Un semplice gesto, a volte diventa segno di cambiamento. E può avere una grossa efficacia concreta. Soprattutto se certe scelte operative, sono condivise da interi gruppi di persone. Così, una prassi, diventa stile di vita, eticamente orientato e con ricadute sociali e politiche non indifferenti. Per presentare la “politica degli stili di vita”, le sue caratteristiche, le conseguenze pratiche e le origini storiche, il Dott. Vincenzo Schirripa – responsabile della Commissione Giustizia e Pace della diocesi di Reggio-Bova – è intervenuto alla scuola di formazione politica “Monsignor Lanza”, con una interessante conversazione sul tema.
«Consumo critico, commercio equo e solidale, risparmio etico – ha spiegato Schirripa – sono strumenti che si collegano alla prospettiva di cambiamento politico a partire dai comportamenti quotidiani. Alla base di queste modalità operative, c’è un numero più o meno ampio di persone, che, nell’ambito di un percorso di crescita culturale o spirituale, fanno queste scelte in vista di obiettivi concreti».
Ampio e variegato l’universo dei gruppi che promuovono queste iniziative. «Attorno al commercio equo e solidale, ad esempio, si sono riunite culture politiche diverse. I primi soggetti a promuoverlo, negli anni 70, sono stati gruppi dell’associazionismo religioso, realtà di tradizione socialista e di estrazione liberale. Nel Patriarcato di Venezia, invece, da anni è attiva una commissione per la pastorale degli stili di vita».
Schirripa è passato, quindi, ad analizzare le diverse forme operative attinenti ai nuovi stili di vita. «Il “consumo critico”, parte dalla constatazione che – per gli attuali equilibri tra società, politica e mercato – abbiamo più potere in quanto consumatori che come cittadini. Soprattutto nei Paesi più piccoli, dove la politica ha scarsa efficacia per incidere sulle multinazionali, i consumatori possono, invece, fare molto. Si tratta di un movimento organizzato di cittadini che si informano sul modo di agire di alcune multinazionali, e forniscono al consumatore critico delle informazioni per poter fare delle scelte. Quando si constata, ad esempio, che una realtà produttiva ha uno specifico comportamento (a volte di sfruttamento dei lavoratori), si chiede di cambiarlo attraverso il boicottaggio. Per una grande azienda, perdere una quota di vendite, e vedere appannata la propria immagine, è un grave danno. Per cui, la pressione dell’opinione pubblica può indurre le aziende a prendere degli impegni. Il modo di agire di questi movimenti non ha una logica anticapitalistica, ma avviene per obiettivi precisi e con campagne mirate. Che catalizzano l’attenzione e l’impegno di soggetti e associazioni, determinando il successo delle iniziative».
Anche il fenomeno della finanza etica è una risposta che le grandi organizzazioni finanziarie hanno dato ai vari movimenti del consumo critico. Ma cos’è la finanza etica? «Alcuni istituti bancari – ha proseguito Schirripa – promuovendo i “fondi etici”, promettono ai risparmiatori che il loro denaro non sarà investito in operazioni discutibili, come l’acquisto di armi, ma in prodotti trasparenti. La banca, prestando il denaro con la formula del microcredito, facilita delle iniziative imprenditoriali di carattere sociale, e il risparmiatore può scegliere a quale iniziativa destinare il suo prestito. Un altro strumento efficace delle politiche degli stili di vita, è il “bilancio di giustizia”. In Veneto, dove è piuttosto diffuso, alcune famiglie osservano i loro bisogni, e valutano quali sono i consumi che andrebbero spostati e investiti altrove, perché superflui o spesi per l’acquisto di prodotti eticamente discutibili o dannosi per l’ambiente. A scadenza mensile, si incontrano e si confrontano per vedere quanto sono riusciti a spostare da consumi distruttivi a consumi costruttivi.
Quanto al “commercio equo e solidale”, il criterio che punta a ridurre i passaggi intermedi tra produttore e consumatore, permette di tagliare i costi di intermediazione e di offrire al produttore un margine maggiore dei proventi della merce. Così, è possibile attuare dei progetti di sviluppo locale con aziende locali – soprattutto dei Paesi più poveri – che crescono e imparano a essere autonome. Questi diversi modi di operare scelte eticamente consapevoli, non si pongono fuori dalla logica del mercato, perché il loro presupposto non è fare beneficenza, ma usano gli strumenti del mercato per promuovere uno sviluppo dal volto umano. Tuttavia, queste scelte, per andare avanti, hanno bisogno di informazione, perché non tutti sono a conoscenza di queste realtà. Necessitano di persone che dedichino tempo ed energie a queste iniziative. E hanno bisogno di essere coltivate nel tempo, perché chi sceglie la bottega equa e solidale, può poi trovare più comodo tornare al supermercato sotto casa».
Ma quali sono le caratteristiche di questi movimenti, e che tipo di conseguenze producono? «Secondo un’analisi sociologica – ha spiegato Schirripa – dopo la crisi delle ideologie, la partecipazione politica non è più attratta dalle organizzazioni strutturate, ma da movimenti tematici con degli obiettivi specifici che coinvolgono le scelte personali. Le forme di movimenti di azione sociale che stiamo considerando, nascono da una generazione che – dai cicli di mobilitazione degli anni 60 – ha imparato la rilevanza politica dei comportamenti privati. Ha capito, cioè, quanto il cambiamento sociale deve a ciò che ciascuno di noi fa nella propria vita. Si è constatato che se si vuole incidere in modo efficace sulla condotta di un gigante dell’economia, ci si può organizzare con altre persone a livello di base, promuovendo dei comportamenti di consumo eticamente ispirati e ottenere dei risultati. Su questi obiettivi, si sono unite forze di diversa matrice ideologica, e hanno investito molte parrocchie del Nord e del Centro Italia».
Quanto ai livelli di efficacia politica di questi movimenti, Schirripa ha distinto un livello immediato e uno culturale. «L’efficacia immediata è comune a tutte le iniziative. Se alcune famiglie destinano una parte del loro budget per adottare a distanza un villaggio di pescatori, questi acquisteranno barche e si attrezzeranno per diventare autonomi. O se si sceglie di installare in una scuola un distributore di merende del commercio equo e solidale, si incrementa il suo fatturato. Ma c’è anche un aspetto culturale. Queste forme di azione politica attraverso gli stili di vita, partono da percorsi di crescita personale e di gruppo, da parte di persone che si raccolgono per crescere, e lavorano su temi spesso ignorati dai grandi mezzi di informazione. In questi ultimi anni, le esperienze positive non sono mancate, reggendosi spesso sulla creatività dei gruppi locali, e mostrando un alto valore pedagogico. Ma la pedagogia dei gesti è un campo su cui c’è ancora tanto da lavorare. Perché la gente continui con costanza a camminare su questa strada, infatti, bisogna operare un cambiamento: occorre rendersi conto che le scelte non sono mai neutre, hanno sempre una ricaduta. Il cristianesimo ce lo insegna, insieme alla sobrietà, intesa come stile di vita contro corrente».
Vittoria Modafferi