Far prevalere la dimensione economica e il mercato sopra ogni altro aspetto è una scelta che soffoca l’uomo, gli toglie sogni e speranza, lo ripiega su se stesso. Lo costringe a sbarcare il quotidiano come può. Eppure la persona umana è l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economica e sociale. Lo ricordava già la Gaudium et Spes. E lo stesso papa Francesco ha ammonito l’eccessiva rilevanza data dai media ai cambiamenti dell’indice di borsa, mentre le troppe morti per fame nel mondo sono del tutto ignorate. Ecco perché appare urgente un cambiamento di passo. Una rivoluzione nonviolenta per venire fuori dal sistema, ingiusto e distorto, nel quale siamo immersi. Servirebbe, dunque, una “Economia Altra”.
Tema, quest’ultimo, scelto per il seminario di studi organizzato dall’Istituto di formazione politico sociale “Monsignor Lanza” a conclusione del biennio dedicato alla nonviolenza e alle strade nonviolente per uscire dal sistema. «I tempi che viviamo sono così critici e la sofferenza delle persone talmente acuta da richiedere un approfondimento sulla crisi e sulle possibili soluzioni per uscirne» ha sottolineato Mons. Vittorio Mondello, aprendo i lavori. L’arcivescovo si è detto grato all’Istituto per aver indetto il convegno, dal quale possono nascere suggerimenti, linee guida e indicazioni da segnalare poi ai soggetti competenti e nelle sedi adeguate. «Compito dell’Istituto diocesano – ha ricordato – e dei cattolici che vogliono impegnarsi nella vita politica e sociale è offrire indicazioni per arrivare alla risoluzione dei problemi per il bene della società intera».
La prof.ssa Francesca Panuccio – direttore del “Mons. Lanza” – ha sottolineato che «la dimensione economica è uno degli aspetti sociali, ma le scelte economiche vanno ricondotte e riconsiderate a partire dalla dignità dell’uomo. Ricominciare da questa verità nonviolenta consente di crescere con un profondo senso di condivisione e responsabilità sociale». In questo senso assumono rilevanza sempre maggiore le imprese socialmente responsabili, che non solo soddisfano gli obblighi giuridici ma investono nel capitale umano, nell’ambiente e nelle relazioni con le parti interessate. In tal modo – ha proseguito la Panuccio – «riescono a mantenersi produttive e al contempo socialmente orientate, offrono prodotti utili e garantiscono un’attività rispettosa dell’ambiente, contribuendo alla crescita umana e del territorio in cui operano».
Significativa è l’attività di Banca Popolare Etica, il cui modo di operare è stato presentato al pubblico intervenuto dal Coordinatore soci della Calabria di B.P.E, ing. Tommaso Marino. «La finanza eticamente orientata – ha asserito Marino – è sensibile alle conseguenze non economiche delle azioni economiche; essa crede e afferma che il credito è un diritto umano; favorisce la partecipazione dei risparmiatori e dei soci alle scelte dell’impresa e soprattutto garantisce la massima trasparenza di tutte le operazioni. Al centro del sistema di B.P.E. vi è il socio, e una grande rilevanza assumono l’Assemblea e l’organizzazione territoriale dei soci stessi. Quanto alla trasparenza delle attività, sul sito della banca è possibile vedere chi ha ricevuto del credito, in quale misura e per quale impiego. Le aziende che si rivolgono a B.P.E. firmano preventivamente un documento nel quale dichiarano la loro disponibilità a essere presenti sul sito. Il fatto che imprese e banca stessa siano disponibili a metterci la faccia dà sostanza al termine “etico”. Inoltre affidando i nostri risparmi ad un istituto di credito compiamo un grande atto di fiducia. Ma proprio per questo non possiamo ignorare chi sia o di chi sia quella banca. Non dimentichiamo – ha concluso Marino – che ciò che ci dà la possibilità, in quanto cittadini, di agire e di intervenire nella politica della nostra banca è solo il desiderio di avere un ruolo».
