Giustizia= Altruismo e Fraternità

È, la fraternità, da relegare nella sfera privata degli affetti e dei sentimenti, o merita d’esser considerata uno dei criteri-cardine nella costruzione d’una sana prassi politica centrata sulla giustizia? Lo stile di fraternità è tratto distintivo ed esclusivo dei cristiani o rivela ed estende la sua feconda validità fondativa in uno scenario antropologico comune?

Questi interrogativi sono stati al centro della riflessione di Giovanna Cassalia – docente di antropologia filosofica presso l’Istituto superiore di scienze religiose di Reggio Calabria – sul tema Giustizia = altruismo e fraternità, sviluppato all’Istituto di formazione politica “Mons. Lanza”.

«Ci sono momenti storici nei quali il problema cruciale è quello della libertà, soprattutto nelle condizioni di oppressione, e ce ne sono altri nei quali il problema maggiore è quello della fraternità, ed è il caso del nostro tempo»” (E. Morin).

«L’imperativo morale più pressante per chi fa politica è un calcolo delle sofferenze» (P.L. Berger).

Queste due citazioni e la domanda che risuona con sempre maggiore convinzione e diffusione: Sono forse io il custode di mio fratello? sono state significativamente poste in epigrafe alla trattazione del tema.

Siamo cercatori di giustizia – ha detto la Cassalia.  Giusto è chi cerca la giustizia. Ma cos’è la giustizia? Qualsiasi tentativo di definizione non darebbe ragione della ricchezza del concetto di giustizia e della forza che essa esercita sulle pratiche della convivenza umana. La giustizia – oggi come nel passato – è però anche tanto fraintesa, travisata, sfigurata, negata. Nella modernità abbiamo assistito, fra l’altro, ad una graduale riduzione della giustizia al diritto e poi alla legge. Sicché oggi, quando s’invoca – e certamente ce n’è davvero tanto bisogno – il rispetto della legge, cioè la legalità, per lo più si ritiene che così sia soddisfatto anche il rispetto della giustizia. Ma la giustizia è più che la legalità. «Il giusto appartiene alla sfera teleologica del buono, non solo a quella normativa della legge», ci ricorda Ricoeur. Ora, poiché promuovere e garantire condizioni di giustizia per tutti è compito della politica, tutti siamo convocati a responsabilità dalla domanda: cos’è che può fecondare – qui e nell’oggi – una matura prassi di giustizia nello spazio della politica?

Una prima risposta potrebbe essere: basterebbe che la sfera politica fosse ispirata dall’altruismo, peraltro praticato già in tante relazioni interpersonali e sociali, per essere vicini alla giustizia. È vero, in un certo senso. Perché l’altruismo, che è il pensiero dell’altro, che è un andare incontro ai bisogni dell’altro, è già un primo necessario passo – politico – di attenzione per la vita altrui. Ma lo è a quali condizioni e sotto quali forme? Dell’altruismo sono possibili tante riduzioni che lo depotenziano. Una è quella di fraintenderlo, ad esempio, col solidarismo filantropico e con l’assistenzialismo: pratiche che, pur quando non hanno mire ideologiche o d’una qualche utilità personale, generano tuttavia una socialità in cui si fa, sì, qualcosa per gli altri, si dona qualcosa agli altri, ma è una socialità sbilanciata: da una parte i donatori del bene, i soggetti bene-fattori, dall’altra gli assistiti, che diventano oggetti bene-ficiati, e che dalla generosità dei primi dipendono pur sempre. È questa una socialità che non crea necessariamente legame tra chi riceve e chi dà (che peraltro spesso si premura di esibire e pubblicizzare a dovere i propri meriti di generosità). Inoltre, si può facilmente constatare che l’agire filantropico come tale non contesta la logica chiusa dell’individualismo liberistico oggi dominante, nemico dell’intrinseca natura aperta e cooperativa degli uomini. Anzi con esso ben si può conciliare. Andrew Carnegie, straricco imprenditore angloamericano, e alla fine anche generoso filantropo, nel 1889 scriveva: «Le leggi del profitto verranno lasciate libere, così come le leggi della distribuzione. L’individualismo continuerà a prosperare, ma il milionario dovrà essere il fiduciario del povero».

Emendato dalle sue derive riduzioniste, l’altruismo è sì necessario ma non sufficiente per impiantare nella giustizia la vita politica d’una società.  Non è sufficiente infatti lavorare per gli altri, occorre anche lavorare con gli altri, capovolgendo certe logiche dell’oggi cosiddetto civilizzato. Logiche accattivanti, nel vero senso della parola: che hanno intrappolato noi, internauti globali, in recinti che chiudono orizzonti e prospettive, in prigioni che restringono e devitalizzano le esistenze e il tempo. Avvertiamo tutti che questo è profondamente ingiusto e mortifica la dignità umana, e produce e colpisce soprattutto esclusi, invisibili, sfruttati, poveri. Occorre allora che non solo nella coscienza individuale, ma ancor più nel cuore delle dinamiche politiche, sociali ed economiche si apra lo spazio d’ascolto della giustizia, per liberarne la generatività, per ‘riaprire il tempo’, inventando (o riscoprendo?) modalità propriamente umane di abitare (e far abitare) il mondo, non solo d’esserci, nel mondo, indaffarati a collezionare e consumare, in pochi, beni e risorse destinati invece a tutti: la mensa della terra è apparecchiata per tutti, siamo tutti allo stesso titolo chiamati a condividere il mondo comune – ha detto la Cassalia.

