Di alcune personali risonanze da Amoris lætitia
1. Un senso di sollievo
Quando è stata pubblicata Amoris lætitia, l’ho letta, e ho a lungo riflettuto, anche alla luce di importanti documenti del magistero. Ne ho tratto un senso di sollievo. Ho visto il volto di una Chiesa che si piega sulle ferite del mondo. Il volto del Samaritano che, lungo la strada, si piega sull’uomo, lasciato «mezzo morto», per fasciargli le ferite e prendersi cura di lui (Luca, 10, 25-37). Il volto di Gesù davanti all’adultera: il Salvatore e la peccatrice, non il «giudizio in astratto» e il «peccato» (Misericordia et misera, 2016).
Ho sentito la Chiesa scendere a passo lungo dal suo fortilizio di verità per farsi incontro all’uomo della storia, diventare «ospedale da campo». Sacerdoti e leviti, davanti all’uomo «mezzo morto», passano oltre, ma non il samaritano. Meglio un samaritano (il miscredente) che pratica la carità, o un sacerdote che passa oltre, ma pratica la legge e la giustizia? «Se […] possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla» (Prima Lettera Corinzi, 13, 1-13).
Quante risonanze dalla lettura di Amoris lætitia! Proverò a riavvolgerle in una piccola rassegna, facendo un rapido volo su pagine che tanto ho riflettuto da cristiano che vive la propria fede come ricerca del mistero di Dio incarnato nel Gesù della storia.
Leggerete carrellate di parole che mi frullano dentro. E sento, con inquietudine, la libertà di dirle. Per potermi interrogare davanti a tutti.
2. Gesù: il volto dell’amore
L’errore di un matrimonio fallito, la scoperta della vera identità sessuale, il dramma di una vita che non può che arrendersi alla morte: sono alcune delle ferite del nostro uomo concreto. «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento» (Matteo 5, 17). In Gesù – il Dio fatto uomo, il Dio incarnato, il Gesù storico – trova il suo compimento la Legge: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (Giovanni, 15, 12).
In questi ultimi tempi v’è, nella pubblicistica, una vera e propria fioritura di scritti sul Gesù storico, quasi si avvertisse il bisogno di conoscere quest’uomo. E si tratta di scritti che vengono da ogni dove: da Papa Benedetto a Vittorino Andreoli, da Corrado Augias ad Hans Küng, da Bontempelli a Ehrman, ecc..
Come folgorati dalla figura di Gesù. Eugenio Scalfari, nel dialogo con Papa Francesco, si dice «un non credente da molti anni interessato e affascinato dalla predicazione di Gesù di Nazareth» (Dialogo tra credenti e non credenti, 2013).
Vittorino Andreoli, nel suo Il Gesù di tutti (2013), confessa: «[…] non credo, non credo né in Gesù come Dio, né nel cristianesimo come espressione di ciò che ha predicato Gesù, e meno ancora credo che si tratti dell’unica vera religione. Ma da non credente non posso negare che questa storia, la storia di Gesù, vada letta secondo tutte le componenti, compresa quella che rimanda alla fede. Dunque servono gli studi di Cristo uomo, di un vero uomo, ma non basta, si deve aprire anche il capitolo della possibilità che sia un uomo talmente speciale da dovergli attribuire una dimensione che è altra, e che si può chiamare persino divina. Esattamente come lui afferma: di essere figlio dell’Uomo, ma anche figlio di Dio […] il mio Gesù è grandioso pur non essendo quello di uno che crede si tratti del Dio incarnato. […] Gesù è anche mio e non proprietà dei cristiani. Mi pare anzi che ormai lo abbiano almeno in parte perduto e ne abbiano inventato uno più misero a sostegno di una Chiesa che Cristo certo non riconoscerebbe […]».