E sul peso che abbiamo come cittadini-consumatori nel modificare il sistema economico si è soffermato il prof. Leonardo Becchetti – ordinario di Economia Politica all’Università Tor Vergata di Roma. Il docente romano ha ribadito la necessità di una riforma della finanza che, in Italia, è pletorica e sprecata. «Da circa 20 anni – ha affermato – più è alta la dimensione del settore finanziario e peggiore è l’effetto sullo sviluppo economico. Le banche, in molte parti del mondo, sono diventate troppo grandi per fallire, sono persino più grandi del PIL di un Paese. Gli Stati sono dovuti intervenire a salvare le banche, lasciando i bilanci in deficit. Bisognerebbe quindi separare le banche commerciali da quelle di affari, e scoraggiare l’uso speculativo della finanza tassando la velocità delle transazioni. Le tasse, infatti, andrebbero tolte da ciò che crea valore, spostandole verso ciò che produce effetti negativi sulla società, come l’inquinamento e la speculazione finanziaria. Altrettanto decisiva è la riorganizzazione del sistema Paese: in Italia esistono molti fattori di ritardo, quali l’istruzione, la lentezza dei pagamenti della pubblica amministrazione, la durata delle cause civili, ecc. In questo quadro noi cittadini abbiamo un potere non indifferente nel cambiare il sistema. Il vecchio modo di concepire l’economia, infatti, non funziona più. Ecco perché è necessaria una rivoluzione copernicana, che parta dalla costatazione che il mercato ha dei limiti e non sono le istituzioni o un politico illuminato a salvarci. Il sistema si sblocca solo con un salto di qualità nella responsabilità di cittadini e imprese che devono diventare socialmente responsabili. Ma possono farlo solo se “votiamo” per esse. Se “votiamo col portafoglio”, ovvero se premiamo con il consumo o il risparmio quelle aziende che sono all’avanguardia nel creare valore economico, sociale e ambientale. Se tutti agissero così, si cambierebbero le regole e le istituzioni. Certo, bisogna ancora lavorare molto, soprattutto sulle opportunità, migliorare la qualità dell’offerta e creare situazioni in cui i consumatori possono scegliere, da persone ben informate sulla vita dell’azienda e sul loro valore sociale. Perché nessuna azienda è abbastanza grande da poter ignorare i suoi consumatori».
E sul ruolo delle imprese innovative come risposta alla crisi si è focalizzato l’intervento del prof. Domenico Nicolò, docente di Economia Aziendale all’Università di Reggio Calabria. In particolare il prof. Nicolò si è soffermato sulle difficoltà che l’economia sana e le aziende trovano in una terra come la nostra dominata dalla più potente organizzazione criminale. «Senza una lotta dura alla ‘ndrangheta e senza spezzare il legame che fa leva sul consenso elettorale nessuno sviluppo è possibile». Considerando la situazione generale del Paese il docente ha stigmatizzato lo spreco di denaro che avvantaggia una burocrazia elefantiaca e costretta a svolgere lavori inutili. Mentre la spesa pubblica alimenta costi della politica non più sostenibili. E le imprese come si comportano? «Gli imprenditori stranieri – ha ribadito Nicolò – non sono invogliati a investire in Italia, dove la giustizia è troppo lenta, le controversie fiscali durano anni, le infrastrutture carenti. Eppure le imprese sono gli unici soggetti capaci di creare ricchezza. In particolare, quelle socialmente orientate sono le aziende che alla lunga si rivelano vincenti. Una industria miope, che per massimizzare il profitto assume in nero, non offre garanzie ai lavoratori, inquina, evade o elude le tasse, esaurisce presto la sua capacità di produrre ricchezza e prima o poi collassa. Lo dimostrano le statistiche e lo confermano studi di settore. Invece se una impresa vuole creare ricchezza e durare nel tempo, deve fare leva sul capitale umano, cercare i migliori talenti, sfruttare le conoscenze e investire in competenze. La nostra terra – ha concluso – ha tutte le potenzialità per tornare ad essere baricentrica. E questa crisi che spazza via il vecchio, sta anche offrendo le condizioni per ripartire tutti sullo stesso piano».
Vittoria Modafferi