La partecipazione alla vita civile ha un costo. In termini di impegno, di preparazione, e persino di conflitto con gli altri. Ecco perché va continuamente motivata. Ma è una responsabilità che giova sia al bene comune che al singolo cittadino. Se, al contrario, non si è protagonisti del modo di vivere di un territorio, si finisce per lasciare che gli altri scelgano per tutti. La partecipazione civica, i suoi istituti e i modi in cui diventano strumento di controllo della pubblica amministrazione, e persino antidoto alla corruzione, sono stati i temi della lezione di Francesco Manganaro – docente di diritto amministrativo all’Università Mediterranea – all’Istituto di formazione politica “Mons. A. Lanza”.
Il professore ha presentato i cambiamenti verificatisi negli Stati post moderni verso gli anni ‘70, quando le democrazie da rappresentative sono divenute partecipative e le amministrazioni si sono svincolate dalla politica. Le democrazie rappresentative, in cui la legittimazione dell’azione amministrativa è data dal fatto che il popolo elegge i suoi rappresentanti e che questi controllano le amministrazioni, in un certo periodo storico si sono rivelate inadeguate. In Italia, dopo Tangentopoli, che ha generato sfiducia nella politica, si è avviata una netta separazione tra politica e amministrazione, e si è rotto il circuito corpo elettorale – rappresentanti – pubblica amministrazione.
Acquisendo maggiore autonomia, l’amministrazione ha aumentato i suoi spazi di discrezionalità nelle scelte concrete. Alla democrazia rappresentativa si è aggiunta, senza sostituirla, una democrazia partecipativa, che legittima le scelte partendo dal basso. La partecipazione popolare deve esplicitarsi non solo nel momento elettorale, ma anche nelle decisioni che spettano alle amministrazioni. La legge n. 241/1990 sul procedimento amministrativo ha allargato la partecipazione dei cittadini, consentendo loro di accedere agli atti e di intervenire nell’attività amministrativa anche prima che il potere si manifesti in un atto. Il principio che si possa influire sulla decisione finale è davvero rivoluzionario. Anche la riforma degli enti locali del 1990 ha ampliato gli spazi di partecipazione, consentendo agli Statuti comunali di prevedere diritti diversi da quelli legati alla cittadinanza statale, allargando ulteriormente la partecipazione.
Per es. lo statuto del Comune di Reggio Calabria stabilisce che i diritti di partecipazione spettino anche ai cittadini dai 16 anni ed agli immigrati residenti sul territorio da 5 anni. La modifica costituzionale del 2001 ha, poi, attribuito nuovi poteri agli enti locali, cancellando i controlli dello Stato e delle Regioni sui loro atti. E ha introdotto, contemporaneamente, il principio del controllo sociale, pensando che la società civile, partecipando, possa controllare la politica. Tutti gli strumenti di partecipazione previsti dalla legge sul procedimento amministrativo e dagli statuti comunali servono a vigilare sull’attività amministrativa e sulle scelte della politica. Questa partecipazione e il controllo che ne deriva servono anche a prevenire la corruzione. Infatti, le nuove norme anticorruzione ampliano la possibilità di verificare l’azione amministrativa da parte dei cittadini. Basti pensare al cd. accesso civico, che consente a tutti – e non più solo ai titolari di diritti – di poter accedere agli atti della pubblica amministrazione, anche quando questa non abbia proceduto alla loro pubblicazione.
Vittoria Modafferi