3. Il “legalismo” della legge
Mi ha spiazzato l’interrogativo che Küng si pone nel suo Tornare a Gesù (2013): «A che cosa, a quale legge attenersi? […] Che cosa vale per Gesù?». Non «una legge di natura» né «una legge di rivelazione. Norma suprema non è una legge morale di ordine naturale, né una legge di natura di ordine morale. […] Gesù non muov(e), per legittimare i suoi precetti, da una natura immutabile, che si presume riconoscibile con sicurezza e in cui tutti gli uomini si ritroverebbero accomunati. L’attenzione di Gesù è rivolta non a una natura umana astratta, soggetta a diverse interpretazioni, ma al singolo uomo concreto. Norma suprema non è neppure una legge positiva di rivelazione: non una legge di Dio rivelata. Gesù non è, come Mosè, Zarathustra e Maometto, l’esponente di una tipica religione della legge […] Nella storia della Chiesa non ci si è mai stancati di far passare Gesù per un “nuovo legislatore” e il Vangelo per una “nuova legge”. Ora, è certo che Gesù non ripudiò la Legge mosaica come tale, quando attaccò il legalismo farisaico (paleogiudaico). E anche per quanto riguarda i suoi contemporanei, non si deve confondere il rispetto della Legge con il diffuso legalismo. La Legge, in sé, testimonia il volere ordinante di Dio. In sé testimonia la bontà e la fedeltà di Dio, è un documento e una prova della sua grazia e del suo amore per il popolo prediletto, ed esige non soltanto singole azioni, ma il cuore stesso. […] Che cosa volle Gesù? […] si compia ciò che Dio vuole […] La volontà di Dio è il criterio. […] Il “fare la volontà di Dio” è diventato per molte persone pie una pia formula. Costoro hanno identificato tale volontà con la Legge. […] E se è vero che la Legge può esprimere la Volontà di Dio, è anche vero che della Legge ci si può fare scudo contro la volontà di Dio. La legge conduce così, facilmente, ad un atteggiamento legalistico. Un atteggiamento allora largamente diffuso, nonostante le dichiarazioni rabbiniche tendenti a presentare la Legge come espressione della grazia e del volere di Dio. Una legge infonde sicurezza, perché si sa a che cosa ci si deve attenere. Cioè esattamente a quello che è stabilito: nulla di meno (e questo a volte può risultare gravoso), ma anche nulla di più (e questo a volte è piuttosto comodo)».
4. L’alibi della legge
Quante volte è fin troppo comodo affidarsi alle sicure prescrizioni del magistero per leggere ed affrontare i segni dei tempi! Assai spesso il «sabato» ci esime dal prenderci cura delle ferite del mondo. «Devo fare solo ciò che è prescritto», ma – dice Küng – «quante cose si possono fare o tralasciare nei singoli casi, prima di entrare in conflitto con la legge! Non c’è legge che possa prevedere tutte le possibilità, contemplare tutti i casi, colmare tutti i vuoti. Si tenta sempre (nel campo della morale o della dottrina) di adattare artificiosamente alle nuove condizioni di vita disposizioni legali che appartengono al passato, che allora ebbero un senso, ma che nel frattempo l’hanno perduto; si tenta di estrarne artificiosamente qualcosa che risponda alla mutata situazione. Sembra essere questa l’unica via, quando si identifica la lettera della Legge con la volontà di Dio: interpretazione ed esplicazione della Legge che si traduce in un’accumulazione di leggi. […] Ma quanto più finemente è tessuta la rete, tanto più numerosi si fanno i buchi. E quanto più si insiste ad affastellare comandamenti e divieti, tanto più si nasconde l’essenziale. Soprattutto, è possibile che si osservi la Legge nel suo complesso, o anche singole leggi, solo perché così è prescritto e perché si temono le eventuali conseguenze negative. Se non fosse prescritto, non lo si farebbe. E, viceversa, è possibile che molto di ciò che propriamente andrebbe fatto non si faccia solo perché non è prescritto e nessuno può obbligare a farlo. Come il sacerdote e il levita della parabola: lo vide e passò oltre».
5. Verità brandite come clava
Quante verità assolute brandite come clava!
Gesù e l’adultera: «In qualsiasi modo Gesù avesse risposto ai farisei, avrebbero avuto di che accusarlo. Agostino se ne fa interprete acuto: “Se egli ordinerà che venga lapidata, non darà prova di mansuetudine; se deciderà che venga rilasciata, non salverà la giustizia». La misericordia di Gesù invece ha la meglio su tutto» (Misericordia et misera [Prefazione], 2016).
