Il ciclo di incontri sulla democrazia all’epoca del web organizzato dall’Istituto Mons. A. Lanza si è concluso il 28 novembre 2019 con la relazione del prof. Domenico Rosaci, Associato di Sistemi di Elaborazione delle informazioni dell’Università Mediterranea, il quale ha discusso di “Intelligenza artificiale distribuita e competizione politica”.
Dall’idea della filosofia classica di intelletto come “nous”, si è passati all’idea utilitaristica di intelligenza intesa come capacità di adattarsi e “risolvere problemi” nuovi, fino alla definizione in cibernetica di intelligenza come “capacità di calcolo”.
I primi calcolatori creati alla fine degli anni ’40 del secolo scorso, grazie ai contributi decisivi di matematici e logici come A. Turing e J. Von Neumann, erano in grado di eseguire programmi, cioè di applicare una serie di istruzioni.
Con gli studi sull’intelligenza artificiale, in ambito informatico, si volle andare oltre, cercando di riprodurre la capacità umana di apprendere attraverso l’esperienza e la struttura distribuita delle reti neurali biologiche, imitata dai dispositivi elettronici delle reti artificiali.
Le tecniche di apprendimento automatico (c.d. machine learning) possono essere applicate ad esempio per predire l’andamento di un indice borsistico, riconoscere volti, diagnosticare patologie, per la guida automatica e soprattutto nel campo della robotica.
Gli androidi sono robot umanoidi dotati di intelligenza artificiale: Sophia, ad esempio, è un robot attivato nel 2015 che parla, esprime desideri e ricorda il passato e le sue capacità dialettiche migliorano con l’interazione con gli esseri umani.
Può la competizione politica trovare vantaggio dall’intelligenza associata al calcolo delle macchine? La politica, in quanto gestione della res pubblica, deve coinvolgere e appassionare tutti ma deve anche essere compresa, ora nell’ambito delle trasformazioni epocali dovute al progresso tecnologico. Il cyberspazio è il nuovo ambiente di comunicazione sorto dall’interconnessione mondiale dei computer, in cui si sviluppano nuovi valori (cybercultura), si utilizzano spazi condivisi (i social) e in cui si possono esercitare influenze. Oggi anche i politici utilizzano i nuovi media e i social e queste tecniche di comunicazione, per calamitare l’attenzione di milioni di elettori, prediligono forme espressive veloci ed essenziali, come tweet, parole chiave, hashtag.
Non si discute né si approfondiscono le problematiche perché quello che interessa è raccoglie il maggior numero di “like”, cioè di consensi, che poi si tradurranno in voti.
In questo contesto gli algoritmi di machine learning analizzano la grande mole di dati in rete e determinano il “profilo” degli utenti.
Ciò consente di capire e prevedere le intenzioni degli elettori e quindi di pianificare le campagne elettorali.
I politici sono supportati da apposite aziende che, utilizzando le tecniche di “data mining”, identificano segmenti di elettorato attraverso l’esame dei profili pubblici in rete, come se si trattasse di analisi di mercato in campagne di marketing. Ma nel 2018 – come ha ricordato il prof. Rosaci – emerse lo scandalo Facebook-Cambridge Analytica.
La rete rischia di essere considerata come un contenitore di stereotipi omologati in cui gli utenti sono solo dei numeri classificabili in appositi segmenti di mercato e soggetti a influenze.
A questo proposito, è lecita un’altra precisa domanda: quale credibilità può avere una offerta politica che basa i suoi programmi su analisi di mercato piuttosto che su un’attenta progettazione?
Da un sondaggio è emerso addirittura che un cittadino europeo su quattro preferirebbe essere governato da un sistema di intelligenza artificiale piuttosto che da uomini politici (nell’illusione della infallibilità e non disonestà della macchina).
Ma il prof. Rosaci – che ha ricordato l’ esistenza di una branca dell’“intelligenza artificiale” destinata all’inquietante studio della “coscienza artificiale” – ha rimarcato che comunque l’intelligenza “umana” è la capacità di “leggere dentro”, cioè di comprendere oltre le apparenze e i meri dati quantitativi analizzabili da un algoritmo e che la politica dovrebbe essere molto di più di un calcolo.
Stefania Giordano