Ancora oggi, nell’epoca del jobs act e, soprattutto, nel tempo schizofrenico del suo rapido ripensamento e fulminea richiesta di modifica; ancora oggi nell’epoca della Fornero e, soprattutto, nel tempo “post Fornero” della generalizzata pretesa di rapido ritorno al passato (quello dei baby pensionati, per intenderci) torna spesso a bomba la questione dell’ iper liberismo, del turbo capitalismo e del c.d. progressivo smantellamento del diritto del lavoro.
Ma è poi davvero così o è vetero statalismo che risuscita?
Su tutto questo, ovviamente, io tento di trasmettere le mie impressioni senza illusioni di verità, né speranze palingenetiche; come uno scettico alle prese con la storia i suoi corsi e, soprattutto, i suoi ricorsi che negano, nei fatti, ogni progressismo felice e necessitato.
La chiave per la risoluzione dei dubbi su esposti, a mio parere, sta tutta nel c.d. “fattore uomo”.
Il fattore uomo, il problema del Singolo e del suo destino storico, infatti, è valore proprio del pensiero cristiano e liberale: senza la desacralizzazione del potere pubblico inaugurato da Cristo con il suo date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio, e senza l’approfondimento di questa desacralizzazione/secolarizzazione che i liberali hanno chiamato laicità, estromettendo i teologi (e ci sono anche le chiese atee !) dal dibattito pubblico, non saremmo oggi qui – in uno dei tanti luoghi di Occidente – a discutere dei limiti e della necessità di riforma dello Stato di Diritto, perché saremmo troppo impegnati a tentare di sopravvivere agli stenti.
Avrebbero avuto, infatti, del tutto campo libero – e spesso lo hanno avuto, e non solo in Occidente, nel corso del Secolo breve – le élite di illuminati e di pensosi scrutatori delle carte del destino che – in virtù delle proprie ideologie escludenti, scientifiche e necessarie – sono stati sempre pronti a sacrificare sull’altare della razza, della nazione, ma anche della classe, del partito, dello Stato, la minoranza più piccola e fragile: l’individuo alle prese con le sue libertà.
Solo quando l’uomo e l’autorità vengono riconosciuti come fallibili e le teorie e costruzioni politiche come imperfette e destinate ad essere col tempo falsificate, solo allora risulta chiaro come l’unico ordine sociale sopportabile, al quale legittimamente cedere i propri diritti naturali per ottenerne la concreta tutela civile, è quello costituzionale proprio della Società libera ed aperta.
Lo diceva anche Rosselli (nel “Socialismo liberale”): il moto sociale è tutto, il fine è nulla!
E proprio per questo ogni dirigismo degli “Oi Aristoi“, degli esperti di pianificazioni imposte dall’alto per governare le dinamiche sociali, si rappresentano per quello che sono: l’anticamera della schiavitù del Singolo, del fattore uomo, appunto.
E la politica fondata su Verità e Giustizia – delle proprie idee, ovviamente – si accompagna sempre alla criminalizzazione dell’avversario, al suo annichilimento, al deprezzamento delle sue capacità interpretative.
Ed è opinione pressoché consolidata anche oggi, ed avvertita come vera anche da intellettuali in completa buona fede, che – ad esempio – Von Mises, Hayek e Friedman siano studiosi/vampiri venduti all’interesse del grande Capitale e nemici sfrenati della stessa esistenza dello Stato Sociale, mentre, in realtà, Sia Friedman che Hayek furono ferventi promotori del trasferimento statale di risorse ai meno abbienti, attraverso il sostegno al reddito derivante dalla c.d. l’imposta negativa – da ultimo ripresa dal redivivo Berlusconi “campione” tardivo di liberalismo – e secondo la quale, per i poveri, il fisco applica una aliquota negativa, ad esempio il 60%, ovvero colma il gap fra reddito effettivamente percepito e la soglia della no-tax area.
Ed è poco noto, inoltre, che i teorici liberali della c.d. scuola austriaca avevano ben presente l’insostituibile ruolo dello Stato nella imposizione di regole quadro necessarie per sostenere le libere dinamiche sociali.
Mentre di contro, e lo affermo per fare emergere la feconda complessità del reale, ai veri laburisti e ferventi riformisti dovrebbe far venire l’orticaria la sola proposta di un reddito di Stato, così come il fenomeno dei baby pensionati – negli anni ’80 – fece sbroccare Pannella in un celebre comizio di piazza; ed ancora oggi tutti dovremmo avere il coraggio di continuarlo ad affermare in Piazza: la pensione a cinquant’anni è una coglionata!
