Cenni storici sull’economia calabrese

Non siamo sempre stati terra d’emarginazione

Andrea Filocamo

andrea filocamo - economia calabrese

Gli indicatori economici collocano oggi la Calabria all’ultimo posto tra le regioni italiane, in un momento storico non facile per l’intero Paese. Eppure in passato la nostra terra ha conosciuto lunghi periodi di prosperità.

Le colonie calabresi della Magna Grecia erano tra le più importanti del mondo antico: lo sfruttamento di un territorio fertile e la successiva espansione caratterizza Sibari, la cui ricchezza era addirittura proverbiale, ma anche Locri e Crotone, che assumono rilievo in fasi diverse; Reggio, invece, deve il suo sviluppo, oltre che alla qualità dell’artigianato locale che produce una ceramica diffusa in tutto il Mediterraneo, soprattutto al suo porto e alla sua posizione che ne fanno una tappa obbligata sulla rotta che da Oriente o da Mezzogiorno porta verso il Tirreno.

Persino un periodo tradizionalmente considerato oscuro, come quello della tarda antichità, è stato recentemente rivalutato: nell’area dello Stretto tra IV e VI-VII sec. d.C. fioriva un’economia legata alla produzione del vino, attestata dal ritrovamento di anfore (fabbricate proprio in riva allo Stretto e diffuse ancora una volta in tutto il Mediterraneo), di palmenti disseminati lungo la fascia collinare ionica, dalla circolazione monetale, che indica una insolita vitalità rispetto al periodo. Anche il periodo bizantino è un periodo prospero: in un mondo alla rovescia, in cui il Sud era più moderno e dinamico e il Nord arretrato, come testimonia la circolazione monetale, Reggio diventerà, a un certo punto, la capitale occidentale dell’Impero d’Oriente.

Fino al X-XI secolo si può dire che la Calabria fosse una terra ricca. Le dominazioni che sono seguite a quella bizantina hanno cambiato le cose. Nel Meridione iniziava il feudalesimo, quando terminava al Centro-Nord, dove invece iniziava l’esperienza dei Comuni. In Calabria ha, da allora, dominato un baronato impegnato a custodire i suoi privilegi, adattandosi ai sovrani stranieri che si sono via via succeduti. Ultimi in ordine di tempo i Borbone, che hanno dovuto cedere il passo all’Unità d’Italia.

Qui si innesta uno dei problemi più dibattuti dagli storici dell’economia italiana, quello del divario N/S al momento dell’Unità, con due correnti di pensiero nettamente contrapposte: da una parte coloro che sostengono come già allora il divario fosse evidente, dall’altra coloro che ritengono che le condizioni economiche fossero sostanzialmente simili tra Nord e Sud. Non è una questione priva di conseguenze sul piano storico o politico: ammettere che nel 1861 non vi era un consistente divario vuol dire implicitamente puntare il dito contro le politiche dello Stato postunitario, colpevole, consapevolmente o meno, di aver favorito il Nord e svantaggiato il Sud. La mancanza di rilevazioni statistiche ufficiali per il periodo rende difficile dare una risposta definitiva sulla questione.

Comunque la si pensi, non c’è dubbio però che il divario emerge in misura marcata intorno ai primi anni del ’900, con la prima industrializzazione del Paese, che riguarda essenzialmente il Nord. Nelle fasi successive, l’unico periodo in cui il divario si è leggermente ridotto è stato quello del secondo Dopoguerra, che corrisponde alla prima fase della Cassa per il Mezzogiorno, che riesce a dare qualche risultato fino all’inizio degli anni ’70. In seguito prevarranno interessi clientelari, burocrazia, malaffare, che porteranno molto spesso a sprechi di denaro pubblico, utilizzato solo per catturare consensi. È il periodo della cosiddetta “modernizzazione passiva”: il Sud viene aiutato con trasferimenti di denaro che sostengono redditi e consumi (che poi, tra l’altro, ritornano alle industrie del Nord), ma senza che vengano poste le basi per uno sviluppo autonomo.

Negli anni più recenti, con la fine dell’intervento straordinario e l’ingresso nella moneta unica, i vincoli europei hanno determinato una riduzione delle risorse che lo Stato riesce a destinare al Mezzogiorno e la Calabria è una delle regioni che ne ha più sofferto.