Il ruolo politico degli assistenti sociali

Il 24 ottobre la dott.ssa Tiziana Tarsia, ricercatrice di sociologia dell’Università di Messina, è intervenuta presso l’Istituto Mons. A. Lanza per discutere con i corsisti sul ruolo dei servizi sociali e degli assistenti sociali all’interno del nostro welfare che, benchè residuale, deve contribuire ad attivare le risorse all’interno dei territori e spingere la comunità alla partecipazione.

La docente, autrice del volume “Sociologia e servizio sociale: dalla teoria alla prassi”, ritiene che l’assistente sociale deve essere un operatore in grado di intervenire concretamente nelle politiche pubbliche.

Per questo deve relazionarsi col territorio in cui esercita la propria professione e, dopo averne riconosciuto le problematiche, agire anche in ottica di prevenzione.

È importante inoltre che contribuisca allo sviluppo di un processo di empowerment che favorisca la consapevolezza di sé e l’autodeterminazione delle persone.

Inizialmente le teorie attinenti il rapporto tra sociologia e servizio sociale privilegiavano l’approccio individuale della psicologia e l’assistente sociale era spesso considerato un osservatore passivo che non era tenuto ad analizzare il contesto territoriale, ma piuttosto doveva risolvere i problemi presentati dagli utenti.

Già nelle prime decadi del Novecento, negli Stati Uniti si diffuse l’interesse verso le spiegazioni dei problemi sociali, e una maggiore attenzione a categorie quali la povertà, le devianze: i social workers avvertirono l’esigenza di tradurre le teorie in azione sociale e quindi in una maggiore pratica operativa, assumendo un ruolo più dinamico.

In Italia, dal secondo dopoguerra, si svilupparono le “Scuole nuove” che associarono la figura dell’assistente sociale e i suoi interventi ai principi  enucleati dalla Costituzione, in particolare a quelli di democrazia, libertà e riconoscimento della dignità della persona.

Non si trattava solo di assumere un ruolo strettamente assistenziale, ma si ritenne necessaria la conoscenza dei meccanismi macro-sociali.

Il Mezzogiorno, in particolare le zone dell’entroterra, in quegli anni fu ritenuto spazio di sperimentazione, di ricerca, di programmazione e azione sociale.

Ne derivò una maggiore attenzione alla sociologia, quale disciplina che serviva a comprendere la realtà per consentire poi di intervenire con metodo scientifico nel contesto in cui si operava.

Si capì inoltre che nel servizio sociale, la ricerca sul campo, gli studi dei bisogni individuali e collettivi dell’ambiente e il confronto con altri professionisti, potevano aiutare gli operatori a ricoprire un ruolo politico.

Ciò implica la capacità di avanzare proposte e programmi per il territorio, sia per garantire continuità nell’erogazione dei servizi che per delineare nuovi modelli teorico-applicativi.

In conclusione, per la dott.ssa Tarsia, gli assistenti sociali non devono avere un mero ruolo esecutivo da burocrati, ma dovrebbero essere agenti attivi di cambiamento.

Stefania Giordano