«Nessuno ha ricette facili da proporre per uscire dalla crisi e da questo sistema, ma guardare le cose con severo realismo per tentare di ricostruire insieme una cultura e una prassi politica più degne dell’uomo è non solo auspicabile ma urgente e doveroso».
Con queste parole Giovanna Cassalia – docente di antropologia filosofica presso l’Istituto superiore di scienze religiose di Reggio Calabria – ha iniziato la sua lezione all’Istituto di formazione politica “Mons. Lanza “ su: Liberare l’intelligenza del cuore. Per ri-sanare le relazioni sociali e la prassi politica.
Per cercare vie nuove, diverse da quelle fin qui praticate – ha affermato la docente – occorre esercitare il pensiero critico e abbandonare, se necessario, dimore ritenute rassicuranti (anche filosofiche, concettuali, oltre che sociali e di costume), che in realtà imprigionano. Il contesto nel quale viviamo oggi è quello di una mondializzazione che in brevissimo tempo ha eroso tanta parte delle conquiste realizzate dai processi di interdipendenza, essendosi via via identificata con la globalizzazione. Così l’egemonia del potere economico-finanziario ha colonizzato tutti gli aspetti della vita sociale e drasticamente ridimensionato la politica e snaturato lo Stato. Con l’estensione dei meccanismi di liberalizzazione dei mercati, a partire dagli anni settanta del secolo scorso, e la fine delle ideologie e della divisione del mondo in due blocchi contrapposti, è risultato vincente il modello capitalistico, ritenuto il solo capace di portare crescita e progresso ovunque. E così il paradigma neoliberista – sempre più rafforzato nel suo impianto di utilitarismo individualista – ha via via favorito il formarsi d’un marcata mentalità autocentrata e narcisista. Ha indebolito i legami sociali, inasprito le disuguaglianze, contrapposto l’un l’altro individui e paesi, nella sfida coattiva – imposta dall’adorato dio denaro – alla competizione ad ogni costo. E il costo è ben alto se chi non regge, singoli, famiglie e interi paesi, soccombe. Inesorabilmente. È ciò che oggi sta accadendo. Tutto questo in un’atmosfera crescente di colpevole indifferenza, quando non di estesa complicità. Oggi quel paradigma presenta il conto pesante del suo fallimento. E fa esplodere la crisi. Onnivora e impietosa.
Ma al fondo – si è domandato la Cassalia – la crisi attuale da cosa è generata? È davvero principalmente crisi economico-finanziaria, come da più parti si sostiene – giustificando in tal modo anche i pesantissimi interventi ‘correttivi’ (per ridurre lo spread, si dice, aumentare il PIL, favorire la crescita, economica naturalmente)? È crisi politica? È crisi morale? Sì e no. Non solo almeno. Perché è più precisamente crisi antropologica. Ed educativa. Che investe perciò tutti gli ambiti di interesse dell’umano. È crisi di un certo modo di vivere dell’uomo, di un certo modo di pensare l’uomo, il suo abitare il mondo e le ragioni e il senso della sua esistenza. Quella che sta dietro certi comportamenti, che pure sembrano normali oggi, è una visione che sostanzia una cultura rovesciata, e perciò infedele alla verità che è l’uomo. Trattare l’altro, donna o uomo che sia, come oggetto e risorsa, per i propri piaceri o affari, invece che soggetto e fine dei rapporti interpersonali, sociali e politici. Pensarlo sempre in vista dell’utilità che ne può provenire o della produttività di cui è capace, o commisurarne il valore e il riconoscimento solo sulla base del ruolo che ricopre o della funzione che esercita, o delle appartenenze che vanta, invece che semplicemente in ragione della costitutiva originaria e irrevocabile sua dignità e nobiltà di persona, significa accettare e veicolare un’idea di uomo davvero lontana dai suoi propri tratti di umanità. Se la precarietà è entrata così prepotentemente nell’organizzazione del lavoro, e se è così diffuso e poco o per nulla contestato il pensiero che esalta e idealizza l’uomo senza qualità e mitizza la flessibilità (pur dote virtuosa se esercitata entro certi limiti ed in certi ambiti; e sia pure precisando che va distinta dalla precarietà), non era e non è difficile vedervi un grande imbroglio soprattutto nei confronti dei giovani: si privilegia spesso chi è capace di flettersi, di adattarsi ad essere gestito e manipolato, disponibile e asservito al sistema, docile anche a pratiche corruttive di manifestazione e acquisizione del consenso politico; consenso che perde in tal modo il suo carattere essenziale di libertà e di convinzione.
E così, costringendo a rinunciare alle attitudini personali, alla propria vocazione, ai talenti, all’esercizio di una personale intelligenza creativa, alla novità di cui ciascuno è portatore, per assumere invece di volta in volta i connotati funzionali al sistema, si soffoca quel naturale percorso esistenziale che ciascuno dovrebbe poter costruire a partire da progetti possibili e aspettative legittime di vita personale, familiare, sociale – ha ribadito la Cassalia. Si arriva a constatare perfino talora come certe anomalie nei comportamenti e nelle pratiche individuali, sociali e istituzionali non suscitano più nemmeno indignazione e non producono anticorpi efficaci, perché quelle pratiche non si avvertono più come patologiche; sono subìte e vissute con rassegnato senso di impotenza o di ormai incorreggibile normalità. E così ci si ritrova facilmente, a volte anche senza accorgersene, dentro una stretta rete di corruzione diffusa e condivisa. E gli effetti corrosivi di tali pratiche sono sotto gli occhi di tutti, sul piano del senso civico, della legalità, del rispetto delle cose comuni, della giustizia, che esige invece che siano create le condizioni perché ciascuno trovi la sua conveniente collocazione nella casa comune. Ma, quando in un contesto cittadino gravemente violato e ferito si registrano a tutti i livelli criticità non più solo al limite della fisiologia ma che sconfinano abbondantemente in patologie intollerabili, allora, in qualche misura – e forse anche in larga misura – non solo chi ha responsabilità organizzativo – istituzionali, ma anche la società civile ne è corresponsabile. Accanto alle giuste critiche, anche l’autocritica, dunque.
Allora vanno ripensati insieme e rimodulati – ha detto la Cassalia – stili, modi e vie che consentano alla società e alla città assetti organizzativi, orientamenti e decisioni politiche che aiutino a intessere quei sani rapporti comunitari di cui c’è bisogno. Per questo occorre riattivare l’impegno per l’esercizio di una continua attenzione. Per intercettare tempestivamente i segnali – pure spesso evidenti – di pratiche e idee degenerative e distruttive e scongiurarne il radicamento. Aprire gli occhi, dunque, svegliarsi, non vivere da sonnambuli. E risvegliare tutte le dimensioni del sentire che nutrono l’intelligenza e il cuore. L’intelligenza del cuore. Intelligenza che, via via liberata dalle scorie del malcostume, della menzogna istituzionalizzata, dell’abitudine al disprezzo del senso civico, allo scempio disinvolto di cose, valori e persone, si traduca in presenza critica, passione civile e impegno propositivo e fattivo.
Vittoria Modafferi