Sebbene non sia riuscito a comporsi in un movimento unitario, il suo sviluppo in Italia è estremamente interessante e indicativo dei cambiamenti intervenuti nel Paese. Il pacifismo, specialmente nella sua fase embrionale e nella sua evoluzione in diversi filoni, è stato oggetto della lezione svolta all’Istituto di formazione politica “Mons. Lanza” da Vincenzo Schirripa, docente di Storia contemporanea all’Università di Messina.
Fin dai suoi esordi – ha spiegato Schirripa – il pacifismo ha avuto diverse correnti, che si differivano per impostazione ideologica e per opinioni. Così si può rintracciare una posizione antimilitarista in ambito socialista, che portò il partito socialista a schierarsi contro l’intervento dell’Italia nel primo conflitto mondiale. Alcuni esponenti di questa forza politica, inoltre, si rifiutarono di impugnare le armi per motivi di coscienza. Un secondo filone del pacifismo è quello legalitario e cosmopolita, di area liberale, espresso dalla figura di Ernesto Teodoro Moneta, patriota e giornalista che nel 1907 ricevette il premio Nobel per la pace. Moneta era esponente di un pacifismo che poneva molto affidamento nello sviluppo delle istituzioni internazionali per prevenire e dirimere i conflitti. Secondo questa visione non era necessario infrangere le leggi del proprio Paese per scongiurare la guerra, ma era auspicabile l’impegno di tante nazioni per creare organismi internazionali di cooperazione politica ed economica. Il terzo filone fa riferimento a un pacifismo più spirituale che politico, il cui punto di riferimento per le correnti di rinnovamento spirituale nel mondo delle chiese cristiane e del cattolicesimo fu lo scrittore Tolstoj. Figura carismatica capace di animare la riflessione legata ai temi della pace, della religione e in Italia al tema del modernismo. Quest’ultimo – condannato da Papa Pio X – piuttosto che un movimento era un insieme di orientamenti e riflessioni sul rapporto tra Chiesa e modernità. Tra gli orientamenti e i fermenti di cambiamento censurati dal Pontefice ricadevano anche le idee pacifiste, piene di suggestioni e di fascino, di cui Tolstoj era portavoce. In quegli anni la Chiesa cattolica diede un giudizio negativo del pacifismo, proprio perché esisteva una contiguità con gli elementi di riformismo religioso ritenuti pericolosi.
Un argomento costante nello scontro tra i pacifisti e il magistero più ostile al pacifismo stesso era il tema dell’obiezione di coscienza. Uno dei principi su cui si basa l’obiezione di coscienza – ha chiarito ancora Schirripa – è il primato della coscienza individuale che afferma la superiorità della legge naturale o di un convincimento morale rispetto a una legge positiva che si ritiene ingiusta e che si desidera migliorare. Tuttavia l’obiettore, non accettando la legge e facendo opposizione, si espone alle conseguenze del suo gesto, e cioè va incontro alla sanzione. Mentre i primi obiettori, soprattutto pentecostali e testimoni di Geova, pagarono con il carcere il prezzo della loro scelta, la Chiesa cattolica ribadiva che l’insistenza sul primato della coscienza era un valore del mondo protestante. Infatti, pur essendo contro la leva di massa, le gerarchie ecclesiastiche affermavano che l’obiezione del singolo era inefficace e inopportuna perché se l’autorità politica costituita – in base al principio di presunzione – dichiara che la guerra è giusta, il singolo può disapprovare ma non può rifiutarsi di prestare il servizio militare.
Questa posizione nel corso del ‘900 verrà gradualmente messa in discussione e superata, perché la sensibilità diffusa e la stessa distruttività della guerra moderna, renderanno improponibile una tale posizione. Successivamente al secondo conflitto mondiale i casi di obiezione di coscienza si moltiplicarono. Emblematica la vicenda di Pietro Pinna che si rifiutò di abbracciare le armi per motivi di coscienza, e per questo venne processato, condannato più volte e alla fine congedato per motivi di salute. In realtà il suo caso era diventato imbarazzante per l’ordinamento giudiziario militare, data anche la risonanza avuta tra l’opinione pubblica. Dopo questo caso, Igino Giordano, deputato DC, e Umberto Calosso, deputato socialista, presentarono una proposta di legge per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza. Lo stesso tema del rapporto tra obbedienza alla legge e primato della coscienza tornò nel dibattito pubblico dopo il processo di Norimberga. Ma il rinnovato interesse verso queste istanze non riuscì a coagularsi in un movimento unitario, proprio a causa del clima di guerra fredda. Chiunque in quegli anni si schierava a favore della pace, infatti, era sospettato di essere fiancheggiatore del PCI e dell’Urss di Stalin che aveva tessuto una certa retorica politica a favore della pace contro “l’imperialismo guerrafondaio degli Usa”. Il bipolarismo che imprigionava la politica in quegli anni di guerra fredda faceva sì che la praticabilità di un discorso politico sulla pace fosse molto esile.
Un passo avanti nella direzione della visibilità del movimento pacifista lo si fece grazie ad Aldo Capitini, infaticabile tessitore di contatti e coordinatore di energie sparse e tenute assieme da motivazioni diverse. Capitini fu anche il padre e il promotore della marcia per la pace Perugia – Assisi, che nonostante varie opposizioni riuscì ad avere un buon successo. Così Capitini si avviava verso la leadership di un possibile movimento unitario. Ma proprio nel momento in cui dietro questa mobilitazione si intravedeva un potenziale politico rilevante, cominciava una competizione con gli esponenti del partito radicale schierati in prima linea. Inoltre il ‘68 fece mutare il contesto di riferimento e sparigliò le carte, per cui la praticabilità di una ipotesi di un movimento pacifista diventò più esile. Capitini morì nel ‘68 senza riuscire a capire come il movimento da lui creato prendesse una deriva inspiegabile.
Nel ‘72 la normativa sull’obiezione di coscienza fece diventare l’obiezione una possibilità protetta dalla legge – a certe condizioni – ma in realtà arrivò tardi ad assecondare un mutato atteggiamento dell’opinione pubblica.
Vittoria Modafferi