L’opposizione parlamentare

Il modo in cui si articola il rapporto maggioranza/opposizione nel Parlamento, è sintomatico del funzionamento di una democrazia. E il ruolo dell’opposizione è fondamentale nella dialettica tra “potere” della maggioranza e “contropotere” delle minoranze. Quanto più, infatti, sono efficaci gli strumenti di contropotere di cui è espressione l’opposizione parlamentare, tanto più il sistema democratico è funzionante e vitale. Claudio Panzera – ricercatore in diritto costituzionale presso l’Università Mediterranea di Reggio – lo ha spiegato durante una lezione all’istituto di formazione politico sociale “Monsignor Lanza”.

Il docente ha chiarito che uno dei capisaldi di un ordinamento democratico – costituzionale è il rispetto delle minoranze. Non ci può essere vera democrazia se la maggioranza – pur in forza di un quorum di voti sufficienti – riduce al silenzio le opposizioni o se impone – con la forza dei numeri – la propria volontà senza garanzie e protezione delle minoranze.

Panzera si è poi soffermato sulla differenza concettuale tra minoranza e opposizione. Mentre maggioranza e minoranza all’interno del parlamento si “fanno e disfano” in base ai temi da trattare, e sono trasversali agli orientamenti politici; per opposizione si intende l’arco di gruppi o partiti politici che non sostengono l’azione di  governo. Coloro che votano contro l’indirizzo politico perseguito dal  governo, si coalizzano formando l’opposizione, che può comprendere diverse minoranze.

La nascita storica dell’opposizione parlamentare e il suo funzionamento, sono stati gli argomenti trattati nella seconda parte della lezione. «Questo excursus può farci comprendere quale può essere il ruolo dell’opposizione in un sistema parlamentare maturo» ha spiegato Panzera, che si è soffermato su alcune caratteristiche del sistema britannico, il più antico regime parlamentare. Ciò che colpisce, è la netta contrapposizione di ruoli tra maggioranza e opposizione, che però «si muovono all’interno di un dato di fondo, cioè la condivisione di valori comuni, che nessuno oserebbe mettere in discussione. Inoltre, entrambe le forze si legittimano reciprocamente. Chi perde alle elezioni, riconosce i vincenti, e questi riconoscono ai perdenti uno spazio legittimo per far sentire la propria voce. Così, l’opposizione non lavora contro l’interesse del Paese, ma vigila sull’operato della maggioranza e si richiama alla Corona nei casi di decisioni concrete che vadano contro l’interesse generale, svolgendo un ruolo di garante dei valori comuni. Inoltre, l’opposizione ha una funzione propositiva, nel senso che formula un progetto politico alternativo a quello della maggioranza di governo, aspirando a conquistare il potere nelle successive tornate elettorali. Questo meccanismo dell’oscillazione del pendolo (o democrazia dell’alternanza), ha dato prova di stabilità ed efficienza.

In Italia,  invece, le due condizioni presenti nella costituzione inglese non hanno potuto funzionare in maniera stabile». Ricostruendo il clima politico e istituzionale del secondo dopoguerra, il docente ha spiegato le ragioni della particolarità del caso italiano. Dopo l’approvazione della Costituzione – e per lunghi anni della storia repubblicana – si sono avuti partiti antisistema, che collocandosi all’estremo, erano in continua contestazione delle regole comuni, dell’assetto politico, degli accordi istituzionali. Poiché miravano a sovvertire il sistema, dovevano essere neutralizzati. E la via che si scelse fu quella di una esclusione di fatto, con la conventio ad excludendum. Si trattava di un tacito accordo dei maggiori partiti di governo (Dc, Pli, Psi, Pri) che escludeva MSI e PCI dall’area di governo.

«Era inimmaginabile per loro proporsi un domani come forza politica di opposizione e poi – con una propria alternativa – come guida del Paese. Tuttavia, se non si arrivò mai alla rivoluzione (visto che queste forze puntavano a sovvertire l’assetto esistente), fu a causa di meccanismi compensativi. Ciò che era tolto loro, dal piatto del governo, veniva restituito sul piano della partecipazione ai lavori parlamentari. I regolamenti parlamentari approvati nel ’71 prevedevano una partecipazione molto ampia delle minoranze e dell’opposizione. A quei partiti che erano esclusi dal governo, si consentiva – come valvola di sfogo – di poter influire sull’azione politica dentro il Parlamento. Dove la regola dell’unanimità per stabilire ad esempio la programmazione dei lavori, costringeva tutti i gruppi a trovare un accordo, pena il blocco dell’attività. Così, il rapporto tra maggioranza e opposizione, che a livello di azione di governo e di grandi battaglie politiche, era dominato da un contrasto fortissimo, in sede di commissioni parlamentari era caratterizzato da una certa intesa. Questo perché le contropartite degli accordi soddisfacevano tutti. Da qui ha origine il fenomeno del “consociativismo”, che indica una forma di gestione delle decisioni basata su reciproche concessioni».

Le cose iniziano a cambiare nel ‘93, quando i referendum elettorali sgretolano la pacifica convivenza tra forze politiche data dal precedente sistema proporzionale. “Con il sistema maggioritario – ha dichiarato Panzera – i rapporti maggioranza/opposizione diventano più radicali in parlamento e si verifica una doppia inversione di tendenza. Salta il meccanismo del consociativismo e si verifica una frattura netta tra maggioranza e opposizione. I sistemi maggioritari tendono, infatti, a bipolarizzare le forze politiche e introducono a livello di psicologia politica l’idea dell’alternanza. Perciò trovare un accordo in parlamento non è più così semplice. Inoltre, la trasformazione dei partiti dopo Tangentopoli ha permesso l’ingresso nell’area di governo di alcuni partiti come l’ex Msi e Rifondazione comunista. Si avvia un percorso di avvicinamento al sistema britannico del rapporto tra maggioranza e opposizione».

Infine Panzera ha gettato uno sguardo sui più recenti scenari politici. «Con l’attuale legge elettorale, (che introduce un premio consistente di seggi a chi riceve la maggioranza relativa dei voti) si consente a una minoranza di diventare maggioranza schiacciante. Diviene quindi fondamentale il modo in cui si equilibrano i rapporti maggioranza/opposizione in Parlamento per capire in che direzione si sta andando. Se verso una democrazia totalitaria in cui il potere diventa ancora più potere, o verso una democrazia costituzionale in cui la dialettica potere/contropotere si mantiene vitale.

Un punto nodale, a tal proposito, è l’attuale proposta di modifica dei regolamenti parlamentari avanzata da alcuni deputati del Pdl. Per la prima volta si introdurrebbe la figura di opposizione con spazi di discussione e poteri di iniziativa ampi. Ma sono norme subordinate alla preponderanza dei meccanismi che consentono al governo di diventare il padrone dei lavori parlamentari. La maggioranza diventerebbe il braccio esecutivo del governo, organo di ratifica delle sue decisioni. Dietro lo “statuto delle minoranze” si nasconde un obiettivo di rafforzare il potere del governo di dirigere i lavori parlamentari. Ma se il parlamento viene marginalizzato e ridotto a mero esecutore, dimenticando che dovrebbe essere la guida e il controllore del governo, la democrazia diviene l’ombra di se stessa».

Vittoria Modafferi