Cosa significa essere cittadini in tempo di crisi? E quali risposte politiche sono state date al problema dell’appartenenza negli ultimi vent’anni? Su questi interrogativi e piste di riflessione si è incentrata la lezione svolta da padre Vincenzo Toscano s.j. all’Istituto di formazione politica “Mons. Lanza”.
Il concetto di cittadinanza – ha esordito il docente – è un argomento molto dibattuto, soprattutto da quando esiste la comunità europea. Nonostante si sia raggiunta una parvenza di unità economica, l’identità europea non è ancora diffusa, tanto che ci sentiamo cittadini degli Stati che sono in Europa e non cittadini dell’Europa. L’essere cittadino europeo è considerato un’aggiunta possibile ma non assume una valenza di partecipazione politica. Al contrario, il concetto di cittadinanza implica la capacità di controllare le decisioni politiche e di cooperare con la parte politica della società. Appartenenza e cittadinanza significano anche tutela dei diritti. Tra i quali una particolare rilevanza assumono il diritto all’azione e all’opinione, che stanno, tuttavia, cambiando direzione a causa delle nuove tecnologie. Fino a pochi anni addietro i cittadini, infatti, si riunivano nelle associazioni, nelle sedi dei partiti e dei sindacati e prendevano decisioni. Ora le opinioni e le azioni assumono forme diverse, le opinioni cambiano nel corso dei minuti, al ritmo della velocità di comunicazione.
Ma come si evolvono i diritti di cittadinanza? Negli ultimi anni il mutamento – ha ancora affermato p. Toscano – è stato di segno negativo. Le opinioni, in particolare, si sono impoverite perché non c’è più un concetto di cittadinanza libera da quando esiste il welfare, che ha tolto ambiti di libertà. La cittadinanza sociale diviene cittadinanza sociale assistita e chi viene assistito non è in condizioni di piena libertà, né la sua voce può essere forte. Inoltre con l’affermarsi dello stato sociale la burocrazia si è evoluta in tutta Europa ed è divenuta discrezionale, e parallelamente i cittadini sono diventati clienti dello stato. Così il senso di libertà si è modificato e si è diffusa la cultura politica dell’appagamento. Dal punto di vista sociale l’attuale panorama è delineato da ricchi che si arricchiscono e poveri che impoveriscono, perché i mezzi di azione collettiva sono deboli e inadeguati. Alcune fasce sociali sono inattive nella comprensione e nella conoscenza dei loro diritti e hanno un livello di vita peggiore rispetto a prima. La mancanza di alloggi, l’educazione inadeguata, le tossicodipendenze diffuse, la povertà generale, il soppravvento di illegalità e corruzione sono i tratti più comuni della società in questo tempo di crisi. Che non è solo economica ma investe il concetto di cittadinanza, e gli stessi diritti umani. Questa crisi infatti ha separato l’economia dal resto della società, dischiudendo problemi interni di vita sociale che viene messa ai margini. Le difese democratiche si sono abbassate, la politica è in affanno e il malessere può sfociare in reazioni violente o autoritarie. Se è certo, dunque, che dei cambiamenti sono necessari, non si sa verso quale direzione bisogna andare e quanto saranno profondi e sostanziali questi mutamenti.
È possibile quindi costruire una nuova vita sociale in cui non imperi la finanza? È concepibile – ha asserito il docente – se si torna ai diritti dell’uomo e ad esigere un maggior rispetto per la sua dignità. Ma sono altresì necessarie nuove forme di organizzazione, di educazione e di governance, nonché una redistribuzione del prodotto nazionale in ogni parte del mondo. Se la crisi infatti continuerà ad essere un circolo vizioso, gli scenari politici e sociali non saranno rosei.
Quanto al concetto dell’appartenenza politica, p. Toscano ha evidenziato gli enormi cambiamenti avvenuti negli ultimi vent’anni. Se fino a “Mani pulite” esistevano dei partiti con una linea ideologica ben precisa e le loro sezioni e circoli fungevano da mediatori tra cittadini e istituzioni, adesso questo rapporto non è più mediato dal partito ma è diretto. Oggi i partiti hanno perso la loro identità e organizzazione, e si sono personalizzati. Il senso di appartenenza, cioè, si è convogliato sul leader carismatico. Inoltre i movimenti politici non hanno una struttura ideologica e delle radici, un passato a cui rifarsi e un futuro da programmare: ciò che conta è solo il presente. E anche la comunicazione è permeata da questa visione: i proclami, i sistemi di convinzione non servono più, ogni discorso è simile a uno spot pubblicitario che ha lo scopo di rafforzare l’identificazione dell’elettore con il leader. Durante la campagna elettorale, che è diventata permanente, i cittadini elettori si approcciano ai media più per trovare conferma alle proprie idee che per cambiarle. Dal canto loro, i politici cercano di intercettare i desideri e i bisogni dell’elettorato, li fanno diventare propri e li iscrivono all’interno della loro strategia politica e comunicativa. In tal modo vanno verso il senso comune e vi si adeguano, perché il loro fine è arrivare al potere. Su un piano più generale, gli attori politici ed economici sembrano interessati solo al massimo profitto possibile. Di contro, i diritti umani e il rispetto delle persone sono sempre più deboli e la crisi diventa mancanza di possibilità di vita per molti.
La società capitalistica, o delle banche e dei poteri forti, – ha concluso p. Toscano – con centro propulsivo nel capitale, fa acqua da tutte le parti. È giusto quindi dare agli economisti carta bianca o è piuttosto auspicabile ritornare alle ragioni politiche? Una cosa sembra certa: se non si cambiano il modello di società e i modi di concepire le relazioni sociali, gli scenari che verranno potrebbero essere inquietanti.
Vittoria Modafferi
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