Ma questo è possibile se tutti – non solo chi fa riferimento al messaggio evangelico, del quale la fraternità è dimensione centrale, ma anche chi ne resta estraneo – ancoriamo il presente e le scelte ad un fondamento che trascenda il tornaconto personale e sia insieme fecondo d’umanità: è il pensiero e la pratica di custodia e di cura dell’altro che sboccia dalla fraternità-sororità. Per inciso: fraternità, termine come tanti e tanti altri intestato, non per caso o per economia semplificatoria, alla parte maschile del genere umano, fino a pochi anni fa assorbiva e comprendeva anche il femminile; oggi sempre più spesso, invece, e non solo come gesto di concessione ma per più matura consapevolezza, s’accompagna a quello più esplicito di sororità. Ma di strada ce n’è ancora tanta da fare per riconoscere il valore inconfondibile e la portata della differenza di genere – ha voluto precisare la Cassalia.

La fraternità però non abita la politica. E come potrebbe in un sistema in cui la politica è asservita alle logiche iperindividualistiche e inique del finanzcapitalismo?

Viviamo tutti (quasi) un disagio insostenibile. Vorremmo vivere assecondando quel desiderio e gusto del Bene che percepiamo come costitutivo della nostra natura e che avremmo voglia di comunicarci l’un l’altro, di più, e meglio, e sempre, in relazioni buone. E invece siamo come irretiti in un delirio globale di competitività coatta, di antagonismo continuo, immorale, di menzogna ritenuta necessaria e obbligata. Desiderio e gusto del Bene, che avvertiamo anche come giusto, bello, vero: non sarà questo, a ben ascoltare la profondità di noi stessi, che riconosciamo come desiderio di ciascuno? e che rinvia al pensiero di un’origine comune, dal Bene a tutti partecipato, donato, originariamente? e che la maternità e la paternità simboleggiano in pieno?

Maternità e paternità: funzione creatrice, l’una e l’altra, non meramente ri-produttiva o, peggio, produttiva: ‘fare figli’ è formula non solo inadeguata ma indegna di quel processo generativo continuo – non solo d’inizio biologico d’una vita – che è proprio della maternità e della paternità. Ci si ritrova a condividere, così, la comune condizione di figli, e dunque di fratelli, per il fatto di ricevere in consegna, di potere esercitare e trasmettere – ciascuno a suo modo – la carica performativa d’uno sguardo che sa vedere e orientare per vie che meglio portano a crescere umanamente (è la funzione dell’autorità paterna), e che sa scegliere e provvedere al nutrimento di volta in volta adatto, secondo attenzione tenerezza pazienza (ecco la cura materna).

A partire da questo riconoscimento ci si ritrova tutti – e l’uno per l’altro, l’uno con l’altro, nessuno escluso –  eredi di tanta ricchezza d’essere, che tutti convoca come fratelli alla corresponsabilità della custodia e cura reciproca, nei luoghi, nei tempi, e nelle sfere delle esistenze. Condivisione d’essere che chiamiamo giustizia. Aiutarci insieme, magari nel travaglio della fatica maieutica, a riscoprire tutto questo per farne criterio e guida di vita sociale e politica umanamente orientata è compito urgente. Assumere la fraternità come movimento inclusivo e aperto, liberante, davvero emancipativo, di recupero della nostra dimensione radicalmente umana. È la parabola del buon samaritano che mirabilmente racconta e fa luce e ci mostra il modo autenticamente umano, fraterno, di vivere.

Certo, fraternità si può dire in tanti modi. E in tanti modi si può vivere e tradire. Come complicità, per esempio: parola di moda, con tutto il carico positivo e negativo che porta. Come competizione, rivalità, disconoscimento (Caino ne è la prima paradigmatica figurazione). Anche nella sua declinazione apparentemente nobile di prossimità la fraternità può presentare il suo volto velenoso ed escludente. Ad esempio in tutte le forme di legami amorali tra gli appartenenti ad una famiglia, a un clan, a organizzazioni settarie e rigidamente autoprotettive ed eterodistruttive. Tutte le volte in cui la fraternità è invocata per fondare e giustificare identità chiuse, gessate, impenetrabili. Ed anche in alcune forme di solidarietà essa non è ancora propriamente fraternità. Sono certo solidali tutte quelle società nelle quali i diseguali possono diventare eguali. Ma non sono per questo sempre fraterne.

Fraterna è quella società (che è sempre anche solidale) in cui gli eguali (per dignità) possono rimanere diversi. Perché la fraternità assume la differenza, personale, sociale, di culture, di civiltà, ma non per avallare logiche di disuguaglianze o giustificare primazie e conseguenti riduzioni in schiavitù sotto diverse, implicite o esplicite, forme. L’assume, la differenza, per promuovere, nell’agire politico oltre che nell’ordine sociale, una prassi di giustizia. Giustizia che è bene comune, bene che accomuna. Introdurre nella politica e nell’economia il respiro della fraternità è aprire una prospettiva che inverte e umanizza la qualità delle relazioni tra persone, istituzioni, stati. E conduce ad una rimodulazione radicale del sistema politico ed economico che punti all’eliminazione delle cause delle ingiustizie.

La fraternità autentica che si esprime nella solidarietà-condivisione fraterna è dunque il nome della giustizia, per tutti e con tutti.

 

Vittoria Modafferi