“Giustizia e dottrina sociale: la questione dell’equità fiscale e della distribuzione delle risorse””

La Borsa di Milano è tornata ai valori del 2008. Ma la situazione economica generale e delle famiglie si è riportata a quei livelli? Sicuramente no. Lo ha affermato Aldo Velonà – già funzionario dell’Agenzia delle Entrate – durante una lezione all’Istituto di formazione politica “Mons. Lanza”. Purtroppo l’economia reale vede una povertà aumentata e la mancanza di lavoro genera sofferenza psicologica, isolamento ed esclusione. L’Italia, in particolare, è il secondo Paese europeo per diseguaglianze nella distribuzione dei redditi, e la ricchezza è concentrata nel 10% della popolazione.

Tra le cause di un quadro così allarmante si segnalano le politiche economiche neoliberiste adottate negli anni ’80, fondate sul presupposto che detassare i patrimoni avrebbe avuto effetti benefici a cascata anche per i redditi più bassi. In realtà, questa ipotesi si è rivelata infondata. Al contrario – ha affermato il dott. Velonà – un autentico benessere economico si persegue attraverso politiche sociali di redistribuzione dei redditi che considerino i meriti e i bisogni di ogni cittadino, che invero necessitano di grandi risorse. Per reperire queste risorse lo Stato esplica l’attività della finanza pubblica, il cui compito è provvedere all’equa distribuzione del reddito. Lo strumento deputato a tale scopo è la spesa pubblica che si finanzia attraverso le risorse affluenti allo Stato e agli enti pubblici.

Il dott. Velonà si è quindi soffermato sulle imposte “progressive”, ritenute capaci di raggiungere obiettivi di giustizia sociale. Ma per una vera equità bisogna tenere conto anche della “capacità contributiva”, suddividendo le imposte tra i contribuenti in base alla loro capacità di pagarle, dato meno facile da calcolare perché il reddito più difficile da monitorare perché è poli-localizzato. Molti imprenditori, infatti, delocalizzano l’intera produzione e tante società trasferiscono gli utili all’estero, sottraendo così una buona percentuale di capacità contributiva nazionale ai doveri fiscali. Inoltre l’evasione fiscale costringe lo Stato ad indebitarsi pagando alti interessi. Chi evade ruba due volte perché usufruisce di strutture e servizi pagati dai contribuenti onesti ed ottiene l’accesso a forme di welfare pensate per i più deboli.

Secondo Velonà, piuttosto che ridurre la spesa pubblica, sarebbe più utile riflettere sull’importanza dell’intervento redistributore dello Stato, richiedendo servizi migliori e un apparato pubblico meno burocratico. Inoltre occorrerebbe accettare di pagare il dovuto senza scorciatoie, ricostruire un’etica pubblica, un tessuto sociale ed un senso civico, diffondere la coscienza della funzione fiscale e far apprezzare i servizi collettivi come un bene prezioso e non come un peso.

Vittoria Modafferi