“Identità e alterità”

Il rapporto io/altro ovvero identità/alterità può generare due diversi atteggiamenti: o l’affermazione della propria identità – in senso di supremazia rispetto all’altro – o un atteggiamento dialogico, in cui le parti si riconoscono in posizione di parità. Le origini filosofiche e culturali e gli sviluppi di questi comportamenti relazionali sono stati illustrati da Paolo Carrozza – ordinario di diritto costituzionale alla scuola superiore “Sant’Anna” di studi universitari di Pisa – in occasione del primo incontro di quest’anno della “Cattedra dei non credenti”.

L’iniziativa promossa dalla Pastorale Universitaria, dalla Pastorale della Cultura della diocesi di Reggio Calabria, dal MEIC e dal Centro culturale San Paolo è giunta al suo quinto ciclo, e come ha ricordato, nel saluto introduttivo, Antonino Spadaro – docente di diritto costituzionale alla Mediterranea – costituisce un’occasione di dialogo e di libero confronto per tutti. Sviluppando il tema “Identità e alterità” il prof. Carrozza si è chiesto se oggi gli universalismi ideologici e culturali tipici dell’Europa hanno ancora qualcosa da dire al resto del mondo. E soprattutto si è domandato cosa può nascere dall’incontro di queste culture universalistiche con altre culture portatrici di modi di pensare e di essere diversi. In vari momenti della storia la cultura europea ha dovuto confrontarsi con l’altro, soprattutto all’epoca dei grandi viaggi di scoperta. Ma la relazione con altri popoli è stata un’occasione  per affermare la propria identità e la centralità europea piuttosto che per  instaurare un autentico dialogo. Le esperienze del viaggio e della “conquista” sono diventate uno strumento di consapevolezza di sé e di supremazia nei confronti dell’altro. Questo è un atteggiamento ricorrente nella cultura europea che considera l’altro un diverso. Si vorrebbe quindi instaurare un’uguaglianza nella diversità (perché l’altro è pur sempre un diverso) ma come si può vivere la differenza nell’uguaglianza?

Una speranza di soluzione – ha chiarito Carrozza – ci viene dalla riflessione di alcuni filosofi circa l’agire sociale e le relazioni che si instaurano nell’incontro con l’altro. Particolarmente illuminante a tal proposito è la teoria della precomprensione o del pregiudizio sviluppata da Hans Gadamer. Secondo il filosofo tedesco quando incontriamo l’altro siamo mossi da un pregiudizio, cioè da un’idea già fatta per effetto della tradizione, della storia. Questo pregiudizio, tuttavia, non è negativo perché attraverso un’interlocuzione con l’altro – che nasce da un pregiudizio con cui immaginiamo di sapere chi sia  – si instaura un dialogo che consente di rivedere il pregiudizio e di trasformarlo in giudizio. Il dialogo con l’altro è quindi un movimento, che nasce da un’idea (il pregiudizio) e che si trasforma a mano a mano che il dialogo si infittisce. Nella relazione con l’altro si determina un movimento di apertura e il dialogo – in atteggiamento di parità – diventa trasformazione, cambiamento di entrambe le parti: questo è il nodo centrale della teoria della “fusione degli orizzonti”.  Se applichiamo queste considerazioni a un livello più ampio, cosa avviene quando la cultura europea viene a contatto con le altre? Quando incontriamo l’altro, le nostre credenze, il nostro apparato culturale possono rimanere gli stessi, o subiscono una trasformazione per effetto dell’incontro? Relazionandoci con l’altro, attraverso il movimento che va dal pregiudizio alla conoscenza, noi non siamo più gli stessi. Eppure, spesso pretendiamo che gli altri modifichino le loro posizioni, senza che noi attuiamo questa trasformazione. Sul piano del diritto e specialmente dei diritti fondamentali, si possono percorrere due diverse strade. Una è quella gerarchica – oggi prevalente – che prevede la formulazione di una dichiarazione universale dei diritti (come quella dell’Onu), a cui tutte le altre dichiarazioni devono essere conformi. Ma è un’operazione complicata e discutibile. Infatti alcuni filosofi del diritto mettono in discussione l’universalità dei diritti fondamentali, poiché ogni popolo o gruppo sociale è portatore dei propri diritti fondamentali. Quindi sarebbe più corretto percorrere una seconda strada: sedersi a un tavolo e ragionare con quei soggetti che hanno carte dei diritti fondamentali molto diverse dalle nostre, per passare da un pregiudizio a una conoscenza dell’altro, con i suoi paradigmi culturali e sociali. «Se siamo perplessi di fronte al funzionamento del modello gerarchico – ha affermato Carrozza – non ci rimane altro che l’atteggiamento dialogico e paritario, che porta inevitabilmente alla trasformazione del nostro modo di essere. Bisognerebbe abbandonare quell’atteggiamento culturale che ci porta a difendere i nostri valori come immodificabili, smetterla di prospettarli come ipostatizzati e assoluti, perché invece sono il prodotto della storia e di trasformazioni epocali. Forse invece dovremmo accettare l’idea di dialogare, ed essere disposti a modificare quei valori e quei diritti, aggiustarli se necessario e costruire insieme agli altri regole di giustizia, quell’orizzonte comune o quella “fusione di orizzonti” tanto auspicabile.

Questo atteggiamento – ha concluso il prof. Carrozza – deve essere l’inizio di un percorso di conoscenza e di costruzione comune di valori che ancora non conosciamo, perché vanno definiti insieme in questo dialogo con gli altri».

Vittoria Modafferi