LA COMUNITÀ CRISTIANA REGGINA E LA GUERRA IN UCRAINA

L’ Istituto Superiore di Formazione Politico-Sociale Mons. Antonio Lanza si è interrogato in questi giorni sulla tragedia in atto legata alla guerra in Ucraina, nel desiderio di offrire una prima riflessione alla comunità cristiana della nostra diocesi e porre le premesse per possibili azioni locali che possano unire e non dividere coloro che sinceramente vogliono la pace nella giustizia.

Abbiamo così individuato cinque punti fermi alla base di questo impegno.

 

  1. Il conflitto russo-ucraino

La guerra è sempre un male. In questo senso non si può dimenticare l’orrore di tante altre guerre in corso, solo perché lontane da noi ed in Paesi dilaniati da decenni di odi e conflitti (Yemen, Siria, Etiopia, ecc.). A nessuna di esse dobbiamo abituarci. La nostra stella polare è il progetto che Papa Francesco ci ha consegnato con la lettera enciclica “Fratelli tutti”, che rifiuta ogni semplice diffidenza e rancore fra gli uomini, prim’ancora che la stessa violenza sanguinosa della guerra. L’invasione russa dell’Ucraina, però, è particolarmente grave perché rinnova assurdamente le ferite della Seconda Guerra Mondiale proprio nel cuore dell’Europa, un continente in pace da decenni (salvo la tragedia della ex Iugoslavia, dalle complesse radici), scuotendo le fondamenta dei valori sui quali si fonda il diritto della comunità internazionale, col rischio che si trasformi nella miccia di una deflagrazione mondiale.

 

  1. La legittimità della c.d. “resistenza armata” ucraina

Benché formalmente non sia stata “dichiarata” alcuna guerra, uno Stato sovrano, preparando il suo intervento armato da mesi e rifiutando ogni tentativo di mediazione internazionale, ha aggredito militarmente un altro Stato sovrano, con lo scopo, se non di annientarlo, di sottometterlo.

Crediamo si possa parlare senza incertezze di una “resistenza ucraina”.

La “resistenza” nasce dalla guerra, ma non è la guerra. La nostra Costituzione, per esempio, nell’art. 11 ripudia “la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, ma non esclude la “difesa” armata del nostro Paese. Certo esistono colpe da entrambe le parti: miopie ed errori dell’Occidente (e della Nato), oltre a una discutibile retorica nazionalista ucraina, hanno portato alla secessione di alcune regioni del Donbass ed al conflitto che dal 2014 ne è seguito, preceduto dalla annessione unilaterale alla Russia della Crimea.

Nulla però giustificava questa sanguinosa aggressione che miete incessantemente vittime civili e sta causando la morte di decine e decine di giovani soldati russi e ucraini.

In questo quadro si comprende la scelta storica dell’Unione Europea di offrire il più concreto sostegno possibile, anche militare, al legittimo governo ucraino. Ed è doveroso esprimere in ogni caso la massima solidarietà all’intero popolo dell’Ucraina che ha mostrato un’eccezionale “resistenza”, inattesa e coraggiosa, senza della quale oggi ogni discorso sarebbe vano.

 

  1. L’alternativa possibile e dimenticata: la resistenza non violenta

Ciò detto, e dunque riconosciuta la legittimità della resistenza armata all’invasione, una comunità ecclesiale tradirebbe la sua natura ed il suo scopo se non offrisse e ricordasse “alternative”, non utopistiche e praticabili, alla resistenza armata. Vanno senz’altro ricordate la preghiera e il digiuno: sono strumenti esemplari ed efficaci di conversione individuale per combattere il male “nel” e “del” mondo.

Ma soprattutto è possibile immaginare in uno Stato “occupato” da truppe straniere “anche” una resistenza non violenta (non collaborazionismo, formazione clandestina dei giovani, contro-informazione, manifestazioni pubbliche, processioni, scioperi, sabotaggi, ecc.) che è direttamente frutto dell’insegnamento del Vangelo, accomuna uomini e donne, credenti e non credenti di buona volontà, e non può essere confusa con la pavida passività dinanzi al male.

