Marco Pannella ne ha fatto la sua ultima battaglia: l’individuazione, la codificazione del diritto alla conoscenza come diritto umano fondamentale.
Ovviamente, il fine primario di tale riconoscimento è la tutela della libera e completa informazione sulle scelte dei potenti (pubblici e privati), il sostanziarsi della partecipazione democratica proprio attraverso un sapere integrale, l’assenza di segreti, di Stato innanzitutto.
Non può però sfuggire ad un’attenta analisi che il diritto alla conoscenza come valore primario, come riposizionamento a disvalore del “segreto” non ha conseguenze solo nei confronti del Potere e dell’opacità dell’autorità costituita.
Autorità che, comunque, va riconosciuto, attraverso il monopolio della forza e la gestione di conoscenze riservate, tutela la sicurezza dei propri cittadini (si pensi alle attività “segrete” di antiterrorismo) e la Costituzione contro le forze anti Sistema.
Le conseguenze di un diritto alla conoscenza “totale”, dicevamo, si riverberano anche nell’ambito privatistico e penalistico ed è proprio in tali contesti che questo riconoscimento potrebbe svelare gli aculei dispotici e i risvolti critici di cui ogni affermazione giuridica assoluta è provvista.
Quanti delicati problemi pone, ad esempio, la tematica del coming out, una scelta, una affermazione di identità sessuale che, per molti, non ha solo un significato di chiarezza personale e familiare ma uno specificatamente “politico”, di sostegno ed affermazione di gruppo, di una componente della Società a torto e per secoli emarginata e costretta al nascondimento.
In molte occasioni, con riferimento a questo o quell’altro personaggio pubblico, ci si chiede oggi come mai non faccia coming out, come mai non senta il dovere di porre questa asserzione di conoscenza a sostegno dei più deboli, la cui voce non può incidere nella Società quanto quella di chi è conosciuto e affermato.
Ci si chiede, insomma, se la riservatezza del Singolo non debba cadere di fronte all’esigenza “democratica” di combattere una discriminazione considerata – a ragione dico io – odiosa ed antistorica.
Qualche associazione si è spinta fino a minacciare di rendere pubblici elenchi di politici, magistrati, imprenditori, artisti, tutti omosessuali “non dichiarati” proprio per attestare quella “conoscenza” che, sola – secondo questa narrazione – può consentire il superamento di tabù destinati a sciogliersi al sole dell’epifania pubblica, senza “inutili” cedimenti intimistici.
Ed ancora, se il diritto alla conoscenza è diritto davvero incondizionato, elemento costitutivo della sfera politica, necessità vitale dell’opinione pubblica ed espressione della c.d. democrazia sostanziale, quale diritto individuale potrebbe reggere di fronte al suo esplicarsi?
Quale famiglia adottiva potrebbe opporsi al suo esercizio nel caso, ad esempio, si decidesse “per legge” un termine ultimo per far conoscere al figlio la propria origine biologica?
Quale segreto esistenziale potrebbe resistere di fronte ad un diritto di informazione e di cronaca corroborato dalla assolutizzazione del diritto di sapere di tutto e di tutti?
Quale reo, pur scontata la sua pena e a distanza di anni dal delitto, potrebbe invocare un oblio che cozzerebbe contro la luminescente chiarezza piatta e senza ombre di una “conoscenza” che assurge a fonte primaria dello Stato di Diritto?
Pannella, in questo come in molto altro, allievo ed erede “radicale” dello storicismo crociano e della chiusura sul piano dell’immanenza del significato politico della democrazia declinata come verità condivisa, come regno della partecipazione e della felicità pubblica, non vide i rischi illiberali di tale affermazione, vittima lui e il suo partito – da sempre – del segreto spartitorio e compromissorio di una partitocrazia fittiziamente dialettica che – nel corso della Prima Repubblica – seppe troppo spesso sacrificare la verità (di scandali, di violenze ed attentati) sull’altare della sicurezza del proprio sistema di potere, innanzitutto.
Eppure, proprio oggi, nell’era in cui gli epigoni, purtroppo spuri ed apocrifi di Pannella e del mito della “democrazia diretta”, sembrano aver conquistato il Potere sotto l’egida del “sapere facile” come diritto di cittadinanza da utilizzare contro le istituzioni da “aprire” come una scatoletta di tonno, proprio oggi, io credo, sia necessario interrogarsi sulle origini giacobine della pretesa di conoscere senza limiti, mediazioni e sforzi – soprattutto culturali – che si palesa figlia di una cultura del sospetto chiamata a riconoscere maschere ovunque (soprattutto dove esiste complessità), a svellere il velo di Maya della politica per scoprire il nemico dietro ogni avversario, il mentitore ed il falsario dietro ogni diverso ragionamento e posizione.
La politica, infatti, come tutte le vicende esistenziali, non è roba semplice da trattare in maniera manichea con un aut aut dirimente, con una decisione risoluta di salute pubblica che venga a sanare le storture ed i silenzi – sempre rappresentati come “colpevoli” – dei Singoli impegnati tanto nella raffigurazione delle proprie virtù che nell’esercizio nascosto e umanissimo delle proprie miserie.
È innanzitutto la libertà, infatti, a cedere dinanzi a tanta luce, è il mistero della coscienza nel suo abisso più profondo e fecondo a perire sotto i colpi della Verità semplice e a tutti i costi, della materialità grossolana di una evidenza urlata che mutila un’altra e più sottile sfera umana: quella trascendenza di senso, quell’alterità di ragioni che può senz’altro giustificare – nelle plurime situazioni limite – il mistero, il segreto, come eccezione e fonte-fatto del Diritto.
Tanto il “mistero della Politica” che dissimula – nei suoi riti – le radici teologiche di uno stare insieme che è organizzato sotto la fictio necessaria della rappresentazione istituzionale di una “assenza” (la Volontà Popolare), quanto il “segreto della Persona” irriducibile e ostile a qualunque Verità di Stato, fosse anche quella finalmente svelata dal governo dei Giusti.
Enzo Musolino