La responsabilità politica è pubblica e collettiva. Ciò significa che l’individualismo è eccezione impolitica, mero carrierismo ed esercizio di potere.
In questo nostro tempo tragico, nel nostro sfortunato territorio, a Destra come a Sinistra, l’assenza del “collettivo” e “pubblico” è l’assenza dei Partiti che, come tali, non preparano né determinano più l’offerta politica nel corso delle elezioni.
La crisi di classe dirigente è anche e soprattutto crisi dei “luoghi” di approfondimento, scontro democratico, selezione.
Oggi, si usa il momento elettorale per “pesarsi”, per imporsi, per pretendere ruoli, per strutturare una posizione sociale riconosciuta da sottoposti, yes man, vittime inconsapevoli.
Il culto del capo religioso, lo strattonare del capolista, l’ansia del primeggiare in voti, la squalificazione dell’elettore a preda, la guerra tra bande sotto le stesse insegne, la tentazione del broglio, della scorciatoia, del colpo di mano, dell’atteggiamento padronale o servile, avrebbero molto meno spazio d’emersione in un contesto organizzato dove regni il confronto ideale e programmatico e dove i “migliori” si riescano ad affermare nella dialettica, nel ragionamento, nell’arte della persuasione che nasce dalla passione per l’Agorà.
Il problema, quindi, non è propriamente la “questione morale” o il “caso giudiziario” – che riguardano i singoli – ma è la QUESTIONE POLITICA E, NELLO SPECIFICO, LA QUESTIONE PARTITICA.
Oggi, tra eterni commissariamenti, svalutazione del ruolo, assenza di organizzazione e di filtri all’accesso, mancata considerazione dei congressi e dei dibattiti, ci si è abituati a rinviare sine die le necessarie fasi che strutturano le posizioni politiche dei gruppi associati per fini ed obiettivi di respiro generale, per cedere alla deriva di una eterna campagna elettorale tra “mercenari e capitani di ventura” bravi solo a competere su chi ce l’ha più lungo. E la cosa tragica è che son convinti davvero, così, di far Politica.
L’art. 49 della Carta, invece, aiuta a superare un’interpretazione squisitamente “privatistica” del ruolo dei partiti.
Non semplici associazioni, non comitati elettorali, non strumenti utili all’affermazione di élite ma istituzioni “pubbliche” attraverso le quali la libera associazione dei cittadini concorre – con metodo democratico – a determinare l’offerta politica nella Nazione.
Certo, a distanza di più di 70 anni dalla promulgazione, oggi come non mai, sarebbe necessaria una legge di attuazione che desse sostanza e operatività a questi principi costituzionali.
Le resistenze, ovviamente, ora come allora, sono tante: la strutturazione di partiti/istituzioni governate dal “Diritto” farebbe sciogliere come neve al sole i partiti padronali e quelli “azienda”;
l’affermazione ex lege del metodo democratico interno (che significa dibattito tra le idee, proposte in concorrenza e voto) annichilerebbe la degenerazione populista e demagogica incentrata sul leader carismatico e sul semplicismo programmatico binario, tipo contrapposizione amico/nemico;
l’affermazione della centralità del “collettivo” sull’io ipertrofico di sedicenti unti dal signore e salvatori della patria per eredità e status, indirizzerebbe l’Italia Politica verso esperienze europee mature e stabili e penso, ad esempio, alla Germania dove, infatti, i partiti esistono ancora e sono forti per tradizione e capacità d’analisi per il futuro. Tutto ciò al momento non è, e in Calabria questo “negativo” si carica di un’eccezionalità ancor più radicale.
Nella terra dell’estremismo anarcoide, purtroppo, l’atteggiamento impolitico trionfa e favorisce tanto la degenerazione fideistica quanto quella – solo apparentemente opposta – dell’indifferentismo etico che svilisce la scelta, l’esercizio di libertà, IL VOTO, tramutandolo in oggetto di caccia di frodo.
Enzo Musolino