di riforma.
[1] Cfr. I decreti legislativi integrativi e correttivi: un Fehlerkalkül all’italiana? Ovvero il «calcolo dei vizi» come previsione di riforme… riformande, in Aa.Vv., I rapporti tra Parlamento e Governo attraverso le fonti del diritto. La prospettiva della giurisprudenza costituzionale, a cura di V. Cocozza e S. Staiano, Torino, 2000, 567 ss. e Il premierato “all’italiana”. Il caso singolare di un Primo Ministro sempre dimissionario per mozione di sfiducia “respinta”, in Aa.Vv., La Carta di tutti. Cattolicesimo italiano e riforme costituzionali (1948-2006), a cura di R. Balduzzi, Roma, 2006, 159 ss.
[2] Infatti: «non appartengo al gruppo dei conservatori della Carta “così com’è”, sempre e comunque (se si vuole, gli ultra–conservatori) e nemmeno certamente al gruppo dei revisionisti ad ogni costo (in breve: gli ultra-revisionisti)». Mi esprimevo così in Dal “revisionismo” a buon mercato al “misoneismo” camuffato, replica alla Lettera AIC 12/2022, in www.associazionedeicostituzionalisti.it.