Tentativi di superamento della “cultura dello scarto”: la casa della Carità di Scilla

Il 14 gennaio 2016, presso i locali del Seminario Pio XI, è stato presentato ai corsisti dell’Istituto superiore di formazione politico-sociale “Mons. A. Lanza” il secondo esempio pratico dei tentativi di superamento della “cultura dello scarto”: Mons. Domenico Marturano ha raccontato l’esperienza della Casa della Carità di Scilla, che si occupa della cura di persone anziane non autosufficienti con problemi di lungodegenza.

La casa fu creata attorno agli anni ’30 per volontà della signora Vittoria Martello, che cominciò ad offrire la disponibilità della propria dimora a persone con gravi disabilità; dopodiché la stessa acquistò una villa che decise di donare alla mensa arcivescovile. Per tanti anni l’assistenza agli ospiti della casa fu garantita da personale volontario, che prestava le proprie cure gratuitamente. Quando divenne parroco di Scilla Mons. Cassone, si organizzò come ausilio il volontariato parrocchiale. I primi assistenti si adoperarono anche per svolgere il ruolo di difensori civici a difesa dei diritti degli ospiti della struttura, nel periodo in cui la legislazione nazionale estese le tutele a favore dei disabili. Quando lo stesso Mons. Marturano fu parroco di Scilla si avviò, infine, la ristrutturazione della Casa e l’assunzione di personale professionale, fino alla convenzione con la Regione Calabria che portò al riconoscimento della struttura come “casa protetta” (ciò comportò una minore attribuzione di fondi, ma la possibilità di trattenere i degenti oltre una mensilità).

L’esperienza della Casa della Carità si pone come esempio di reazione alla “cultura dello scarto” perché si prende cura di persone anziane, cioè soggetti a rischio di esclusione, soprattutto se necessitano di assistenza continua e lo fa, con personale quantitativamente adeguato e a costi molto più bassi di altre analoghe strutture.

In un territorio carente di posti-letto pmarturano-(5)er la lungodegenza, in cui non sempre si riesce a far funzionare l’assistenza domiciliare né a sostenere economicamente ricoveri in costosi luoghi di cura privati, la Casa della Carità ha accolto molti casi gravi (ad esempio diversi casi di Alzheimer), riuscendo ad ottenere risultati di recupero della salute insperati. Questo grazie allo spirito solidaristico e di abnegazione del personale di cura che non si è mai risparmiato neppure quando, circa sei anni fa, cessarono per diversi mesi i finanziamenti regionali. Chi lavora alla Casa della Carità cerca di porsi difatti al servizio delle persone, non di certo del sistema economico.

E’ presente, oltre al personale infermieristico, la figura dell’educatore per gli anziani, per mantenerli quanto possibile attivi mentalmente. I malati necessitano anche di cura spirituale: per questo oltre alle celebrazioni liturgiche, viene offerta un’assistenza spirituale.

L’obiettivo principale è curare al meglio le persone, per garantire che possano vivere a lungo e con dignità. Si tratta di una vera e propria rivoluzione culturale, oltreché di un esempio concreto di solidarietà cristiana. In questo senso, la carità cristiana non è mero assistenzialismo, al fine di placare la propria coscienza, ma una scelta di vita al servizio del prossimo, è condivisione e solidarietà. “Siamo fatti per somigliare a Dio”, la nostra vita cristiana deve contribuire ad infondere speranza all’umanità. L’uomo – anche quando non è credente – riesce ad essere felice solo se “somiglia a Dio”, e cioè quando dona gratuitamente. Non a caso Benedetto XVI parlò di “metafisica del dono”, come fattore sociale di bene comune. Il dono è una scelta radicale: riusciremo a stimare il valore delle vite solo acquisendo questa cultura.

In breve, il messaggio conclusivo trasmesso ai corsisti da Mons. Domenico Marturano è la necessità di “sostenere la centralità della persona in ogni stadio della sua vita”.

Stefania Giordano