Ai veri compagni, Infatti, dovrebbe piacere il contratto, il diritto, il patto, il sacrificio ed il compenso e non le panacee luddistiche di grillini e co.
Solo nel lavoro c’è dignità ed il sacrificio e la remunerazione sono propri tanto dell’impresa che del lavoratore e ciò perché le due cose vanno insieme nella Società libera.
Ed è per questo che il diritto del lavoro va discusso ed aggiornato, nel contesto delle diverse contingenze, senza ideologismi e totem; perché solo un dibattito pragmatico scevro da inutili ortodossie può davvero continuare a concretare un progetto di progresso e riforme attento al mutamento dei tempi e che consenta di tutelare sempre al meglio i lavoratori, senza frenare l’intrapresa e senza scoraggiare l’imprenditore nel suo ruolo rischioso di investimento e di assunzione della manodopera.
Totem e Tabù, dicevamo, come lo è stato per troppo tempo l’art.18 dello Statuto dei Lavoratori, un totem venerato ad arte e giostrato come un altarino sacro da parte di una certa sinistra (ma, poi, è davvero sinistra?) che non lo aveva votato quando Gino Giugni lo scrisse per poi agitarlo come un’arma impropria contro coloro che lo avevano voluto e approvato proprio perché riformisti e democratici e, come tali, sempre aperti a discutere dei propri assiomi, sempre pronti a rivedere gli istituti messi alla prova del tempo.
Ed allora, non c’è solo la famigerata scuola di Chicago, non c’è solo il freddo ordo liberismo tedesco di Roepke ed oggi di Merkel; gli pseudo sinistrorsi della rivoluzione conservatrice permanente e dell’ideologismo scientifico (quello contro cui si batteva il socialista e liberale Carlo Rosselli) dovrebbero avere il coraggio di un percorso genealogico nella loro critica – anche nell’epoca incolta del grillismo rampante, quello dell’ “honestà … honestà” – e, così, dovrebbero alzare il tiro contro Manzoni (tutto parte da Renzo a Milano durante la rivolta del pane), contro Rosmini, contro Sturzo, Gobetti, contro Einaudi, contro coloro, dunque, che seppero concentrare la loro analisi sulla benemerita distinzione tra Diritto e legislazione pervasiva e burocratica, sulla tutela dello spontaneismo fallibile della libertà, sugli effetti inintenzionali delle azioni intenzionali, sulle conseguenze positive della competizione e del liberismo sul protezionismo … sull’imperio della legge e del contratto che solo consente l’anarchia degli spiriti.
E sul Manzoni e sul tumulto di san Martino va aggiunto qualcosa: la ricerca pervasiva, agitata dai populisti, delle cause semplici e dei nemici precisi genera l’atteggiamento dei milanesi innanzi alla penuria del pane, ed è l’atteggiamento dei complottisti che non credono alla scarsità generata dalla crisi ma alla responsabilità di singole persone, di grandi vecchi ed untori pronti ad affamare il popolo attraverso l’aumento dei prezzi; ed è per questo che il popolo sobillato chiede a gran voce il calmiere!
Ma è il calmiere a far danni ! E’ l’intervento dirigista che proietta la crisi nel futuro. Perché è proprio il rincaro naturale dei prezzi, spiega il Manzoni, ad essere «doloroso ma salutevole». Perché è meglio aver pane a caro prezzo che non averne e, poi, perché il praticare il prezzo più alto non può che attrarre – in un regime di libertà e libero scambio – altre offerte, quello degli importatori di grani esteri ad esempio, la cui proposta aggiuntiva ha l’effetto di abbassarlo nuovamente, il prezzo, portandolo in tal modo a buon mercato, spontaneamente.
Diritto ed anarchia, quindi; roba così ossimorica, paradossale e feconda da far venire un coccolone ai collettivisti cultori della ragion di Stato; roba da liberali, scettici e cristiani !
Una feconda complessità delle opzioni politiche ed ideali migliori, tanto da coinvolgere e sconvolgere, in senso dinamico, gli stessi concetti di destra e sinistra, tanto da mettere in contraddizione ogni ortodossia finalistica … proprio perché “il moto è tutto e il fine è nulla”!
Enzo Musolino