Rosarno: un esempio di degenerazione del processo democratico

Un esempio di degenerazione del processo democratico. Così è stato letto il “caso” Rosarno.

Alla scuola di formazione politica “Mons. Lanza” il magistrato Stefano Musolino – in forza alla Procura della Repubblica di Palmi – ha offerto una interpretazione chiara ma tutt’altro che superficiale dei fatti accaduti nella cittadina della Piana.

«La riflessione che vogliamo promuovere è comprendere come e perché questo processo democratico che aveva le basi per proseguire è invece degenerato» ha spiegato la professoressa Franca Panuccio – nominata di recente direttore dell’Istituto diocesano. «Si è assistito ad una violazione dei diritti umani e ad una situazione di schiavitù inconcepibili in un sistema democratico» ha puntualizzato la docente, che ha anche ricordato come la democrazia non sia mai un approdo definitivo, ma è invece un assetto sempre a rischio.

Dopo i saluti e l’introduzione del neo direttore, la parola è passata al giovane magistrato reggino che ha tratteggiato la situazione sociale ed economica del territorio rosarnese, premessa indispensabile per comprendere i tragici fatti dei giorni scorsi.

«Rosarno è una cittadina degradata dal punto di vista urbanistico e sociale – ha esordito Musolino. Qui si è alimentato il falso mito della convivenza pacifica tra italiani ed extra comunitari. Una convivenza vera e propria non c’è mai stata. I migranti a causa dei lunghi orari di lavoro non sono mai entrati in autentica relazione con i cittadini. Trascorrendo tutto il giorno nei campi, solo a sera si riversavano in città per acquistare il necessario. Così non si è instaurato un rapporto di conoscenza e reciproco rispetto. In verità, molti immigrati hanno ricevuto assistenza per le prime necessità dai gruppi di volontariato locale. Ma la maggior parte del tessuto sociale vedeva la loro presenza come estranea e senza nessuna volontà di integrazione. La situazione ha iniziato a cambiare già lo scorso anno quando si è modificato il sistema di contribuzione della Comunità europea all’economia locale e in special modo al mercato agrumicolo. Prima, infatti, i contributi erano erogati in base alla pesatura, cioè alla quantità di agrumi raccolti. Ora, invece, che gli aiuti sono assegnati in base agli ettari coltivati, la raccolta di arance e mandarini non è più conveniente. Dunque la quantità di manodopera necessaria si è abbassata, e gli immigrati sono diventati una presenza scomoda e non più utile all’economia. Così molti lavoratori non hanno trovato spazio d’assunzione e si sono riversati per le strade e le piazze di Rosarno. Si tratta soprattutto di stagionali, che hanno un approccio alle cose molto diverso, non possiedono una realtà di integrazione ma sono portatori di un livello alto di esasperazione. Da quel momento si sono sperimentate forme di convivenza con soggetti in una situazione di disperante nervosismo e condizioni di vita disastrate. Da tempo due gruppi di popolazioni, mai entrati in sinergia, vivevano sull’orlo di una crisi di nervi. I migranti, da una parte, versavano in condizioni disumane: senza alloggio, sfruttati sui luoghi di lavoro, pagati una miseria e vittime di episodi di micro estorsione: si è accertato che alcuni ragazzini del luogo pretendevano il pagamento di forme di taglieggiamento. Dall’altra, i rosarnesi che subivano il fastidio del contatto continuo con queste persone che procuravano guai, ed erano percepite come un pericolo, perché erano fuori dagli schemi di illegalità e omertà su cui si regge quel tessuto sociale, e rompevano gli equilibri sociali sedimentati.

In questo clima si inserisce il ferimento di alcuni immigrati, che hanno “perso la testa”, intraprendendo un’attività selvaggia di danneggiamento folle e squilibrato. Questo comportamento sbagliato va senza dubbio sanzionato: per questo stiamo cercando di identificare i colpevoli. Ma la reazione è stata peggiore. È tipica di chi pensa all’intimidazione violenta come mezzo per risolvere i problemi. La controrivolta dei rosarnesi si è concretizzata in un “esodo forzato”. In un allontanamento degli immigrati, avallato dallo Stato. Che ha semplicemente eseguito una presa di posizione, per l’incapacità di contrattare una situazione che restava incontrollabile. La soluzione, infatti, è stata quella di accondiscendere alla pretesa di mandare via gli immigrati- sebbene in grande maggiorana regolari – in un contesto di grave ordine pubblico. La situazione era drammatica e il  rischio era quello che si verificassero altri episodi di sangue. Si è infatti scatenato un vero e proprio gioco di forza. In un tessuto sociale perverso e in una situazione conflittuale, è avvenuto il crollo delle regole che vigono nella società, e a quel punto vince il più forte. I migranti hanno percepito di essere soli e senza aiuto, per cui l’unica via di uscita era fare chiasso, rompere tutto – in assenza di regole – per reclamare i diritti e la dignità di persone. I rosarnesi, dal canto loro, hanno pensato che se le regole dello Stato non esistono, si può usare l’intimidazione violenta per allontanare un gruppo di persone che danno fastidio. Queste sono regole folli, di un popolo che non ha futuro né speranza! E che non ha capito che c’è un altro modo per risolvere i problemi.

Ciò che è successo a Rosarno è l’emblema di ciò che può accadere quando non si ha la capacità di leggere, studiare i fenomeni e dare una risposta. Le istituzioni, sia locali che centrali, non hanno avuto la capacità di prevedere ciò che poteva succedere, ma anzi si sono rimpallate le responsabilità. La classe politica è stata incapace di saper leggere gli eventi e trovare soluzioni mediate. Direi che la politica ha smesso di essere luogo di mediazione tra funzioni, pulsioni e interessi della gente, ed è diventata il semplice megafono della società civile. Se la politica perde la capacità di mediazione, durante situazioni critiche, invece di  guidare e controllare le forme di contrasto, le aizza. Siamo alla degenerazione del sistema democratico! La democrazia, infatti, è sempre più inquinata da forme ed espressioni di violenza inusitata. In Italia le scelte e le determinazioni della politica sono basate sul rincorrere i fatti che succedono. Manca una lettura con un respiro di medio e lungo periodo».

Ma allora è davvero tutto perso? «Trovare segni di speranza in un tessuto sociale così degradato è difficile – ha ammesso Musolino. A Rosarno moltissimi minori sono inseriti nel circuito criminale. E manca un briciolo di fiducia nelle istituzioni, che non sono viste come un interlocutore bensì come qualcuno da truffare o da abbindolare. Tra i rosarnesi, c’è chi accetta quotidianamente di subire un abbassamento della dignità personale per vigliaccheria o per la percezione di una sofferta solitudine, di un abbandono dello Stato. Chi vuole vivere in modo “diverso”- cioè onesto – è minoranza e rischia di essere emarginato. Tuttavia, un segno di speranza viene dai giovani. Ad esempio da quelle ragazze del liceo che hanno preparato uno striscione anti ‘ndrangheta. O da un’altra giovane di Rosarno che ha avuto il coraggio di scrivere a un boss in carcere,  lamentandone la pochezza. Questo ci fa intravedere il desiderio di mantenere un profilo di libertà e di dignità personale. Ed è un chiaro segnale di speranza».

 

Vittoria Modafferi