La famiglia è indubbiamente un luogo di strette relazioni, dove il regime di vita è improntato a rapporti di umana solidarietà. Ma è anche il luogo in cui le dinamiche relazionali possono diventare autoritarie o distorte. E il diritto – che regola la vita dell’uomo e gli consente di vivere in una maniera ordinata – si occupa con attenzione crescente della famiglia e delle connesse dinamiche di autorità.
Francesca Panuccio – avvocato specializzato in diritto di famiglia e docente universitario – ha sviluppato questo argomento durante il Laboratorio di partecipazione sociale promosso dall’Istituto per lo studio delle problematiche educative “G. Lazzati” e dall’Arcidiocesi di Reggio-Bova, con la collaborazione dell’I.S.S.R e della scuola di formazione politica “Mons. Lanza”.
Nell’incontro di dicembre la prof.ssa Panuccio ha parlato degli ambiti familiari come riflesso di nuove tipologie verso cui il diritto volge il suo interesse, poiché riferirsi solamente alla famiglia oggi sembra piuttosto desueto. Accanto alla famiglia legittima fondata sul matrimonio – di cui si occupa l’art. 29 della Costituzione – si sono formati altri ambiti familiari, tra cui la famiglia di fatto che ha perso i connotati di negatività con cui veniva guardata qualche tempo fa ed è un fenomeno in crescita che dovrebbe interrogarci. E questo sia perché ha assunto caratteri di stabilità che prima si attribuivano alla famiglia legittima e poi perché viene sempre più identificata con la società naturale definita dalla Costituzione.
All’interno degli ambiti familiari – ha precisato la Panuccio – si possono individuare i diversi ruoli assunti dai soggetti presenti. Se i componenti della coppia sono l’origine del nucleo familiare, essi hanno anche una dimensione relazionale in quanto genitori. Mentre i parenti e soprattutto i nonni svolgono il ruolo di trasmettitori di memoria, passaggio molto importante nella vita delle nuove generazioni. A tal punto che il diritto da un paio d’anni ritiene questi soggetti giuridicamente rilevanti, in quanto persone che stabiliscono relazioni significative all’interno della famiglia (ad esempio nelle questioni relative alle separazioni o alle adozioni). Quanto alle dinamiche che si instaurano tra i soggetti, sono particolarmente significative quelle di autorità e autorevolezza, legate al concetto di potestà. Una volta l’art.144 del codice civile affermava che il marito è il capo della famiglia, sancendone l’indiscussa autorità; adesso quel concetto è stato sostituito dall’espressione “accordo tra i coniugi” che definisce una posizione di sostanziale uguaglianza. L’autorevolezza, invece, esprime una capacità del genitore di farsi ubbidire non per timore bensì per la credibilità di ciò che dice, ma questo implica sforzo, lavoro su se stessi, accettazione dell’eventuale critica da parte dei figli. A volte – ha ancora affermato la docente – le dinamiche familiari sono contorte e rischiano di creare malanimo se non si è in relazione di affettività.
E proprio per evidenziare meglio tutti i meccanismi che si sviluppano in famiglia i partecipanti al seminario hanno lavorato in due gruppi, analizzando due casi concreti su cui poi hanno relazionato e avviato un confronto. Nei casi esaminati erano presenti molte problematiche, dall’allontanamento dei minori dal nucleo familiare, alla richiesta di interdizione, dal maltrattamento al mobbing familiare. Su ogni questione si è soffermata la Panuccio, offrendo ai presenti non solo le competenze acquisite dall’esercizio della sua professione, bensì un bagaglio di umanità frutto di una personale esperienza. A proposito della figura del tutore minorile la Panuccio ha ricordato il suo percorso iniziato al tribunale dei minorenni di Reggio che l’ha portata dentro storie non facili, per le quali bisogna lavorare con il cuore e con la testa, due ambiti non facilmente conciliabili.
Sulla tutela – ha precisato – bisognerebbe vedere cosa significa lavorare in rete con i servizi sociali e cosa vuol dire avere dei risultati con ragazzi che crescono e che dovrebbero saper prendere in mano la propria vita. A volte i servizi sociali non funzionano a dovere, gli operatori sono stanchi, demotivati, sovraccarichi di lavoro, troppo spesso non hanno più passione e andrebbero supportati. Quanto al Tribunale per i minorenni, che è l’organo deputato alla salvaguardia dei minori stessi, spesso è molto lento nel prendere decisioni ed è a volte garantista nei confronti degli adulti e non dei minori. Talvolta non ha elementi sufficientemente chiari per poter assumere una decisione rapida nell’interesse del minore e preferisce attendere che questo raggiunga la maggiore età che gli consente di scegliere da sé. Se tuttavia sui ritardi degli operatori sociali o sulla loro demotivazione si può intervenire, c’è una maggiore responsabilità del Tribunale, dotato di magistrati che devono prendere decisioni e dare una linea indicativa. Circa l’allontanamento di un minore dalla famiglia d’origine, in particolare, la legge afferma che nei due anni successivi gli operatori sociali devono valutare se possa o meno ritornare in famiglia, perché il tentativo prevalente è quello di riavvicinare il minore al nucleo familiare, ove ci siano le condizioni. Altrimenti si dichiara lo stato di abbandono e si iniziano le procedure per l’adozione, continuando il percorso di supporto del minore.
Infine, l’avvocato Panuccio insieme ai presenti ha riflettuto sul tema della separazione dei coniugi che troppo spesso non sono coadiuvati da figure esperte ad elaborare il lutto della separazione, mentre gli avvocati sono concentrati a definire i più semplici profili patrimoniali, trascurando a volte di lavorare sulle persone e i loro problemi, con danni enormi sui minori.
Vittoria Modafferi