Crescere nella consapevolezza che ognuno può portare avanti un progetto di servizio agli altri nella città è da sempre un obiettivo dell’Istituto di formazione politico-sociale “Mons. Lanza”. La prof.ssa Francesca Panuccio – direttore della scuola diocesana – lo ha sottolineato nell’incontro di apertura del nuovo anno sociale, durante il quale ha illustrato il percorso proposto dall’Istituto.
Il seminario di quest’anno che ha come titolo “Autorità, giustizia, non violenza. Da Sud” tratta un argomento di estrema attualità – ha precisato la docente ai numerosi corsisti presenti – perché ora come non mai si avverte la necessità di studiare il tema della non violenza. E lo si farà considerando in modo particolare la realtà in cui siamo radicati.
Il corso – ha chiarito ancora la Panuccio – si articolerà in vari incontri con esperti, approfondimenti su argomenti ben specifici, dibattiti, laboratori pratici e momenti di confronto. Quest’anno, inoltre, abbiamo accettato l’invito a collaborare con il laboratorio di partecipazione sociale, giunto alla sua quarta edizione. E riprenderemo un’esperienza che avevamo già offerto alla città, cioè la Prolusione ai corsi che avrà come relatore un culture della non violenza, il professore A. Drago dell’Università di Pisa. Il tutto nell’auspicio e nella consapevolezza che ognuno di noi può essere portatore di cambiamento nel contesto in cui vive, e offrire il proprio contributo per la pace del mondo. Dopo aver presentato il seminario, la Panuccio ha dato spazio alla testimonianza di quattro giovani reggini che hanno partecipato al laboratorio estivo di formazione politica, organizzato dalla Cvx e svoltosi al convento di Calascio.
Lucio Dattola ha ricordato la diversità geografica e di esperienze professionali e sociali dei giovani partecipanti, che si sono confrontati sulle difficoltà economiche attuali. «Abbiamo discusso e riletto i problemi in un’ottica di attività nel territorio in cui viviamo, per la realizzazione del bene comune. Questo laboratorio è stato un grande dono perché abbiamo riflettuto su come si possa realizzare il Regno di Dio nelle nostre realtà, in un’ottica civica». Michela Calabrò ha affermato che il laboratorio è stata un’occasione straordinaria per confrontarsi con altri giovani, ascoltare la testimonianza di personalità forti che hanno parlato di temi concreti, e per considerare la politica non come ideologia partitica bensì come un qualcosa che serve per darsi obiettivi e offrire strumenti per arrivare a certi fini stabiliti.
Andrea Foti invece ha ribadito quanto sia stato stimolante il desiderio di mettersi in gioco, a dispetto della tecnicità e complessità degli argomenti trattati e nonostante le iniziali difficoltà del confronto. Un momento particolarmente intenso – a detta del giovane – è stata la recita delle lodi mattutine, con la lettura di passi di politici italiani che si sono impegnati alla luce della dottrina cristiana.
Giovanna Russo, già corsista dell’Istituto Mons. Lanza, ha voluto sottolineare l’importanza della sua esperienza presso la stessa scuola. «Quando ho visto i manifesti che annunciavano l’avvio dei corsi, sono venuta a conoscenza che nella mia città qualcuno si spendeva professionalmente per formare una coscienza politica che va oltre i colori di appartenenza di partito. Poi ho sperimentato che intraprendere questo percorso non è solo un modo per arricchirsi culturalmente. All’Istituto si ascolta, si osserva, si apprende, si ha la possibilità di esporre il proprio pensiero in un contesto aperto, libero, non artefatto. Oggi più che mai c’è bisogno di “rispolverare” il senso della politica, i valori che le sono propri, e rivisitarli alla luce dei cambiamenti degli ultimi decenni. Attraverso l’Istituto, da qui, da oggi, possiamo diventare uomini e donne partecipi e soggetti attivi di un processo di cambiamento indispensabile. È nostro dovere intervenire, dialogare, partecipare al confronto e diffondere un senso di positività, un desiderio di superare le diffidenze reciproche per raggiungere un obiettivo comune».
L’incontro di avvio del seminario interdisciplinare si è concluso con il contributo di Antonino Spadaro – docente di diritto costituzionale all’Università Mediterranea – sul tema della non violenza. Per comprendere il quale – ha chiarito il docente – bisogna prima intendersi sul termine violenza. Questa parola solitamente indica un’azione o un’omissione che vuole recare danno grave a una o più persone, alle creature o al creato. Ma è sempre così? Ci sono casi o episodi problematici, come la legittima difesa, o la reazione collettiva di un popolo contro l’aggressione di un altro popolo, che ci fanno interrogare sull’intenzione della stessa violenza. Ciò che qualifica un’azione violenta quindi, è il fine, lo scopo che si vuole raggiungere. Un comportamento che è posto in essere senza voler danneggiare gli altri, pur apparendo aggressivo non è necessariamente violento. A volte, infatti, ciò che sembra violenza non lo è, perché il fine ultimo è il bene dell’altro. Si capisce, quindi, che non è corretto attribuire alla non violenza una nozione “facile”, ma si può tentare di vederla come un prisma con tante facce. Alcune delle quali sono la libertà, la tolleranza, il perdono. A ben pensarci è violenza tutto ciò che non è assorbimento del male, che non è rinuncia a rispondere al male con il male.
La nostra tendenza – ha specificato Spadaro – è di essere specchi, portati a rispondere a un comportamento con un altro uguale o simile. Dovremmo, invece, essere trasparenza, cioè dei mezzi attraverso cui passa la luce, strumenti grazie ai quali il bene passa e si diffonde. Ciò è possibile se non si è superbi e ricchi intellettualmente o materialmente: è necessario diventare piccoli perché l’altro sia più grande. La non violenza esige quindi coraggio, povertà, sobrietà, giustizia, dalla quale poi deriva la pace. Solo se si dà a ciascuno il suo, se si lotta cioè per la giustizia si può sperare di ottenere la pace. In definitiva, non violenza – secondo il significato della parola sanscrita a-himsa – indica assenza di volontà di fare del male, ma la sua vera essenza è colta dall’altro termine sanscrito a-mryto, cioè non morte ovvero amore (l’amore è ciò che non muore).
La non violenza è dunque l’amore, cioè il non volere il male dell’altro. La storia – ha poi concluso Spadaro – ci ha donato molti testimoni della non violenza. La “non violenza del forte” per esempio – vissuta dal Mahatma Ghandi – è quella di chi preferisce la forza del perdono e dell’amore, pur essendo nella possibilità di usare la forza delle armi. Mentre la “non resistenza al male” praticata da Tolstoj, presuppone forza d’animo e un io radicato nella certezza che il male ha già perso. I non violenti, quindi, non sono dei deboli o dei vili, che non ricorrono alle armi per paura, bensì degli esseri “etero centrici” che si pongono il problema degli altri.
Vittoria Modafferi