Torniamo, insomma, a Gesù: quel Gesù che «rinuncia – ancora Küng – a svolgere dotte considerazioni su Dio, a proclamare principi morali di valore universale, a insegnare all’uomo un nuovo sistema, a fornire indicazioni valide per ogni sfera della vita umana. Gesù non è e non vuole essere un legislatore. Come non impone l’osservanza dell’antico ordinamento giuridico, così non detta una nuova legge che abbracci la vita in tutti i suoi aspetti. Non redige una teologia morale né un codice di comportamento. Non emana norme morali o rituali, sentenziando come l’uomo debba pregare, digiunare, rispettare i tempi e i luoghi sacri. […] Gesù chiama il singolo ad un’obbedienza verso Dio che deve involgere la vita intera. Appelli semplici, limpidi, liberatori, che rinunciano ad argomentare sulla base dell’autorità e della tradizione, per offrire piuttosto esempi, segni, sintomi di una vita rinnovata».
6. L’autorità di Gesù
Alla domanda di Pilato: «Dunque tu sei re?», Gesù, non interessato alla regalità, lascia scivolare il discorso. «Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce»: così risponde Gesù. Non dice «chi ascolta la mia voce è dalla verità». Chi può dire di possedere la verità? C’è qualcuno che ha la verità?
Cruciale la domanda che Eugenio Scalfari rivolge a Papa Francesco: è errore o peccato il pensiero secondo cui non esiste una verità assoluta, ma una serie di verità relative? […] io non parlerei, nemmeno per chi crede, – così dice il Papa (Dialogo tra credenti e non credenti, 2013). – di verità “assoluta”, nel senso che assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione. Ora, la verità, secondo la fede cristiana, è l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Dunque, la verità è una relazione! Tant’è vero che ciascuno la coglie, la verità, e la esprime a partire da sé: dalla sua storia, dalla situazione in cui vive». Il che non è quanto dire che la verità è «variabile e soggettiva […] ma significa che essa si dà a noi sempre e solo come un cammino e una vita».
La verità della fede è l’amore: così dice Papa Francesco ad Eugenio Scalfari. E citando Lumen Fidei soggiunge: «[…] la fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l’altro. Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede» (n. 34). L’«autorità» di Gesù – dice il Papa rimandando alla parola greca exousía – non è qualcosa di esteriore o di forzato, ma qualcosa che emana da dentro e si impone da sé (la parola greca allude a ciò che «proviene dall’essere»).
7. Discernimento
«Sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione»: così dice Papa Francesco in Amoris lætitia, riprendendo un passo della Relatio finalis (2015) del Sinodo dei Vescovi sul tema «La vocazione e la missione della famiglia della Chiesa e nel mondo contemporaneo». Due sono le logiche che percorrono la storia della Chiesa: «emarginare e reintegrare». Ma la strada della Chiesa, per Francesco, è quella della misericordia e dell’integrazione. «La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno». E qui richiama la «legge della gradualità», fondata sulla «consapevolezza che l’essere umano “conosce, ama e realizza il bene morale secondo tappe di crescita”. Legge della gradualità che non significa «gradualità della legge», perché «legge della gradualità» è «gradualità nell’esercizio prudenziale degli atti liberi in soggetti che non sono in condizione di comprendere, di apprezzare o di praticare pienamente le esigenze oggettive della legge. Perché anche la legge è dono di Dio che indica la strada, dono per tutti senza eccezione che si può vivere con la forza della grazia […]».
Non v’è rinuncia ai valori. Non li si getta nel tritacarne della negoziazione e del compromesso. È fermo Francesco quando dice: «Ovviamente, se qualcuno ostenta un peccato oggettivo come se facesse parte dell’ideale cristiano, o vuole imporre qualcosa di diverso da quello che insegna la Chiesa, non può pretendere di fare catechesi o di predicare […]». Ma «le conseguenze e gli effetti di una norma – dice Francesco – non necessariamente devono essere sempre gli stessi». «[…] non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante. I limiti non dipendono semplicemente da una eventuale ignoranza della norma. Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere “valori insiti nella norma morale” o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa».
