“Criminalità ed effetti sulle imprese”

Crisi internazionale e quadro economico locale. Due fenomeni strettamente intrecciati, in un mondo privo di barriere economiche e politiche, dominato dalla speculazione finanziaria di operatori internazionali. In questo contesto come si presenta e come reagisce il tessuto produttivo della nostra provincia? A tratteggiare un interessante quadro della situazione globale – locale ci ha pensato Domenico Nicolò – docente di economia presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria – nel corso di una lezione all’Istituto di formazione politica “Monsignor Lanza”.

Nicolò ha innanzitutto precisato che l’attuale intensa crisi finanziaria che si ripercuote sull’economia produttiva di tutti i Paesi ha assunto i connotati di una crisi di sistema, che coinvolge non un solo contesto bensì tutto il capitalismo occidentale. Inoltre ciò che succede in una parte del mondo si ripercuote in posti lontani. Essendosi accresciuta la velocità di propagazione dei fenomeni economici è come se il pianeta fosse una singola realtà, mancando le barriere di un tempo, e le perturbazioni di un luogo investono anche contesti distanti.

«Tutto è meno facilmente prevedibile – ha affermato Nicolò – e tutto si sviluppa in tempo reale. Non si può, infatti, prevedere alcun andamento, le dinamiche sfuggono ad ogni logica e sono  frutto di speculazioni che grandi operatori internazionali fanno ai danni di interi Paesi, semplicemente comprando e vendendo titoli. Dietro questi fenomeni non c’è una razionalità e niente di economico può spiegare ciò che accade. Si avverte solo la schizofrenia di operatori che con questo modo di procedere realizzano ingenti profitti impoverendo molta gente». Quanto alle interconnessioni tra sistema globale e contesti locali, Nicolò ha spiegato che «se un sistema locale, seppure lontano, è perturbato, noi ne risentiamo gli effetti e a nostra volta trasferiamo le nostre perturbazioni sul resto del mondo. Tuttavia i sistemi locali non sono uguali e perciò non vivono la crisi allo stesso modo. Sono tutti esposti a perturbazioni che vengono dall’esterno ma ciascun sistema, che è composto da imprese, risponde in modo diverso. Questo perché ogni impresa è diversa dalle altre, ha dei propri caratteri strutturali, una sua dimensione, tecnologia, capacità produttiva, redditività, solidità patrimoniale. Insomma è un’entità distinta con una propria capacità di risposta alla crisi. Inoltre ogni azienda ha una componente umana che la rende unica. Chi governa le imprese, infatti, sono le persone, uniche per competenze, propensione al rischio, al risparmio, all’investimento, per capacità di fronteggiare momenti critici. Quindi anche se esistessero aziende identiche, le caratteristiche delle persone che le gestiscono portano ad avere soluzioni differenti rispetto agli stessi problemi».

Dopo aver delineato il quadro globale, considerando quanto influiscano lo spazio (ubicazione di una impresa) e il tempo (quando si verifica la crisi, che durata ha, con quale frequenza si presenta), il prof. Nicolò ha riportato i risultati di una sua analisi del contesto territoriale reggino negli anni tra il 2006 e il 2009, per capire perché le imprese siano così vulnerabili ai fenomeni congiunturali. «Già nel 2007 la nostra Regione ha avvertito i primi segnali di crisi: il PIL ha avuto una contrazione dell’1%, la disoccupazione è aumentata del 2%. Nel 2009 il 21% delle imprese con almeno 20 addetti ha chiuso in perdita, e le sofferenze bancarie sono aumentate del 25%. Eppure in un contesto così fragile e in difficoltà, la ‘ndrangheta primeggia. Lo confermano i dati Eurispes secondo cui il giro d’affari della criminalità organizzata ammonta a 44 miliardi di euro (mentre la manovra “lacrime e sangue” di Monti è di 30 miliardi!). E proprio questa presenza distorce la concorrenza, perché la mafia opera con  imprese proprie e con prezzi che sono così bassi da espellere altre aziende che non possono vendere sottoscosto. Le imprese mafiose pur in perdita – perché servono a riciclare denaro sporco – non muoiono se non quando sono sottoposte a sequestro. E hanno la forza che deriva dall’appartenere a famiglie che con l’intimidazione controllano tutto. Nel nostro territorio pochissimi imprenditori riescono a restare immuni da queste contaminazioni. Quindi tra le tante cause della crisi d’impresa c’è una ragione spaziale, ovvero la presenza asfissiante della criminalità organizzata. Ma esistono altre caratteristiche che rendono le imprese locali estremamente vulnerabili. Per esempio il fatto che siano di piccole dimensioni e soprattutto a carattere familiare, controllate e gestite da una sola famiglia. Che spesso è reticente ad accettare l’apertura a terzi, operazione indispensabile per ricapitalizzare l’azienda se vuole investire in formazione e sviluppo. Ma il limite delle imprese familiari oltre che finanziario è anche manageriale, perché in una famiglia non sempre ci sono le competenze e le abilità necessarie per gestire l’azienda. Inoltre manca un sistema informativo evoluto che alimenti di informazioni chi deve prendere decisioni, cosicché la gestione è basata sull’intuito, sull’esperienza, sull’istinto, tutte doti che non si trasmettono di padre in figlio. Un ulteriore motivo di fragilità è dovuto al fatto che gran parte della nostra economia locale dipende dalla spesa pubblica, perché enti locali e statali pagando stipendi,  opere e servizi creano la ricchezza. Anche la domanda rivolta alle imprese è quasi totalmente pubblica. E adesso con i tagli alla spesa pubblica la torta è diminuita e si sono allungati i tempi di pagamento».

Infine, le ultime parole della lezione sono state spese  in riferimento alla ‘ndrangheta come fatto sociale e culturale.   «Perché – si è chiesto Nicolò – da noi i giovani, le imprese, l’economia devono subire gli effetti dell’economia criminale e nella gente non c’è un moto di distacco, di disprezzo verso chi appesta le nostre esistenze e mette a rischio le vite dei nostri figli? Sembrerebbe che la stessa azione dei giudici non sia supportata dalla gente comune, che anzi ci sia indifferenza o addirittura insofferenza. Manca uno stringersi attorno per fare fronte comune. Invece si dovrebbe capire che è indispensabile un cambiamento culturale che parta da ognuno. Cosa fare quindi? Continuare a vivere con orgoglio la condizione di persone schierate dall’altra parte, libere nel pensiero e nelle azioni».

 

Vittoria Modafferi