Essa è “lotta non armata” per la giustizia, volta ad estirpare alla radice il male dal cuore dell’uomo, mostrando al fratello che ti percuote tutti i suoi errori. La “non violenza” – per la sua natura intrinsecamente persuasiva e non coattiva – non può impedire lo spargimento di sangue innocente, ma attenua il dolore innocente e cerca di costruire il “dopo”.

La “via non violenta” deve essere considerata un’assoluta priorità dalle comunità cristiane, che purtroppo devono ancora formarsi e “maturare” un’adeguata conoscenza delle tecniche della non violenza. Le immagini delle mamme ucraine che hanno rifocillato alcuni soldati russi prigionieri ci dà la dimensione più bella e completa del significato di rispondere al male con il bene. Quello che sta accadendo in alcune delle piccole città conquistate (Kherson, Melitopol), con i cittadini che, in massa, sventolano in piazza le bandiere e chiedono senza uso delle armi la liberazione dei sindaci arrestati ne è un luminoso esempio. Ma dobbiamo essere consapevoli che in Russia queste immagini non possono essere diffuse: la maggioranza della popolazione è manipolata e assuefatta ad un’altra realtà; il dissenso è violentemente represso.

 

  1. La necessità di vincere lo strumento diabolico della disinformazione

Per quanto modesto possa essere il nostro contributo, uno dei nostri compiti ineludibili è certamente quello formativo e informativo.

Siamo anzitutto chiamati a combattere il male nei suoi aspetti più sottili, denunziando la deformazione delle parole sui media che capovolgono la realtà e servono a disumanizzare l’avversario. Non può non colpire qualunque sincero democratico il fatto che sia reato in Russia parlare di “guerra” o “invasione”, ciò che oggettivamente è innegabile sia avvenuto, imponendo di descriverla su tutti i media come una operazione militare speciale. Ed ancora che si spacci per genocidio la sofferenza, che pure è reale, delle province filorusse di Donetsk e Lugansk, o che si usi il termine di denazificazione per un’intera nazione, che invece ha tenuto elezioni politiche unanimemente ritenute regolari, evocando la barbarie del nazismo che ha devastato ottanta anni fa entrambi i Paesi, in nome di una guerra falsamente “ideale” e “patriottica”. L’uso malvagio delle parole che promuovono e fomentano la guerra, da chiunque provenga, va condannato come una inaccettabile manipolazione delle coscienze, rendendo sempre più nemici e vendicativi popoli fratelli. Confidiamo, in particolare, nella capacità del popolo russo di distinguere vero da falso e di resistere agli effetti nefasti della propaganda. In ogni caso, tutte le comunità cristiane reggine vogliono essere vicine, non formalmente, ad entrambe le comunità nazionali – russa ed ucraina – presenti nel territorio della città metropolitana e invitano le stesse ad unirsi nella preghiera e nella solidarietà.

 

  1. Il sacrilego uso “politico” della religione

Siamo stati tutti profondamente turbati dalle parole del Patriarca della Grande Chiesa ortodossa russa Kirill. Colpisce non solo il tono apocalittico contro l’omosessualità, vista come espressione della più generale disintegrazione dei valori dell’Occidente, ma che nel 2022 un vescovo “cristiano” sembri trascurare completamente la sofferenza dei due popoli coinvolti, ignorando l’impraticabilità della guerra, che non è mai una soluzione. Che possa quasi benedirla come una crociata. Questo è intollerabile e drammaticamente pericoloso. Siamo quindi particolarmente solidali con i fratelli delle Chiese ortodosse presenti a Reggio, che guardano con disagio a questi fenomeni. Siamo inoltre chiamati a ripensare il “ruolo” pubblico della nostra fede cristiana, per meglio costruire quel “servizio” alla fraternità universale di cui ancora una volta parla l’enciclica “Fratelli tutti” di Papa Francesco.

Invitiamo pertanto tutti – credenti cristiani, credenti in altre religioni, e non credenti – ad esprimere la massima solidarietà possibile, dunque una concreta accoglienza, verso i profughi che stanno venendo dai territori coinvolti nella guerra.