Occorre discernimento. «È meschino – dice Francesco – soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano. […] È vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono mai abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari». È per questo che nessun «Pastore può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni “irregolari”, come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone. È il caso dei cuori chiusi, che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa “per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite».
Attenzione: «La Chiesa non è una dogana – dice Francesco – è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa».
8. I dubia
Una fronda si è mossa contro Amoris lætitia. È stata addirittura pubblicata una «correzione formale» (termine, peraltro, di scarsa consistenza storico-canonistica) nei confronti di Papa Francesco per presunti «errori» contenuti nell’Esortazione post-sinodale. Presentata nella forma di «correctio filialis», esprime un malessere che serpeggia nella Chiesa.
E, ancora, quattro cardinali ha firmato una ormai famosa lettera nella quale esprimono «dubia»: «Nell’esortazione apostolica post-sinodale Amoris lætitia è ancora valida la dottrina dell’enciclica Veritatis splendor di san Giovanni Paolo II, fondata sulla sacra Scrittura e la tradizione della Chiesa, circa l’esistenza di norme morali assolute, che valgono senza eccezione e che proibiscono atti intrinsecamente cattivi?». Così scrivono i cardinali Burke, Caffarra, Brandmüller e Meisner: «Per queste teorie, la coscienza potrebbe infatti legittimamente decidere che, in un certo caso, la volontà di Dio per me consiste in un atto in cui io trasgredisco uno dei suoi comandamenti. “Non commettere adulterio” sarebbe visto appena come una norma generale. Qua e ora, e date le mie buone intenzioni, commettere adulterio sarebbe ciò che Dio realmente richiede da me. In questi termini, casi di adulterio virtuoso, di omicidio legale e di spergiuro obbligatorio sarebbero quantomeno ipotizzabili».
Ma è realmente così: può ipotizzarsi un adulterio virtuoso, un omicidio legale, uno spergiuro obbligatorio? La domanda se simili atti siano permessi o no è poco sensata. Non esiste, infatti, un adulterio virtuoso, un omicidio legale, uno spergiuro obbligatorio. Con questo il problema non è risolto. La domanda eticamente sensata, allora, è se ogni atto di uccisione sia un assassinio, se ogni alienazione di patrimonio altrui sia furto oppure se ogni affermazione falsa sia anche una bugia (Amoris lætitia: un punto di svolta per la teologia morale?, 2017). Il problema, per limitarsi ad un esempio, è «se […] una persona, a seguito di un matrimonio catastrofico dal punto di vista umano, privo di amore e il cui carattere di immagine dell’amore di Dio si è frantumato, non possa trovare in un nuovo rapporto quella pienezza umana e spirituale, vissuta anche nelle forme espressive della sua esistenza corporea. Amoris lætitia non esclude del tutto tale possibilità, anche se con questo non si può dire che essa approvi l’adulterio» (Amoris lætitia: un punto di svolta per la teologia morale?, 2017).
Durante l’ultima messa crismale del Giovedì Santo in San Pietro, Papa Francesco, benedicendo l’olio usato per amministrare i sacramenti dell’anno, dice: «Non può essere presuntuosa l’evangelizzazione. Non può essere rigida l’integrità della verità».
Questo mi pare lo stile della Chiesa di Francesco: «Non ci sono formule sacramentali per evangelizzare, per annunciare il Vangelo, perché si annuncia con i gesti, con la testimonianza, con le forme della cultura in cui il messaggio di Gesù si incarna». È «con umiltà» che si annuncia il Vangelo, «non con l’atteggiamento di possiede la Verità, perché il messaggio di Gesù è tanto ricco che ci supera sempre». Perché la Parola di Dio non la possiamo ingabbiare dentro una formula: «la Parola di Dio ha una potenzialità che non possiamo prevedere. Il Vangelo parla di un seme che, una volta seminato, cresce da sé anche quando l’agricoltore dorme. La Chiesa deve accettare questa libertà inafferrabile della Parola, che è efficace a suo modo, e in forme molto diverse, tali da sfuggire spesso le nostre previsioni e rompere i nostri schemi» (Evangelii Gaudium, 2013).
Sì, libertà inafferrabile della Parola.
Reggio Calabria, 22 novembre 2017
Prof. Antonino Mazza Laboccetta