Difendere dio significa, in fondo, difendere il ‘nostro” dalla presenza degli altri, di altri disprezzati idoli, come dall’aggressione di un esercito di stranieri e di popoli diversi.
Mettersi sulla difensiva è come ergere muri, stendere il filo spinato sui confini dell’attacco atteso, come sentirsi sotto minaccia costante dell’avversario che avanza.
Dio, in questa strategia militare, è come il potente, il corpo assente del re paranoico lontano dalle masse, protetto dal contatto che contagia, mischia, addolora, ferisce e compatisce.
Difendere come crociati, significa aggredire l’infedele che non capisce, che usurpa, che possiede senza diritto, che vive una fede “altra” e pericolosa, sempre.
Come un dio cui la preghiera è inutile perché alberga lontanissima la sua difesa cosmica, asettica, indifferente, potentissima.
Conta solo il simbolo, il vessillo forte dell’inconoscibile, la fonte sacra di una tradizione buona per opporci l’un l’altro, per disegnare campi avversi, valori inversi, per applicare una giustizia ingiusta capace anche di violenza e morte al fine di difendere, difendere “legittimamente” il privilegio proprio opposto all’altrui fame e sete.
Difendere dio innanzi ai tanti, troppi “cristi-crocifissi”, disprezzati, inerti, dimenticati, è come credere in una Ragione disumana che si sviluppa sacrificando gli essenti, lasciandosi dietro, come resti necessari d’un successo più “alto”, gli scarti degli individui che muoiono, il destino di consumo che tutti ci coinvolge nel mattatoio della Storia.
C’è stato uno, però, che non seppe lasciare alcuno indietro, che entrò in paradiso con un ladrone che lo riconobbe senza sapere di “difenderlo” sulle croci.
Uno che non volle essere “difeso” da un ingiusto processo di Stato, per salvarci tutti nel sacrificio dell’agnello immolato; che non seppe alzare la mano contro i nemici, che convertì stranieri, strozzini e prostitute, semplicemente accogliendoli, senza “difendere” la propria “famiglia” di discepoli, senza innalzare questi “vittoriosi” sopra gli ingiusti, i peccatori, su coloro che occupano da sempre il posto del torto.
Cosa è più rappresentativo dell’ Occidente?
Quella “difesa di dio” oggi tornata di moda o questo aprirsi incondizionato che sentiamo nell’intimo?
Cosa conta più l’ethnos o l’ethos?
Conta più L’Uno che si impone sulle moltitudini sottomesse alla rigidità della Tradizione eternamente opposta alle altre, o la “moltiplicazione di cristo”, il tu-tutti che arricchisce il volto composito del dio che, per risorgere, vive e muore come uomo?
Il liberalismo, la costituzione, lo stato di diritto, la separazione e il controllo reciproco dei poteri, la società civile, l’opinione pubblica informata, le garanzie per i reietti, il pluralismo partitico, i diritti delle opposizioni, la giustizia sociale, l’alternanza pacifica delle maggioranze, sono la “secolarizzazione” del Dio autoritario di Orban e della Meloni, o la laicizzazione democratica della composita e innaturale relazione d’amore di una Trinità che ha visto il “figlio” morire torturato in nome della Legge?
Per queste domande, per il loro senso profondo, “difendere dio” è, ancora oggi, una bestemmia.
Dott. Vincenzo Musolino