Osservare, giudicare, agire. La proposta della dottrina sociale della Chiesa passa attraverso questi tre momenti. Che altro non sono se non le tre fasi del metodo adottato per leggere un determinato fenomeno. Lo ha ben illustrato Francesca Panuccio – direttore dell’Istituto – nel II incontro del seminario di quest’anno, nel quale ha focalizzato metodo, obiettivi e caratteristiche del magistero.
«Quando ci si avvicina a un fenomeno – ha chiarito la docente – e lo si vuole studiare ricercandone le cause, il primo momento è l’osservazione, ovvero la raccolta dei dati. Tutti i pontefici impegnati nella valutazione di fenomeni sociali sono partiti dall’analisi di una determinata realtà. Leone XIII, ad esempio, per parlare del mondo del lavoro nella sua enciclica Rerum novarum ha iniziato con l’osservare la questione operaia così come si presentava. Una volta raccolta e letta la situazione sociale, il passo successivo è esprimere un giudizio, che è la convalida offerta dalla realtà. Infine, dopo aver formulato il giudizio la dottrina sociale indica le linee di azione.
La Chiesa infatti non detta rimedi certi, non offre la soluzione a ogni problema, ma dà dei criteri guida sui quali dovrebbe inserirsi l’attività dei laici. Dai documenti ufficiali del magistero, infatti, non si ricavano dei dettami o dei dogmi, bensì dei modelli di comportamento e di azione. Ben lo spiegava Giovanni Paolo II nella Sollicitudo rei socialis quando al n° 41 affermava che “il cristiano sa di poter trovare nella dottrina sociale della Chiesa i principi di riflessione, i criteri di giudizio e le direttive di azione da cui partire per promuovere un umanesimo integrale più solidale”. Il pontefice avvertiva l’urgenza di diffondere la DSC, affinché le persone potessero diventare capaci di interpretare la realtà cercando le linee di azione appropriate.
Leggendo le encicliche – ha ancora asserito la Panuccio – si evince una certa continuità dei documenti, ma nella novità perenne. Ogni enciclica, infatti, viene scritta come riprendendo un discorso, alla luce, però, delle novità del mondo, novità che nascono dall’osservazione degli avvenimenti e dal confronto con la realtà.
Una volta che la DSC è accettata e ha trovato adesione da parte dei fedeli, essa richiede – in una prospettiva di lavoro – annuncio e denuncia. In queste due parole si possono trovare le radici dell’impegno. A ben guardare, nella fase dell’impegno, il progetto è preceduto dalla denuncia, che non è sterile perché nasce dalla lettura della realtà. Uno dei compiti della dottrina sociale della Chiesa è proprio la denuncia in presenza del peccato, inteso come tutto ciò che è contro l’uomo. Ne sono esempio il peccato di ingiustizia e la violenza, le due forme più evidenti che attraversano la società. La lettura della DSC è dettata, infatti, dalla preoccupazione per la vita umana nella società e per le relazioni dell’uomo nel tessuto sociale, in cui dovrebbero esserci giustizia e amore. Solo partendo da questi due valori si può pensare alla promozione della persona, e di tutte le persone che compongono la comunità.
Se il fine ultimo che la DSC tende a conseguire è chiamare l’uomo alla salvezza, spesso ciò implica la denuncia, che è giudizio e difesa dei diritti disconosciuti e violati, soprattutto dei piccoli, dei poveri e dei deboli. Denuncia che diventa tanto più efficace quanto più si allarga e tocca aree geografiche ampie e dà luogo a questioni sociali che sconvolgono la collettività.
La necessità della difesa dei diritti fondamentali della persona è ribadita dalla Gaudium et Spes, che sottolinea come l’esercizio dei diritti della persona, della famiglia e dei gruppi deve essere riconosciuto, rispettato e promosso non meno dei doveri ai quali ogni cittadino è tenuto. Inoltre nel documento conciliare è presente un chiaro richiamo alla responsabilità, con riferimento alla collaborazione di tutti alla vita pubblica, cioè alla vita politica che è servizio per gli altri.
Dalla denuncia, poi, si passa all’annuncio (che può esistere anche in assenza di denuncia), definito come la visione globale dell’uomo e dell’umanità. La funzione primaria del magistero – non bisogna mai dimenticarlo – è mettere al centro l’uomo e la sua dignità». Una volta analizzata la situazione, convalidata con un giudizio e indicati i criteri di azione, quali sono i rimedi offerti dal magistero?
«La dottrina sociale della Chiesa – ha concluso la prof.ssa Panuccio – indica una serie di direttrici, senza invadere gli altri campi, tenendo ben presente che bisogna eliminare ciò che opprime l’uomo e che dovrebbe indignarlo sia come singolo che come parte di una collettività. Da questa indignazione, poi, si dovrebbe partire per andare verso una società riconciliata dalla giustizia e dall’amore».
Vittoria Modafferi