“Cittadinanza e Istituzioni”

“Cittadinanza e istituzioni”. Con questo tema si è avviato il primo di una serie di incontri sulla cittadinanza attiva, che si svolgeranno ad Arghillà con il contributo dell’istituto di formazione politica “Monsignor Lanza”. L’iniziativa fa parte del progetto pastorale promosso dalla diocesi sul territorio della parrocchia Sant’Aurelio, progetto rivolto a tutta la comunità. Che ha risposto con entusiasmo e interesse all’iniziativa.

A fare gli onori di casa è stato il parroco, don Francesco Megale, che ha  spiegato il significato e gli obiettivi di questi appuntamenti. «È un incontro aperto a tutti, proprio perché rivela il nostro tentativo di andare incontro alla gente. Con una serie di progetti già avviati e attraverso queste iniziative, cerchiamo di essere presenti per alleviare le sofferenze delle persone. Valorizzando le esperienze attive sul territorio e lavorando insieme siamo certi che le cose potranno migliorare, anche se lentamente». Ringraziando i docenti e i corsisti della scuola “Monsignor Lanza”, don Megale ha continuato: «Vorremmo far capire che la chiesa, tramite i laici, non si occupa solo di fede. Ma poiché il cristiano vive nella società, vi può portare quei principi e quei valori condivisi da  tutti gli uomini. Conoscere gli aspetti che riguardano le istituzioni, accresce in noi la consapevolezza di cosa siano, e ci permette di capire i nostri diritti e i doveri».

La parola è passata ad Antonino Spadaro – docente di diritto costituzionale presso l’Università Mediterranea di Reggio – che ha fatto alcune osservazioni di metodo sul rapporto tra credenti e istituzioni. «Il filosofo Maritain, distingueva tre piani: religioso, pre-politico e politico in senso lato. Sul piano strettamente religioso che riguarda l’aspetto liturgico, catechetico e spirituale, non ci può essere differenza di vedute tra cristiani, ma unanimità. Si è tenuti ad aderire al Credo, e a ciò che la Chiesa dice essere il contenuto della fede. Sul piano intermedio, che riguarda  la formazione, la solidarietà, il cooperativismo, non c’è un dato dogmatico a cui aderire, sebbene vi siano derivazioni di tipo morale dalle verità di fede. Infine, sul piano temporale – nelle attività politiche, sindacali, istituzionali – non si agisce più “in quanto” cristiani ma “da” cristiani. In questo campo, non si può spendere il nome di Cristo e della Chiesa, perché non ci sono verità politiche che derivano direttamente dal vangelo.

Quando si parla di impegno politico, economico, sindacale, è il singolo uomo che agisce da cristiano (cercando di interpretare il vangelo e di applicarlo come riesce) a titolo personale, assumendosi la responsabilità delle sue scelte. Se nel primo e secondo livello c’è omogeneità delle scelte, sul piano politico c’è pluralismo. Questo significa che il cristiano che fa politica è libero, e ci può essere diversità di vedute fra cristiani. Questo principio non è sempre stato così chiaro. Tuttavia, da quando non c’è più un partito unico che raccoglie i voti dei cattolici, il pluralismo politico è evidente. Il rischio ora è di identificare i cattolici solo con coloro che si occupano di bioetica, di problemi legati alla famiglia, di eutanasia. Ma non si può ridurre il cattolicesimo a queste tematiche privatistiche: ci sono anche i problemi dell’immigrazione, della disoccupazione e altro. L’importante è comprendere che il credente è libero nella coscienza e può agire in autonomia. Inoltre, il Concilio Vaticano II ci insegna che la chiesa non è fatta solo da credenti, bensì c’è una “chiesa invisibile” composta da chi ama secondo carità e cerca la verità. Da persone di buona volontà che ubbidiscono alla loro coscienza e si impegnano per gli altri. Quindi i cristiani non possono rifiutarsi di lavorare insieme agli altri, anche se atei. Perché per agire sul piano amministrativo o per il bene della comunità non è rilevante avere fede. È bene per noi cristiani educarci all’apertura al mondo, all’ecumenismo, ed evitare di chiuderci. Riformiamoci dal di dentro;  formiamoci alla libertà di coscienza; abituiamoci ad essere laici autonomi, che possono umilmente chiedere consiglio alla comunità ecclesiale; e studiamo per essere preparati ad affrontare i problemi sociali».

Dopo l’intervento di Spadaro sul metodo con cui si può impostare la riflessione sul piano dell’impegno socio-politico, è seguito il contributo di Claudio Panzera – ricercatore in diritto costituzionale presso l’Università Mediterranea. Il docente ha messo l’accento sull’importanza e il senso della partecipazione dei cittadini alla vita sociale e politica.

«La partecipazione – ha affermato – non vuol dire fare materialmente parte delle istituzioni, magari con una carica elettiva. È un fattore che ha un’origine precedente, e risiede nel desiderio di conoscere, di informarsi, di non essere indifferenti a ciò che accade. Significa sentirsi stimolati a intervenire, chiamati a partecipare in prima persona all’impegno sociale e politico. La nostra vita da cittadini non è tale se non ci curiamo degli altri e delle problematiche che attengono al bene comune. Agire da cristiani in politica, vuol dire interessarsi al bene comune, cominciare a partecipare, a informarsi, fare ricerca e studiare, cercare di capire per formarsi una coscienza libera. In questo modo si partecipa alla vita sociale anche senza stare dentro alle istituzioni, ma dal di fuori, lavorando per la comunità».

Panzera ha invitato i presenti a informarsi sempre su quanto accade nel nostro territorio, o nel Paese. È solo grazie a una conoscenza approfondita che ci si può formare un’opinione libera sui temi discussi nel Paese, e si può cercare di comprendere se una certa azione politica ha prodotto i risultati voluti. «Il nostro approccio alle istituzioni – ha chiarito – non può essere quello di chi si accontenta di seguire la maggioranza, perché questa fa sempre bene. Né si può essere pregiudizialmente contrari a ogni soluzione perché viene solo da una parte politica. In un sistema dove tutti i diritti sono tutelati, e ognuno può sentirsi partecipe dell’azione politica, ogni provvedimento si deve misurare non soltanto sulla forza dei numeri ma anche sulla Costituzione, che sottolinea come nei rapporti tra organi dello Stato, tutto funziona se si mantiene un certo equilibrio e un reciproco controllo».

Infine il docente ha invitato tutti a non avere un atteggiamento rassegnato o arrendevole. «Spesso i cambiamenti in meglio avvengono “dal basso”, perché è da qui che si esercita pressione e si indirizzano gli orientamenti politici. Quanto maggiore è il controllo e la partecipazione dei cittadini in una comunità, tanto meno le istituzioni si  sentono le mani libere».

Dopo la relazione dei due docenti, è seguito un dibattito con il pubblico presente. Gli interventi dei cittadini convenuti all’incontro, hanno rivelato l’interesse suscitato dall’iniziativa. La partecipazione alla vita delle istituzioni inizia anche da una formazione attenta e consapevole.

 

Vittoria Modafferi