È una crisi strutturale, che scuote le fondamenta della società. Si può definirla crisi di sistema perché coinvolge tutti gli ambiti del vivere sociale: famiglia, scuola, religione, politica. Probabilmente è paragonabile alla crisi avvenuta alla fine del mondo antico, perché segna l’epilogo di una civiltà, ma contiene in sé anche forze di rinascita, elementi di rigenerazione. Non tutto è perduto, quindi, in questa società frantumata, in crisi di identità e senza forti legami di solidarietà. La strada per uscirne passa attraverso la via del dialogo e della concertazione mondiale. E implica il recupero di un’etica della responsabilità.
Ne è fermamente convinto Paolo Arcudi – sociologo, impegnato in attività di volontariato e nell’insegnamento – che durante una lezione all’istituto di formazione politica “Monsignor Lanza” ha passato al setaccio l’attuale crisi mondiale. L’analisi del contesto socio politico contemporaneo è stato un passaggio qualificante dell’intervento del docente. Che ha inizialmente esaminato il potere, per poi delineare il suo rapporto con il mondo della comunicazione.
«Il potere – ha esordito Arcudi – è una realtà sfaccettata e cangiante. È attinente alla natura dell’uomo, ma è anche un fenomeno culturale e sociale. Per un verso, presenta il carattere della necessità, dell’unione, perché produce legami e crea sistema in una società. Coagula gli interessi di parte per arrivare a una integrazione. In questo senso, il potere ha la funzione di collante, crea un popolo, forma la nazione. D’altra parte, il potere ha un volto diabolico, perché è anche menzogna, distorsione, manipolazione. Se, dunque, attrae e affascina per la sua simbologia, può anche terrorizzare quando svolge una funzione distorsiva della realtà.
Il potere è un fenomeno ambivalente: è indispensabile in una società, in quanto assicura i bisogni fondamentali di ordine e convivenza; però può presentare delle distorsioni, delle derive che sono le ideologie totalizzanti. La “malattia” del potere si riscontra quando aspira a diventare totalizzante – e i regimi fascisti e comunisti ne sono un esempio. Il vero dramma nasce quando il potere tracima dal solco dell’etica. La società, infatti, si basa sull’ordine morale, legato alla natura umana; ma se il potere non accetta il limite dell’ordine morale, diventa totalizzante.
Gran parte della crisi attuale è dovuta alla dissociazione tra etica e politica. La politica, infatti, ha in sé una tendenza a generare conflitto se non è temperata dalla funzione sapienziale dell’etica. Direi che una causa dell’odierno declino, è il nostro vivere un’esistenza deresponsabilizzante. Anche a livello istituzionale si tende a non individuare le ragioni di un evento, ma c’è un rinvio di responsabilità. Nessuno è chiamato a rendere conto del proprio operato nella vita civile, e ciò ha portato a un intorpidimento della base morale della società.
Oggi manca un afflato morale, soprattutto nei giovani, che non hanno una visione di speranza, un desiderio di futuro. Le nuove generazioni non hanno sviluppato una coscienza civile; vivono una vita stordita, senza impegno, sacrificio, dedizione. Urge, quindi, un recupero di valori morali, di un’etica aperta al confronto con le altre culture. Un ruolo importante, in questa direzione, potrebbero svolgerlo le religioni, le sole in grado di costruire quelle risorse di senso e di valori che sono alla base del vivere sociale e civile. E invece la società è sempre più disarticolata, è composta da individui che non comunicano tra loro. C’è una grande crisi di identità, una forte perdita dei legami di solidarietà; e il cittadino è visto come un consumatore, uno spettatore passivo. Il grande salto culturale è far diventare l’uomo un soggetto attivo, e questo compito deve assumerlo la cultura politica».
Anche l’aspetto economico della crisi che stiamo vivendo, ha delle motivazioni più profonde di quanto siamo portati a credere. «La crisi – prosegue Arcudi – non è solo di natura economico-finanziaria, ma è il frutto di avidità e speculazione del mercato che non ha più limiti etici né controllo. Il dramma è che il potere dell’economia si è sganciato dall’etica. E le cause affondano le radici negli anni 80, in coincidenza con l’era di Reagan e della Tatcher. In quel periodo iniziò il lento ritirarsi dello Stato dalla vita economica e sociale, a tutto vantaggio del mercato. Secondo le logiche liberali allora imperanti, il mercato da solo poteva regolare ogni aspetto dello scambio, e non aveva bisogno della funzione regolatrice dello Stato. In seguito, con la globalizzazione il mondo divenne un unico grande mercato, che mancava di una cornice normativa. Ciò ha comportato il caos, l’aumento delle disuguaglianze all’interno dei Paesi e a livello mondiale. La strada per uscirne è la concertazione, una sorta di governo mondiale della globalizzazione».
In un contesto di recessione, e di crisi strutturale, la politica non sembra stare meglio. Anzi, quella italiana appare provata da un insieme di difficoltà, che provengono da lontano. «Oggi – ha affermato il docente – assistiamo a un depotenziamento della funzione parlamentare, che insieme al declino dei partiti, segna la crisi della democrazia italiana. Già con il crollo delle ideologie, i partiti hanno perso la loro funzione di collegamento tra società civile e istituzioni e si sono trasformati in partito – azienda. In questo contesto, il governo si rivolge direttamente al popolo, tramite i mass media. Per lanciare un programma, si ricorre alla televisione o a internet.
Nella società dei flussi di comunicazione, il potere consiste nel governare questi flussi. La comunicazione, infatti, è la risorsa fondamentale della nostra società. Oggi la grammatica della società è dettata dal linguaggio dell’immagine, e i codici televisivi sono quelli trionfanti. La televisione, in particolare, ha una funzione ipnotico-suggestiva, non invita cioè ad un’analisi critica o razionale, ma coinvolge solo la sfera emotiva. Tuttavia, ha la capacità di “costruire” la realtà, piuttosto che di rappresentarla. E poiché i mezzi di comunicazione hanno la forza di creare modelli che poi sono largamente imitati, e di plasmare la realtà, chi manovra le leve della comunicazione, ha un enorme peso politico-mediatico».
Vittoria Modafferi