Se lo Spirito tutto è, nulla fa: in quanto tutto ha, nulla cerca o riceve.
L’esperienza, invece, ci dice che lo Spirito è mancanza e frattura e che il fare, l’oggettivazione dell’opera, del compito, della Speranza, non è mera astrazione inutile e superflua.
La Storia, la nostra storia, non è indifferente alla Salvezza di ciascuno e la Salvezza stessa è un processo, un incontro, la categoria “esistenziale” dell’errore e del peccato quanto quella della promessa e del perdono: ex malo bonum.
La Verità, dunque, è “per” me!
E questo significa che la scelta, la responsabilità, il decidersi, sono parte della Verità stessa, ne vivificano la traduzione contemporanea, contribuiscono ad una “Creazione continua” e in evoluzione.
Mistero e Profondità sono gli elementi base del sentimento religioso che, per tanto, se autentico, non può che essere tragico e agonico: cioè in perenne bilico e senza riposo.
Il criterio per stabilire se una religione è vera o fallace è proprio questo:
se il piano dell’immanenza la assorbe tutta, se lo Spirito è evidente, chiaro e limpido come un Libro concesso una volta per tutte che non ammette interpretazioni, se Dio è mille volte provato e dimostrato da una certezza emergente senza inciampi, allora siamo di fronte a un falso dio.
Chiunque cerca ed è cercato allo stesso tempo, infatti, lo sa:
Dio vive nella caligine, il dubbio regna, l’Assenza agisce come coazione e impulso.
La stessa spinta etica, la meraviglia di fronte al gesto buono, la bellezza della persona amorevole, promana come “miracolo” (per fortuna multiplo e replicato) dall’ottusità naturale del destino di consumo e morte.
La morale stessa è follia perché sconfessa istinti e calcoli, perché è il possibile improbabile che si afferma contro tutto e tutti.
E ciò che si afferma, ciò che esiste, è, per tanto, sempre possibile, senza scuse!
In questo contesto di possibilità – di vita e di riscatto, quindi – il “mondo” che resiste all’oblio e all’insensatezza, la costruzione umana come “freno all’anomia”, la secolarizzazione del Sacro, non è tradimento dell’originario ma sua epifania tra le generazioni.
Non c’è differenza tra discepoli di prima o di seconda mano, ciò che conta davvero è la fede e l’azione che ne scaturisce.
Anche di fronte al Cristo dei miracoli e della Resurrezione ci furono – e furono tanti – gli increduli e i dubbiosi e neanche mettere un dito nel costato aperto serve granché se non si è aperti alla contraddizione e al baratro dell’incomprensibile.
Mistero e Profondità non danno certo consolazione, né illuminazione, ma sono come aria, vento, Spirito, respiro che consente la vita – che la “supera” confermandola – nella Speranza di Altro, nella fiducia nell’altro, “per” l’aiuto del prossimo, nel segno di una diversità di significato che mitiga l’esercizio della forza, che desacralizza ogni autorità e idolo sostitutivo in campo per l’edificazione della “Società perfetta”.
Così come non c’è certezza, non c’è, infatti, perfezione in questo tempo e svendere il tempo, il proprio tempo, all’illusione del compimento o dell’ideologia, significa perdere se stessi, sacrificare vite sull’altare del Potere.
La resistenza, invece, rafforza l’azione, l’impegno, il dibattito, perché se si riconosce la frattura tra l’essere e il dover essere – se non ci si arrende al trionfo immanente, al senso onnicomprensivo e giustificatorio dei tanti, troppi mali che affliggono la Persona – allora il salto, la decisione non garantita, tragica, umanissima, ci porta il più vicini possibile tanto alla nostra natura che al suo trascendimento.
In tal senso, l’impegno a diventare ciò che davvero si è significa una cosa precisa:
accettarsi per cambiare, riconoscersi per discriminare, volersi bene per aprirsi a ciò che ci mette in discussione, tanto allo specchio delle proprie contraddizioni quanto a quello dei fantasmi e dei nemici.
Solo questo depotenzia il rischio sempre incombente della brutalità e tronca gli aculei velenosi dell’Identità vissuta come esclusione e giudizio.
La Verità è Uno ma non è una.
la presenza, la Sequela, l’incontro, la Persona, il Cristo conosciuto o sconosciuto delle tradizioni umane non è un numero e la fissità etica è un male che disconosce il ruolo pacificante e liberante delle diverse vie concrete, del dialogo, dell’arbitrato, del compromesso.
Non si tratta di perdere qualcosa ma di acquistare!
Di assommare percorsi fertili in un et et arricchente che conferma l’uomo totale, le tante dimensioni dell’amore e del comprendersi.
E ha ragione il Francesco della Fratelli tutti:
- non è necessario contrapporre la convenienza sociale, il consenso, e la realtà di una verità obiettiva. Tutt’e tre possono unirsi armoniosamente quando, attraverso il dialogo, le persone hanno il coraggio di andare fino in fondo ad una questione –
Ed ancora:
- per i credenti, la natura umana, fonte di principi etici, è stata creata da Dio, il quale, in ultima istanza, conferisce un fondamento saldo a questi principi. Ciò non stabilisce un fissismo etico né apre la strada all’imposizione di alcun sistema morale, dal momento che i principi morali fondamentali ed universalmente validi possono dar luogo a diverse normative pratiche. Perciò rimane sempre uno spazio per il dialogo –
Enzo