“I diritti umani nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo”

Quando nacque nel 1950 possedeva già due caratteristiche rilevanti. La prima, che era sottoscritta da 47 Paesi europei. La seconda, che la tutela di questo trattato era affidata a una Corte. La Convenzione europea dei diritti dell’uomo (o Cedu) non poteva tuttavia prevedere che avrebbe esercitato un’influenza crescente sugli ordinamenti interni degli Stati nazionali. Di questo argomento si è occupato Francesco Manganaro – docente di diritto amministrativo presso l’Università Mediterranea – durante una lezione all’Istituto di formazione politica “Mons. Lanza”.

Il docente si è soffermato soprattutto sugli effetti creati dalla Cedu sull’ordinamento italiano in materia di tutela dei diritti umani. La nascita di questa convenzione – ha spiegato Manganaro – è successiva al secondo conflitto mondiale, che aveva segnato il momento di massima crisi degli Stati nazionali. Gli ordinamenti giuridici nazionali, infatti, non avevano saputo tutelare i diritti dell’uomo e anzi avevano consentito la guerra e gli eccidi. Inoltre il processo di Norimberga, con l’imputazione di molti criminali, aveva rappresentato l’affermazione del formalismo giuridico, di una concezione formalistica del diritto che non teneva conto dei valori e dei contenuti ma solo di chi comanda. I gerarchi accusati di vari crimini di guerra, infatti, si erano difesi adducendo di aver obbedito ai comandi legittimi dei superiori, e di aver rispettato la legge.  La Cedu, memore di questa esperienza, quindi, nasceva “oltre” gli Stati nazionali, oltre la loro incapacità di tutelare i diritti, superando le barriere del diritto interno. A differenza degli altri trattati internazionali, questa convenzione ha una Corte composta da un giudice per ogni Paese firmatario, così da poter meglio tutelare i diritti che afferma. All’inizio la Corte è apparsa un po’ timida nell’imporre le proprie scelte in relazione agli Stati nazionali, rispettandone l’autorità e l’autonomia. Ma in un secondo momento, col trascorrere degli anni, si è fatta più forte ed è entrata in conflitto con le Corti Costituzionali nazionali.

In particolare il contrasto con l’ordinamento italiano – chiarisce ancora Manganaro – si palesa con il caso Scordino, un signore reggino che era stato espropriato di alcuni terreni e aveva ricevuto una indennità espropriativa troppo ridotta. Così il proprietario in questione si rivolse alla Corte europea dei diritti contestando la legge sull’espropriazione, ritenendola contraria a ciò che prevede l’art. 1 del primo protocollo aggiuntivo della Cedu, che tutela il diritto di proprietà. La Corte dopo varie pronunce condannò lo Stato italiano a risarcire il sig. Scordino. Questo caso è emblematico perché per la prima volta si ha la possibilità che le sentenze della Cedu entrino nel nostro Paese superando lo scoglio dello Stato nazionale. In seguito al caso Scordino, inoltre, i giudici italiani sollevarono la questione seguente: se le sentenze della Cedu hanno effetto diretto in Italia, è possibile che accada ciò che avviene per l’Unione Europea? Cioè se una norma italiana contrasta con una della Cedu, quest’ultima prevale automaticamente contro quella italiana che deve essere disapplicata? La Corte Costituzionale rispose negativamente. Nel caso dell’UE si applica ciò che afferma l’art.11 della Costituzione, ovvero che lo Stato italiano può cedere parte della sua sovranità a enti o organi sovranazionali per la tutela della pace e sicurezza. E l’Italia ha ceduto parte di sovranità a favore dell’UE che è un organismo sovranazionale, per cui le norme adottate dall’Unione sono norme che lo Stato italiano ha voluto, cedendo parte della sua sovranità. La Cedu, invece, è solo un trattato che non ha creato un ordinamento sovranazionale, quindi le sue norme non prevalgono automaticamente su quelle interne. Con questa interpretazione dell’art.11 la Corte Costituzionale sembra chiudere la porta all’ingresso della convenzione europea dei diritti nel nostro ordinamento. Tuttavia la questione si riapre nel 2001 con la riforma del titolo V della Costituzione che regola i rapporti tra Stato ed enti locali. Tra le materie di competenza ripartita tra Stato e Regioni, vi è il rispetto degli obblighi internazionali e comunitari, come stabilisce l’art. 117 Costituzione. Quelli internazionali sono evidentemente gli obblighi che ci siamo imposti con i trattati, dunque anche quelli della Cedu. Secondo i giudici nazionali, dalla “porta” dell’art.117 potrebbe entrare nel nostro ordinamento anche la Convenzione europea dei diritti. Ma la Corte Costituzionale, decidendo un caso di espropriazione di terreni, risponde in modo articolato. Ribadisce cioè che l’art.117 è una norma interposta tra la Cedu e la Costituzione e quindi le norme Cedu possono entrare tramite quella norma. Tuttavia è sempre la suprema Corte italiana  a dover decidere sulle contraddizioni con la Costituzione. Se pure la Corte dei diritti afferma che una legge italiana concede un’indennità espropriativa esigua, questo principio passa nell’ordinamento italiano, ma è la Corte Costituzionale a verificare se questo principio è conforme o meno alla Costituzione. In sintesi, era palese che lo scontro non poteva reggere a lungo, e la Corte italiana non poteva opporsi alle decine di sentenze proveniente dalla Corte dei diritti, tuttavia  per non perdere il suo ruolo afferma che la sentenza di incostituzionalità spetta a lei.

«Ma al di là del tecnicismo che contraddistingue questi argomenti – ha concluso il prof. Manganaro – ciò che è rilevante è il ruolo assunto dalla Cedu nel corso degli anni. La sua giurisprudenza che è mirata alla difesa dei diritti umani ha spinto gli ordinamenti interni ad essere adeguati alla stessa tutela, pena sanzioni, risarcimento del danno, discredito internazionale. L’evoluzione di quella giurisprudenza denota come i diritti umani vengono sempre più tutelati in maniera globale, anche contro gli Stati nazionali. E che la difesa imposta dalla Corte dei diritti arriva fino a penetrare negli Stati nazionali, anche quando questi tendono a eludere la tutela dei diritti».

 

Vittoria Modafferi